di Michele Paris
Mentre le forze aeree e navali degli Stati Uniti e dei loro alleati
nella nuova avventura militare in Medio Oriente continuano a colpire
obiettivi presumibilmente legati allo Stato Islamico (IS) in aree della
Siria orientale e settentrionale, il governo americano si trova nel
pieno di una campagna mediatica volta a preparare l’opinione pubblica
occidentale per l’imminente ulteriore escalation bellica nel paese
guidato dal regime di Bashar al-Assad.
In questa operazione di
propaganda gioca un ruolo di spicco anche il presidente Obama, come ha
confermato il minaccioso discorso della scorsa settimana alle Nazioni
Unite. L’inquilino della Casa Bianca è apparso nuovamente in TV
domenica, ammettendo che l’intelligence del suo paese ha commesso
qualche errore nel valutare la pericolosità dell’ISIS.
Intervistato dalla CBS,
Obama ha puntato in particolare il dito contro il direttore
dell’Intelligence Nazionale, James Clapper, colpevole di avere
“sottovalutato” gli eventi in corso da mesi in Siria e, al contrario, di
avere “sopravvalutato” le capacità dell’esercito iracheno nel
combattere gli estremisti sunniti.
Le critiche maggiori per la
crisi in atto sono state riservate però all’ex primo ministro iracheno,
Nouri al-Maliki, dal momento che il suo governo avrebbe pensato
soprattutto al consolidamento del potere, basato sulla comunità sciita,
emarginando invece la popolazione sunnita, tra cui è alla fine risultato
diffuso il sostegno all’ISIS e ad altre milizie anti-governative.
Maliki,
insomma, avrebbe “sprecato” il lavoro fatto a partire dall’invasione
illegale del paese nel 2003 dagli americani, i quali, oltre alla totale
devastazione di una società relativamente avanzata e centinaia di
migliaia di morti, secondo Obama avrebbero lasciato in eredità “una
democrazia intatta e un esercito ben equipaggiato”.
Le timide
ammissioni di colpa di Obama sono però del tutto fuorvianti, non
essendoci stato nessun errore da parte americana, poiché l’intelligence
USA era perfettamente al corrente dei progressi dell’ISIS in Iraq.
Infatti, non solo questa organizzazione fondamentalista è una creatura
del programma di addestramento e finanziamento degli oppositori di Assad
in Siria condotto dalla CIA, dalle monarchie assolute del Golfo Persico
e dalla Turchia, ma le informazioni circa l’avanzata dei militanti in
territorio iracheno, culminata con la presa della città di Mosul a
giugno, erano state riferite ai vertici politici e militari di
Washington da più fonti, se mai fosse stato necessario, tra cui i
servizi segreti del governo autonomo del Kurdistan iracheno.
Obama,
in ogni caso, ha previsto buone probabilità di successo dell’operazione
USA in corso per quanto riguarda l’Iraq ma, in maniera significativa,
ha delineato una situazione più difficoltosa per la Siria.
Quest’ultima
previsione pessimistica, che sembra essere condivisa da praticamente
tutto l’establishment politico e militare degli Stati Uniti e dei paesi a
fianco di Washington nella campagna contro l’ISIS, ha il preciso scopo
di dipingere il peggiore scenario possibile in Siria, in modo da
giustificare una nuova inevitabile spirale di guerra che ha come
obiettivo ultimo la rimozione di Assad.
L’esempio finora più
clamoroso delle reali intenzioni degli Stati Uniti e delle manovre in
corso per orientare l’opinione pubblica verso l’accettazione di
un’accelerazione della nuova “guerra al terrorismo” è stato registrato
venerdì durante una conferenza stampa al Pentagono.
Il segretario
alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo di Stato Maggiore, generale Martin
Dempsey, in questa occasione hanno ammesso che allo studio ci sarebbe la
possibilità di imporre una “no-fly zone” sopra i cieli della Siria,
assieme alla creazione di un’area-cuscinetto al confine con la Turchia,
dove un’ondata di profughi curdi sta transitando in questi giorni a
causa degli attacchi dell’ISIS sulla città di Kobani.
Secondo
Hagel, questi provvedimenti potrebbero essere presi in risposta alle
richieste fatte recentemente dal presidente turco Erdogan e
comporterebbero anche il dispiegamento di truppe di terra in territorio
siriano.
Di fronte alle dichiarazioni di Hagel e Dempsey, nessuno
dei media ufficiali ha ritenuto necessario interrogarsi circa il
significato di una “no-fly zone” nell’ambito di una guerra contro un
gruppo terrorista che non dispone di aerei o elicotteri da guerra.
Un’eventuale
no-fly zone verrebbe giustificata, come accadde in Libia nel 2011 in
seguito alla manipolazione di una risoluzione ONU, soltanto con la
necessità di proteggere i civili dai bombardamenti aerei del regime di
Damasco, rivelando perciò il vero obiettivo della guerra appena
lanciata.
Come ricordano i precedenti, da ultimo proprio quello
libico, l’imposizione di una “no-fly zone” comporta un numero altissimo
di vittime e la distruzione dei mezzi aerei e delle strutture di difesa
anti-aerea del paese colpito. Tutto questo avverrebbe nonostante a
livello ufficiale l’amministrazione Obama continui a indicare l’ISIS
come unico obiettivo del conflitto e a escludere un coinvolgimento
diretto nella guerra civile siriana tra Assad e i suoi oppositori.
Allo
stesso tempo, l’entourage di Obama continua a smentire un’altra ipotesi
che è invece da considerarsi probabile in prospettiva futura, vale a
dire l’invio di truppe americane di terra in Siria. Dopo che svariati
analisti ed esperti nei giorni scorsi avevano avvertito che per
estirpare la minaccia dell’ISIS sarebbero state appunto necessarie
operazioni di terra, nel fine settimana anche lo speaker della Camera
dei Rappresentanti di Washington, il repubblicano John Boehner, ha dato
il proprio appoggio a questa ipotesi in un’intervista alla ABC.
Boehner
ha avvertito che per sconfiggere l’ISIS servirà molto più dei
bombardamenti aerei e se nessun paese dovesse farsi carico dell’invio di
truppe di terra in Siria a farlo dovranno essere gli Stati Uniti.
Inoltre, se Obama lo chiedesse, Boehner si è detto disponibile a
richiamare a Washington i suoi colleghi deputati - liberi di fare
campagna elettorale fino al voto di “medio termine” del 4 novembre - per
approvare una risoluzione che autorizzi il presidente a lanciare
un’offensiva di terra in Siria.
D’altra parte, come aveva
sottolineato il generale Dempsey nella già citata conferenza stampa al
Pentagono, gli USA stimano che per assestare un colpo mortale all’ISIS
serviranno dai 12 ai 15 mila guerriglieri dell’opposizione anti-Assad.
Su richiesta della Casa Bianca, però, il Congresso ha appena approvato
un pacchetto da 500 milioni di dollari per addestrare appena 5 mila
“ribelli”, così che la differenza dovrà essere compensata in qualche
altro modo.
Nel frattempo, da Washington a Londra e da Parigi a
Roma, la classe politica occidentale di ogni colore e schieramento, dopo
avere dato il proprio appoggio alla nuova guerra criminale americana,
continua ad alimentare la paura nella popolazione per possibili
attentati terroristici “imminenti”.
Ciò serve a contrastare
un’opposizione sempre più diffusa nei confronti di una nuova guerra in
Medio Oriente, anche se non sembra essercene traccia a giudicare dai
media più importanti. A questo stesso scopo, poi, gli USA, in
collaborazione con la stampa “mainstream”, si sono letteralmente
inventati un nuovo gruppo terroristico, definito subito più feroce e
minaccioso anche dell’ISIS.
La nuova fantomatica formazione
integralista risponderebbe al nome di Khorasan e sarebbe composta da non
più di una ventina di affiliati ad al-Qaeda, intenti a progettare
attentati in Occidente che, inizialmente, sembravano essere ormai sul
punto di essere messi in atto ma che poi si è scoperto essere solo in
fase di studio.
Secondo gli Stati Uniti, i membri di Khorasan
sarebbero stati spazzati via già durante le prime ore delle operazioni
in Siria, anche se, a ben vedere, non è per niente chiaro in questo caso
quali obiettivi siano stati realmente colpiti, visto che dell’esistenza
della nuova terribile creatura della “guerra al terrore”, partorita
dall’apparato militare e dell’intelligence a stelle e strisce, non
sembrano esserne a conoscenza nemmeno gli stessi militanti sunniti
dell’opposizione anti-Assad operanti in territorio siriano.
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