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26/09/2014


Stiamo vivendo in un paese devastato, in cui "la fermezza" vale come repressione solo dei più deboli o degli oppositori politici. Come dimostrano i casi di Nunzio, Luca, Paolo, "i quattro" della Val Susa, ecc. E' questo il primo pensiero che dovrebbe venire in testa ai fautori - un tantinello ottusi - della "legalità" come unico criterio di valutazione della decisione e partecipazione politica. Almeno quando si trovano davanti a una notizia di questo tipo:
Sono state trovate “nuove prove” a carico del generale Mario Mori, presentate dal procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato all'apertura del processo d'appello per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel ‘95. Scarpinato ha chiesto la riapertura dell'istruzione dibattimentale e l'acquisizione di numerosi documenti, compresi alcuni atti "classificati" dei servizi segreti, sulla carriera di Mori e su diversi episodi dai quali emergerebbero pratiche investigative poco chiare.
Tra le circostanze contestate dall'accusa anche una condotta depistante che nel 1993 impedì l'arresto a Terme Vigliatore, nel Messinese, del boss catanese Nitto Santapaola. Secondo Scarpinato, Mori avrebbe operato per "finalità occulte", e per "disattendere doveri istituzionali” in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria, venendo meno "all'obbligo di lealtà" nei confronti dell'autorità giudiziaria. Nel corso del processo di primo grado il generale Mori e il suo braccio destro, Mauro Obinu, sono stati assolti "perché il fatto non costituisce reato".
Naturalmente non entriamo nel merito degli atti di un processo complicatissimo, di cui ignoriamo molto (come tutti quelli che credono di farsene un'idea "tifando" per una o l'altra parte).

Constatiamo che sul banco degli imputati c'è un generale dei carabinieri ritenuto dal suo comando "uomo degno di fiducia" e del mantenimento di un comando importante per molti anni. Uno di quei personaggi al quale i cultori della "legalità" affiderebbero ad occhi chiusi le chiavi della politica e delle istituzioni.

Non ci metteremo qui a disquisire sulla differenza tra "legalità" e "giustizia", che impegna da qualche millennio le migliori menti del genere umano. Ci limiteremo a ricordare che "legalità" è un concetto che designa semplicemente "la legge che esiste in questo momento", che magari è la più infame del pianeta (do you remember le leggi razziali? erano leggi regolarmente votate da un Parlamento a disposizione di un governo, come quello in vigore grazie al "porcellum" e ancor più se verrà approvato l'"Italicum"). Una realtà labile, in perenne trasformazione, cui si è vincolati "per legge" ma che è mutabile in ogni momento. Non un totem, non "le tavole della legge".

Soprattutto, ci limitiamo ad osservare che i "custodi della legge" - magistrati, polizie, carabinieri, ecc. - sono uomini come gli altri. Ambiziosi, o solo avidi; quindi corruttibili, comprabili, come tutti gli altri. Non esiste "garanzia" che affidando a un gendarme il potere di decidere cosa si può fare e cosa no si faccia una scelta saggia, "equa", uguale per tutti. Lo si vede negli Stati Uniti tutti i giorni, a Ferguson come a Los Angeles. E in Italia, ogni giorno.

Non c'è modo di delegare la giustizia. Quando lo si fa, si diventa schiavi.

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