19/11/2014
La dittatura egiziana: alleato anti Califfo crea imbarazzo
Per contrastare i jihadisti del movimento DAISH il Dipartimento di Stato USA offre sostegno a tutti i Governi che intendono contrastare le milizie del Califfo. Il Libano si arruola in fretta data la fragilità delle sue Forze armate. L’Egitto non ha accolto l’offerta Usa. Per convenienza reciproca.
Alleato, ma di nascosto
Per contrastare i jihadisti del movimento DAISH il Dipartimento di Stato USA offre sostegno a tutti i Governi che intendono contrastare le milizie di Abu Bakr al Baghdadi. Il Libano partecipa subito vista la fragilità delle sue Forze armate, l'Egitto invece rifiuta l’offerta statunitense e stupiscono il mondo.
L’Egitto soprattutto, che potrebbe trarre vantaggio dal partecipare alla Coalizione anti DAISH-Isis-Califfo. Il Presidente al-Sisi, protagonista del colpo di Stato del 3 luglio 2013, è ora accettato nel consesso internazionale. E soprattutto sono tornati quei 1300 milioni di dollari/anno in aiuti militari dall’alleato americano. Sempre validi restano i rapporti privilegiati con Israele, Arabia Saudita, Paesi del Golfo. Oltre a una profonda conoscenza della potenzialità sovversiva di DAISH.
Il Cairo, insieme agli Emirati Arabi Uniti, appoggia in Libia l’ex generale Khalifa Haftar nella lotta contro Ansar al-Sharia che ha giurato obbedienza a Baghdadi e ha proclamato il Califfato di Derna, in Cirenaica.
Ancora di più, l’Egitto ha ‘in casa’ un’insidiosa e proclamata cellula di DAISH.
Oppositori chiamati ‘terroristi’
Sin colpo di Stato che destituisce il Presidente legittimamente eletto, l’esponente dei Fratelli Musulmani Morsi, le condizioni socio-economiche della penisola del Sinai sono peggiorate.
Ondate di scioperi in tutti i settori che vengono affrontate invocando la ‘lotta contro il terrorismo’ con campagne di intimidazioni, denunzie e arresti indiscriminati.
In Egitto, ma soprattutto nel Sinai, le enormi masse operaie non sono mai riuscite a ottenere un reale cambio di regime nonostante l’illusoria ‘primavera’ del 2011. Ma dopo l’investitura dell’ex generale al-Sisi alla Presidenza della Repubblica lo scorso giugno, le condizioni socio-economiche del Paese sono persino peggiorate.
Una politica economica neo-liberista di radicale austerità per le classi medio-basse. Obiettivo, lo smantellamento del minimo welfare residuo con riduzione dei sussidi per l’energia e introduzione di nuove tasse oculatamente inique.
Un solo esempio: il prezzo del gas è aumentato del 175% per i veicoli del trasporto pubblico e solo del 30 – 40% per le fabbriche, per la totalità dirette e/o riferibili a quadri militari in pensione, pur essendone evidente il diverso consumo. Ovviamente, l’aumento del prezzo dell’energia ha comportato quello di tutte le merci, alimentari e no.
Si radicalizza l’odio sociale
Una spinta alla radicalizzazione più estrema di segmenti sociali privati del presente e senza futuro. Accade sia fra i gruppi islamici che tra quelli secolari dediti a traffici illegali di armi e persone.
Il numero degli attacchi contro le Forze di sicurezza aumenta nonostante l’ottimo rapporto con Israele che consente una maggiore presenza all’Esercito egiziano nell’area di confine.
L’avvicinarsi delle elezioni parlamentari previste per il prossimo dicembre (ma presumibilmente posposte), viene colta dal più attivo gruppo jihadista operante in Sinai: Beit al-Maqdis, di originaria matrice qaedista e da settembre affiliato a DAISH.
Il 24 ottobre, venerdì, giorno dedicato alla preghiera, a Sheikh Zuwayed, nel Nord del Sinai, una serie di esplosioni e due kamikaze uccidono 31 soldati e ne feriscono altrettanti. La reazione del Presidente è immediata. Facendo riferimento a imprecisate ‘Forze Esterne’, al Sisi dispone raid aerei contro le roccaforti dei militanti di Beit al-Maqdis; stato d’emergenza nella regione per tre mesi; coprifuoco dalle 5 del pomeriggio alle 7 di mattina; poteri speciali a Forze Armate e Polizia; chiusura a tempo indeterminato del valico di Rafah con la Striscia di Gaza.
La tenaglia contro Hamas
Il Presidente al-Sisi ordina anche di creare una zona cuscinetto al confine con la Striscia di Gaza, nel Nord del Sinai.
Vengono cacciate dalle loro case 1.156 famiglie poi demolite dell’Esercito col dichiarato intento di impedire attentati jihadisti.
Il nemico esterno ha un nome: è Hamas, il movimento islamico palestinese, dichiarato ‘terrorista’ dall’Egitto, che l’accusa di complicità attiva con Beit al-Maqdis cui invierebbe combattenti e armi.
Ecco il ‘Nemico esterno’ che serviva, perché quello interno lo ha individuato dal tempo in cui era generale e Ministro della Difesa: i Fratelli Musulmani, tutti in prigione a cominciare dal Presidente Morsi, dichiarati a loro volta ‘terroristi’.
Al Sisi segue in questa sua battaglia l’Arabia Saudita, EAU e Bahrein, che hanno bandito Fratelli Musulmani e Hamas dai loro Paesi perché ‘terroristi’.
La militarizzazione dell’Egitto intanto procede velocissima, senza trascurare alcun settore.
L’Egitto con le stellette
Dall’inizio di novembre, l’Esercito presidia tutte le infrastrutture pubbliche, poste sotto controllo militare per due anni (strade, ponti, centrali gasiere ed elettriche) e messe in sicurezza dalla Polizia che deve coadiuvare l’Esercito.
La Polizia militare controlla gli Atenei i cui Capi Dipartimento sono nominati direttamente dal Presidente al-Sisi. In questo anno accademico sono 230 gli studenti arrestati.
Attuato lo smantellamento dei Fratelli Musulmani e l’emarginazione di Hamas, la repressione mira ora alle Organizzazioni non Governative e ai militanti dei movimenti di sinistra, arrestati a decine di migliaia anche grazie alla ‘legge anti-proteste’.
Per un più efficace controllo anche della semplice dissidenza sono stati ripristinati i processi militari contro i civili.
Il grande silenzio circonda la restaurazione in Egitto.
In questa situazione, il rifiuto della generosa offerta americana è pienamente comprensibile non solo dall’Europa ma anche dal Dipartimento USA che comunque ha recentemente criticato la legge anti-proteste.
Fonte
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