“Rimane poco tempo”. Parola di Hassan Rohani, l’uomo che ha guidato i negoziati sul nucleare iraniano per quasi un anno con il sorriso. Ora, dopo l’ennesimo round di colloqui tra la Repubblica islamica e le potenze del 5+1 (Usa, Ue, Russia, Gran Bretagna, Francia + Germania) conclusosi nello stallo più totale, esorta i suoi omologhi a fare progressi rapidi nel negoziato, il cui termine è fissato per il 24 novembre. “Ci sono stati passi avanti – ha detto il presidente iraniano in conferenza stampa a New York ieri, dopo che giovedì era intervenuto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite – ma non sono stati significativi. Ed è rimasto poco tempo”.
Il dito è puntato di nascosto contro le potenze del 5+1, ree di aver mostrato “poca flessibilità” nei colloqui finora e destinatarie di un suggerimento molto chiaro: adesso tocca a voi. Ma le potenze non sembrano volersi muovere più di tanto. All’invito del presidente iraniano sul fatto che “un accordo sul nucleare potrebbe mettere fine a tre decenni di relazioni congelate tra Washington e Teheran e rappresenterebbe l’inizio di un percorso verso la cooperazione e la collaborazione”, il segretario di Stato americano John Kerry ha risposto dicendosi “speranzoso” che l’accordo venga siglato al più presto.
Finita quell’atmosfera ottimistica che aveva pervaso i primi mesi di negoziato, ormai nessuno più parla di progressi nei colloqui. I ministri degli Esteri del 5+1 hanno addirittura saltato la sessione di ieri, che si teneva a New York in parallelo all’Assemblea Generale, con il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius che ha ammesso di aver disertato per mancanza di “progressi significativi”, mentre i funzionari statunitensi hanno parlato di “sovrapposizioni di impegni in agenda”.
Ad eccezione della Russia, il cui ministro degli esteri Sergei Lavrov è stata una voce fuori dal coro nel definire “entrambe le parti interessate a risolvere le piccole ma importanti questioni che ancora permangono”, a entrambe le parti sembra chiaro che la scadenza si avvicina e che le due posizioni si allontanano sempre di più. La questione che appare più insormontabile è quella dell’arricchimento dell’uranio. Washington vuole che essa cessi del tutto per evitare che l'Iran possa servirsene un giorno per costruire un eventuale ordigno nucleare (molto improbabile, dato che l’Iran ha appena diluito tutte le sue scorte di uranio altamente arricchito sotto la supervisione dell’agenzia Onu per il nucleare, ndr), ma Teheran, seppur desiderosa di concludere un accordo che porti un allentamento delle sanzioni, ha ripetuto più volte che non accetterà mai di rinunciare al suo programma nucleare destinato, a detta delle autorità, a scopi energetici.
Fonti diplomatiche hanno rivelato all’Associated Press che gli Stati Uniti stanno prendendo in considerazione un nuovo approccio, che permetterebbe a Teheran di mantenere quasi la metà delle centrifughe già in funzione ma al tempo stesso ridurre la quantità di uranio gassoso immesso nelle macchine al punto in cui ci vorrebbe più di un anno di arricchimento per creare abbastanza materiale per una testata nucleare. I diplomatici hanno sottolineato che la proposta è soltanto una delle tante in discussione dalle sei potenze e non è stata ancora formalmente presentata agli iraniani. Altre idee includono anche lasciare l’Iran con più di 1.500 macchine, ma rimuovere o distruggere gran parte delle infrastrutture necessarie per farle funzionare – la connessione di circuiti, i tubi utilizzati per alimentare il gas di uranio e altre attrezzature ausiliarie.
Anche se si dovesse raggiungere un accordo sull’arricchimento dell’uranio, non c’è alcuna garanzia che si superino gli altri scogli: durata delle limitazioni al programma nucleare (l’Iran chiede meno di dieci anni, il 5+1 oltre i dieci) e il destino dei reattori di Arak e di quello sotterraneo di Fordo, che gli Usa vorrebbero chiudere soprattutto perché è ben protetto dagli attacchi aerei.
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