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21/09/2014

Guerra a Gazzo Padovano


“Era fuori di sè. Convinto di essere in guerra, è salito su un traliccio dell’alta tensione, immaginando di essere circondato da nemici armati fino ai denti. Ha urlato a lungo “Wolf”, il nome di battaglia del suo amico e comandante, un sergente, che era stato ucciso in battaglia. Dava ordini, implorava aiuto. Per farlo scendere, la military police e i carabinieri, comprendendo che stava vivendo in un incubo, gli hanno dato ordini come se fossero in guerra. E solo allora ha obbedito.”

Fin qui, la cronaca de Il Giornale di Vicenza. Ma cosa sarebbe successo se il militare statunitense trentenne, rientrato da circa un anno dalla missione in Afghanistan, fosse stato armato? Magari con uno dei cimeli che i soldati si portano a casa dal fronte. E se sotto il traliccio fosse passato un uomo, magari con la barba? O una donna che, visti i primi freschi autunnali, fosse stata coperta da una sciarpa? Cosa sarebbe successo se il soldato, immerso nel suo delirio guerriero, avesse aperto il fuoco contro coloro che, in quello che military police e carabinieri hanno riconosciuto come un incubo, potevano apparirgli possibili terroristi da neutralizzare?

Vicenza scopre, grazie alle notizie di cronaca, un’altra compensazione legata alla militarizzazione del territorio. La guerra e la sua pazzia, che vediamo solo sui telegiornali, può diventare realtà su un traliccio di uno dei tanti Comuni nei quali vivono i soldati tornati dal fronte. E che non sia partito un proiettile non è il frutto di una scelta ponderata, ma una pura casualità. Non è casuale, invece, che certi episodi accadano: la responsabilità - anche quella di eventuali tragedie - sta nelle scelte di chi ha voluto una base militare.

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