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13/05/2015

La guerra al congiuntivo

Martedì 5 maggio, il cappuccino mi è andato di traverso. Ero intento alla quotidiana lettura dei giornali, quando, giunto alla pagina culturale di Repubblica (ho detto la pagina culturale!) ho notato la pubblicità di un libro delle edizioni “Raffaello Cortina”: “Pensate anche voi che più si conoscono gli uomini più si amano i cani?”

“Amano” c’è scritto proprio “Amano” al posto di “Amino”, come la dipendenza da un verbo di pensiero imporrebbe. Per lo sciagurato redattore che ha compilato la manchette il congiuntivo è una malattia degli occhi che si cura con il collirio.

La Cortina è una delle nostre case editrici più raffinate, pubblica libri straordinari, bellissimi; non è ammissibile che una casa editrice così faccia uno svarione del genere e nella manchette pubblicitaria sulla pagina culturale del quotidiano più diffuso.

La cosa non può passare liscia: il dott. Raffaello Cortina convochi nel suo studio il responsabile di questa bruttura, lo fissi con gelido disprezzo, in silenzio, ne afferri saldamente la testa per i capelli e ne batta l’inutile cranio contro uno stipite. Non con odio o ira, ma con calma, metodo e ritmo. Quindi, con apposita pinzetta, ne strappi i peli del naso e lo colpisca ai malleoli. Ed altrettanto faccia il direttore di Repubblica con il responsabile della pagina culturale che non ha vigilato.

Ormai si legge tranquillamente sul Web che il congiuntivo tende a sparire dall’italiano, perché ritenuto un modo “ridondante”. Per cui non vale più la pena di distinguere fra il modo della certezza e quello della probabilità, dell’ipotesi, dell’incertezza, della possibilità.

Meglio tutto all’indicativo. E perché non usare per tutto il solo infinito? “Tu fare schifo” “io volere mangiare” “Bersani essere cagasotto” e così via, abolendo anche l’artico che è di una ridondanza spaventosa. E perché non passare direttamente al linguaggio dei gesti?

Ma le origini di questa guerra al congiuntivo risalgono addietro nel tempo, almeno alla fine dei sessanta, ricordo che un giorno sentii distintamente, da un juke box, tal Piero Focaccia che cantava:

“Lo so sono audace
ma il rischio mi piace,
mi faccia felice
e fuggisca con me.”

Quel “fuggisca” era già un proditorio assalto all’idioma nazionale, ma, pur sempre il tanghero, nelle latebre del suo pensiero, prendeva in considerazione l’idea che la “bella straniera” potesse mandarlo per piste e, dunque, adottava una forma approssimativa di periodo ipotetico.

Poi venne Celentato (il Torquemada della lingua italiana) che cantò:

“Io non vorrei che tu,
a mezzanotte e tre,
stai già pensando a un altro uomo”

Ora: risulta evidente il carattere deliberato dello sfregio linguistico perpetrato, perché non c’è alcuna ragione metrica per mutare il naturale “stia” nel perentorio “stai”, indicativo della certezza. Ed uno si chiede: <>

Ma le cose sono definitivamente degenerate con l’anglomania dilagante, per la quale ormai si fanno lezioni in inglese e ci si sente tanto “globalizzati”. Come è noto, la lingua inglese non ha una modalità distinta per il congiuntivo, ma usa l’infinito senza to in funzione del periodo ipotetico. E la cosa non è affatto un innocente vezzo linguistico, ma tradisce un preciso retroterra psicologico. In questa ostilità al modo verbale della possibilità, dell’incertezza, del dubbio si coglie l’insopportabilità di ogni resistenza alla propria volontà di potenza. Il padrone non ama il congiuntivo, perché preferisce esprimersi all’indicativo e, meglio ancora, all’imperativo.
E’ così che inizia il conflitto di civiltà: si inizia con un  congiuntivo che scivola nell’indicativo, e si arriva ai droni, alle bombe intelligenti, a Guantanamo.

Ed allora che si fa? Vi faccio una proposta: fondiamo il Fronte Nazionale di Resistenza del Congiuntivo ed iniziamo con adeguate forme di lotta. Che ne dite?

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