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21/09/2014

Jihadisti Tagliagole: chi, quanti, dove, come batterli


L’Islamic State come minaccia globale da quando, a fine giugno, al-Baghdadi si distacca dalla formazione qaedista “Islamic State of Iraq and Sham”, l’Isis, e crea il Califfato. Le forze dei ‘Tagliagole’ in campo e le troppe contraddizioni della coalizione statunitense con la Siria e con l’Iran.

Un esercito numeroso e agguerrito
I dati incerti raccolti dall’intelligence occidentale dicono che l’IS ha oltre 30 mila combattenti provenienti da 84 Paesi di cui circa 12 mila sono occidentali convertiti e può contare sul supporto di “Al Qaeda in the Arabic Peninsula” yemenita e di “Al Qaeda in the Islamic Maghreb”, dell’area sahelo-sahariana.
Contro il Califfo sta diventando operativa la Coalizione Statunitense, contro la Coalizione filo occidentale si sta formando l’alleanza di tutte le entità qaediste più o meno “moderate” irachene compresa “al Nusra” - ufficiale rappresentante di Al Qaeda in Iraq - con le quali ha raggiunto intanto un’intesa di non “belligeranza” in Siria.

Armi e risorse per comprarle
E anche come armamento gli jiadisti non stanno affatto male.
Il Califfato sarebbe in possesso di un importante arsenale composto da 3 MIG-21B, contraeree ZSU-23 ed SA-16, carri armati T-55 e T-72, Blindati Humvees, Razzi M-79, Artiglieria T 59-1, per la gran pare sottratti agli Eserciti iracheni e siriani.
Con queste forze IS controlla un territorio che in Iraq spazia da Dahuk, cittadina del Nord al confine con Turchia e Iran, ad al-Hillah, al Sud, oltre all’area siriana nel Nord-Ovest da Aleppo ad Abu Kamal, al Sud al confine con l’Iraq.
IS si è impossessato di risorse energetiche in Siria e Iraq dalla cui vendita guadagnerebbe 2-3 milioni di dollari al giorno e disporrebbe di circa 2 miliardi di dollari dal traffico di reperti archeologici, saccheggi di istituti di credito e taglieggiamenti.

Da dove spunta l’IS? Miraggio nel deserto?
Ma come si è materializzato IS senza che alcuno se ne accorgesse prima?
In realtà, le origini di IS non sono un segreto ed erano prevedibili come emerge anche da una modesta conoscenza delle complesse dinamiche della Regione interessata.
Basta andare indietro, al 2012, quando il Re saudita nomina Bandar bin Sultan a capo dell’Intelligence nel pieno della crisi siriana.
Nomina che suscita l’entusiasmo del senatore repubblicano statunitense John McCain che in un’intervista resa alla CNN nel gennaio 2014 sottolinea la valenza di quella nomina perché costituisce una discontinuità rispetto alla precedente policy di sicurezza del Regno.

L’interventismo arabo saudita e dintorni
Già da allora i media pongono in rilievo la veloce avanzata in Siria di al-Nusra e ISIS, di gran lunga superiori agli altri movimenti jihadisti e all’Esercito Libero Siriano, e prevedono la rapida caduta del regime siriano.
Inchieste condotte allora sostenevano che i Paesi del Golfo avrebbero finanziato le formazioni jihadiste alludendo, senza nominarli per mancanza di prove, ad Arabia Saudita, Qatar e Kuwait.
Solo nel 2013, il New York Times riferisce che ingenti somme di denaro sarebbero state trasferite da banche kuwaitiane a organizzazioni combattenti in Siria.
Molti media occidentali pubblicano notizie di ricchi sauditi e kuwaitiani che supporterebbero Al Nusra e ISIS arricchendo le formazioni jihadiste dedite all’impossessamento di armi sottratte a esercito e caserme, rapine alle banche e attentati in Siria.

Le conversioni di fede
Nel 2013 la stampa inizia a riferire del crescente numero di occidentali convertiti all’Islam trasferiti in Siria per combattere contro il regime, passando attraverso i valichi fra Turchia e Siria con il tacito consenso di Ankara.
Notizie che allarmano i Sauditi e portano alle dimissioni di Bandar bin Sultan ufficialmente per motivi di salute ma probabilmente perché con i jihadisti sarebbe andato oltre il mandato ricevuto da chi li finanziava.
Ma era già troppo tardi.
Solo poche settimane fa il New York Times ha scritto che Arabia Saudita e salafiti dovevano interrompere i loro rapporti con i terroristi.
Nell’editoriale si osserva che mentre l’Iran ha supportato Hezb’Allah in Libano e rinforzato gli sciiti di Siria e Iraq senza diffondere l’odio fra sciiti e sunniti, al contrario hanno fatto i wahabiti sauditi che hanno scatenato guerre civili di matrice religiosa.

Vecchi nemici di ieri amici necessari di oggi
La Coalizione Internazionale promette raid in Iraq e in Siria, anche se con quest’ultima non intende avere alcun contatto.
Damasco protesta: vengono forniti armamenti e logistica all’opposizione “moderata” che ha raggiunto l’intesa di non belligeranza con IS. Nell’opposizione cosiddetta “moderata” farebbe ora parte anche al Nusra, rappresentante di Al Qaeda in Iraq che fa parte delle organizzazioni terroristiche.
Contraddizioni clamorose. La cosiddetta ‘comunità internazionale’ non intenderebbe coordinarsi neppure con l’Iran, ‘convitato di pietra’ che combatte IS con unità d’élite ed è disponibile al coordinamento.
Questa frammentazione fra i protagonisti esterni e i diretti interessati vincolerà l’esito di una lunga guerra.

Fonte

La conclusione dell'articolo è un'ipoteca pesantissima su un futuro che è già presente.

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