di Michele Paris
Confermando un’evoluzione in corso da qualche tempo e impensabile
soltanto alcuni anni fa, la General Motors (GM) la settimana scorsa ha
annunciato il trasferimento di una linea di produzione di un modello
Cadillac da un impianto in Messico a uno negli Stati Uniti. La notizia è
stata accolta con grande entusiasmo dai politici locali e, soprattutto,
dal sindacato UAW (United Automobile Workers), protagonista delle
contrattazioni collettive nel settore automobilistico che hanno portato
alla creazione di condizioni ampiamente favorevoli al business a stelle e
strisce per il ritorno in patria di alcune attività manifatturiere.
A
partire dalla fine del 2015, GM sposterà dunque la produzione della
nuova versione del “crossover” Cadillac SRX negli stabilimenti di Spring
Hill, nel Tennessee, sottraendola all’impianto di Ramos Arizpe, nello
stato di Coahuila, nel Messico settentrionale. Ciò consentirà la
creazione e il mantenimento di circa 1.800 posti di lavoro negli Stati
Uniti.
Non solo, GM ha anche promesso un investimento di 185
milioni di dollari per produrre a Spring Hill nuovi motori della
famiglia “EcoTec” da 75 a 165 cavalli, più piccoli cioè di quelli simili
che già escono dalla catena di montaggio del Tennessee per due modelli
Chevrolet. I nuovi motori continueranno a garantire occupazione a 390
lavoratori.
Nello stesso comunicato stampa, i vertici GM hanno
anche prospettato un investimento da 48,4 milioni di dollari nella
fabbrica di Bedford, nell’Indiana, dove verranno creati 45 nuovi posti
di lavoro sempre per la produzione di motori EcoTec che finiranno su 27
modelli entro il 2017.
Le conseguenze dello spostamento della
produzione in territorio americano sui lavoratori messicani non sono
state rese note né, com’era prevedibile, i sindacati USA si sono
preoccupati di fare riferimento ai possibili licenziamenti a sud del
confine. In Messico, GM ha già ridotto il personale alle proprie
dipendenze nei mesi scorsi in seguito a un calo delle vendite, anche se
la Reuters ha citato una fonte aziendale secondo la quale almeno una
parte della produzione della Chevrolet Equinox potrebbe essere
trasferita all’impianto di Ramos Arizpe.
Quest’ultimo modello
viene costruito attualmente proprio a Spring Hill, dove era stato
portato da GM dopo la sospensione nel 2009 della produzione in Tennessee
del marchio Saturn a causa della bancarotta pilotata del gigante di
Detroit.
A condensare in una sola frase le ragioni del rimpatrio
di una linea di produzione GM dal Messico è stato il governatore del
Tennessee, il repubblicano Bill Haslam, che ha ricordato come il suo
stato possa oggi realizzare prodotti manifatturieri “in competizione con
qualsiasi paese del mondo”.
Infatti, a convincere il management
GM non sono state tanto, o non solo, le capacità degli operai di Spring
Hill di produrre auto di qualità - come ha sostenuto un dirigente
qualche giorno fa - bensì una realtà nella quale la differenza nei costi
del personale tra gli Stati Uniti e paesi come il Messico si è
notevolmente ridotta.
Questa
evoluzione è stata possibile grazie al ruolo svolto dai sindacati, in
grado di far digerire ai lavoratori pesantissime concessioni negli anni
seguiti alla crisi del 2008 e oggi elogiati dai vertici GM per le buone
relazioni istituite in fabbrica.
Come ha spiegato la
vicepresidente di UAW, Cindy Estrada, la quale ha incassato compensi per
un totale di 156 mila dollari nel 2013, il sindacato automobilistico ha
infatti “lavorato con GM per realizzare questa storia di successo
attraverso il processo di contrattazione collettiva”.
Ancora, la stessa dirigente del sindacato ha sottolineato la natura
corporativa della sua associazione, respingendo la mentalità del “noi
contro di loro” che impedirebbe il raggiungimento di “elevati standard
lavorativi e di vita” per i propri affiliati.
Alle “storie di
successo” dei sindacati americani, in realtà, possono brindare quasi
esclusivamente le grandi aziende manifatturiere, i cui profitti sono
aumentati sensibilmente negli ultimi anni grazie ai tagli delle spese di
produzione. La sola General Motors, ad esempio, nel 2013 ha registrato
utili pari a 3,8 miliardi di dollari, anche se nel 2014 sono crollati
per le cause legali in corso relative a difetti di fabbricazione che in
alcuni modelli avevano causato numerosi decessi nel decennio scorso.
Lo
spostamento della produzione della Cadillac SRX in Tennessee, che
dovrebbe essere seguita in futuro da un secondo modello, è in sostanza
una ricompensa per un sindacato che, a partire dal 2009, ha permesso
l’implementazione di praticamente tutte le modifiche contrattuali
richieste dal management GM.
Punto cardine degli accordi tra
proprietà e sindacato dopo la bancarotta, oltre alla riduzione dei
benefici sanitari riservati ai lavoratori in pensione, era stato il
ricorso su più ampia scala a un doppio livello di retribuzione, già
concordato nel 2007. In base ad esso, GM può pagare circa 15 dollari
l’ora i propri neo-assunti, vale a dire la metà della paga base
precedente.
Questi
livelli di retribuzione consentono di sopravvivere appena al di sopra
della soglia ufficiale di povertà negli Stati Uniti e hanno
rappresentato soprattutto il punto di riferimento per una corsa al
ribasso nel resto dell’industria americana, dove coloro che hanno
trovato un impiego in questi anni possono solo sognare gli stipendi che
un tempo garantivano una vita dignitosa.
Il sostanziale processo
di impoverimento della “working-class” americana ha avuto inoltre la
totale approvazione dell’amministrazione Obama. Il presidente
democratico aveva anzi lanciato subito dopo l’ingresso alla Casa Bianca
una campagna per promuovere una sorta di “insourcing” dell’industria
statunitense, così da convincere le grandi corporations a riportare in
patria unità produttive trasferite negli anni in America Latina o in
Asia orientale.
Questa politica, come già ricordato, ha favorito
le grandi aziende, mentre i posti di lavoro creati nel settore
manifatturiero - comunque ancora ben al di sotto dei livelli pre-crisi -
risultano quasi sempre sotto-pagati, “flessibili” e con pochi o nessun
benefit come l’assistenza sanitaria. Complessivamente, così, dal 2009 a
oggi le retribuzioni in termini reali dei lavoratori in ambito
manifatturiero negli USA sono calate di quasi il 2,5%, mentre la
contrazione nel solo settore automobilistico ha toccato addirittura il
10%.
Per politici, sindacalisti e commentatori “liberal”,
tuttavia, questa è l’unica realtà oggi a disposizione dei lavoratori,
costretti a scegliere soltanto tra disoccupazione cronica e condizioni
di impiego sempre più simili a quelle della prima metà del secolo
scorso. Il capitalismo in crisi strutturale, insomma, non ha ormai
nient’altro da offrire a decine di milioni di lavoratori se non povertà e
un futuro di precariato.
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