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29/09/2014

Libano, la guerra al fanatismo sunnita colpisce i profughi siriani

Un campo vicino ad Arsal ieri, 25 settembre (Fonte: facebook, Khalil Lemarekh)
di Giorgia Grifoni

Decine di morti e quasi 500 “sospetti islamisti” arrestati: è il bilancio dell’operazione condotta ieri all’alba dall’esercito libanese nella zona di Arsal, al confine con la Siria, enclave sunnita nella valle della Bekaa tradizionalmente sciita ad alta concentrazione di profughi siriani e teatro della battaglia delle istituzioni libanesi ai movimenti qaedisti capitanati dal fronte al-Nusra. Le tensioni nella zona – già grandi a causa dell’enorme numero di rifugiati provenienti dalla Siria e dai traffici di armi che vi transitano – si sono aggravate nel mese di agosto, quando un commando di jihadisti si è infiltrato oltre il confine e ha raggiunto la cittadina di Arsal, scatenando gli scontri con l’esercito libanese nei quali decine di miliziani e di soldati sono rimasti uccisi, mentre una trentina tra militari e poliziotti sono stati rapiti: 3 sono stati decapitati nel mese di settembre. I campi profughi di Arsal, accusano le autorità libanesi, sarebbero il terreno di proliferazione dei jihadisti siriani nel Paese dei Cedri e nell’ultimo mese, sostengono i residenti, sono stati bersagli di attacchi da parte di civili come di militari.

E proprio qui che all’alba di ieri l’esercito ha fatto irruzione, radendo al suolo un campo e arrestando centinaia di persone. Negli scontri, secondo l’esercito, sarebbero cadute decine di qaedisti, mentre alcune tende del campo profughi adiacente sarebbero state date alle fiamme. Stando a un comunicato emesso dal comando militare libanese, ” tre persone in sella a una motocicletta hanno tentato di appiccare il fuoco nell’altro campo: così l’esercito ha sparato, uccidendo uno di loro e ferendo gli altri due”. Centinaia di altri profughi siriani si sono poi radunati ad Arsal e hanno intonato slogan in favore dello “Stato islamico” in segno di protesta, ha riferito l’agenzia stampa nazionale NNA. Ma i residenti del campo, compreso un funzionario anonimo intervistato dall’agenzia AFP, danno una versione diversa: “E’ stato l’esercito a cospargere di benzina le tende e ad appiccare il fuoco. Sono bruciate a centinaia. Hanno poi attaccato le donne e i bambini, circondando gli uomini e trascinandoli via dopo averli percossi. Ero lì, ho visto un vecchio di 90 anni con le ossa frantumate per i colpi ricevuti”. 

Secondo il racconto di Muhammad Zein, medico di uno degli ospedali da campo di Arsal che ha raccolto le testimonianze dei feriti, i morti tra i civili sono stati 4, tra cui un uomo di 62 anni. Al-Zein ha raccontato che il primo campo a essere stato attaccato è stato quello di Ras Sharj verso le 5 del mattino. “Nel campo – spiega al-Zein – c’erano circa 140 famiglie. I militari sono entrati con le armi spianate e hanno radunato circa 200 maschi, di età compresa tra i dieci e i settant’anni”. Subito dopo è stato attaccato il campo Sanabil (circa 120 tende) e altre due tendopoli più piccole (40 tende). In tutto sono stati portati via 486 maschi”. Secondo la testimonianza del medico, confermata da foto e video circolati sui social network, molti dei fermati sono stati fatti spogliare e lasciati in mutande. Con le mani legate dietro alla schiena sono stati fatti distendere a terra e i loro corpi sono stati calpestati e colpiti con i calci di fucile. Il generale Qawhaji, capo dell’esercito libanese, ha assicurato che “risolverà presto la crisi di Arsal” senza commentare le accuse di gravi violazioni ai danni dei profughi siriani mosse ai suoi militari, mentre un portavoce dell’esercito ha tacciato di “bugie” le testimonianze dei residenti, ricordando che “le nostre truppe agiscono rispettando gli standard internazionali del trattamento umanitario”.

Difficile verificare le fonti in una zona quasi irraggiungibile da oltre un mese a causa dei continui blocchi stradali organizzati dalle famiglie di alcuni dei poliziotti e militari rapiti all’inizio di agosto dai miliziani di al-Nusra. I media locali riportavano i rapimenti di alcuni profughi siriani “per rappresaglia” compiuti da alcune di queste famiglie. All’inizio di settembre c’erano segnalazioni di rapimenti in tutta la valle della Bekaa, con le autorità libanesi che si erano affrettate a rivelare che “alcune bande stanno approfittando del clima settario, delle tensioni del Paese e del caos che regna nella valle della Bekaa per compiere sequestri di persona a scopo di estorsione”, così come ieri hanno prontamente risposto che il fuoco nel campo profughi era stato appiccato da “facinorosi”. Eppure i media panarabi nei giorni scorsi avevano diffuso i filmati di gravi violazioni commesse dai soldati libanesi contro profughi siriani nella zona di Arsal, con tende dei campi date alle fiamme, arresti e percosse, tanto che  l’esercito è stato recentemente costretto a prendere le distanze dai soldati mostrati in un video prendere a calci e a pugni uomini siriani, tra cui un disabile con un arto amputato.

Se la memoria corre a Nahr al-Bared (il campo profughi palestinese a nord di Tripoli raso al suolo dall’esercito libanese nel 2007 per eradicare gli estremisti di Fatah al-Islam, una mini guerra civile costata la vita a un centinaio di civili e la casa a oltre 6 mila famiglie, ndr), le autorità libanesi invitano invece alla calma e al rispetto dei rifugiati siriani che, come ha detto recentemente in un discorso televisivo il premier Tammam Salam “sono la nostra famiglia, hanno chiesto il nostro aiuto e noi li abbiamo assistiti”. Ma ribolle di rabbia, il Paese dei Cedri, per i suoi soldati rapiti e decapitati e se la prende sempre di più con i profughi, arrivati a quota 1.1 milioni su una popolazione di soli 4 milioni in un paese al collasso economico: siriani insultati, malmenati e allontanati dalle tendopoli sono all’ordine del giorno, milizie cristiane che si armano per la prima volta dalla fine della guerra civile “per autodifesa” si aggiungono alle altre milizie – sciite o sunnite – attive da molti anni, in un calderone che ha già dato prova molte volte di poter esplodere.

E intanto i politici libanesi cominciano a chiedere un maggiore impegno nella lotta contro i jihadisti e un’azione più incisiva nella liberazione dei soldati rapiti: mentre il Partito Socialista Progressista di Walid Jumblatt ha proposto uno scambio di prigionieri, oggi il leader delle Forze Libanesi Samir Geagea ha suggerito al governo di condurre attacchi mirati contro gli obiettivi terroristici “in totale coordinazione con le forze di coalizione internazionale” . Dopo il miliardo di dollari versato lo scorso mese dall’Arabia Saudita per finanziare l’esercito nella “lotta contro il terrorismo e le organizzazioni jihadiste”, Beirut si è recentemente alleata con la Coalizione anti-Isis impegnandosi a combattere “il terrore in casa nostra”, chiedendo “armi, aerei e denaro”, pur non concedendo basi né logistica per gli attacchi in Siria. Ma con il fronte al-Nusra – il gruppo jihadista più presente in Libano, ndr – pressato dai propri membri per riconciliarsi con l’Isis e unirsi al ‘Califfato’ nella lotta comune “contro l’invasore”, le carte in tavola a Beirut potrebbero cambiare bruscamente.

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