La Gran Bretagna negli ultimi anni, per la sinistra italiana istituzionale o di movimento ha fatto notizia soprattutto per i riot. Quelli che si svolgono a debita distanza dall’Italia e che quindi, a differenza dei nostri, possono essere tranquillamente evidenziati come indice della crisi sociale provocata dal liberismo. Qualche parola sulle elezioni del 7 maggio non fa invece male, specie se si esce dalla chiacchiera elettorale e si entra nelle questioni politiche.
Prima di tutto anche queste elezioni sono state difficili da prevedere. Fino a poche ore dallo spoglio dei seggi l’incertezza regnava in ogni genere di previsione. Non è la prima volta, le europee italiane del 2014 lo mostrano, che ad un certo punto l’imprevedibilità dei comportamenti prende il sopravvento su ogni tipo di analisi. Questo per dire che l’analisi previsionale, in politica, cambia strumenti, tipo di complessità tecnologica e rimane lo stesso in ampie zone d’ombra. Se non cambiasse strumenti la politica istituzionale non potrebbe capire la società. Specie in un mondo dove l’evoluzione tecnologica è processo di indirizzo delle trasformazioni sociali. Ma, allo stesso tempo, per quanto debba entrare in questi processi tecnologici che indirizzano le trasformazioni sociali, la politica istituzionale non riesce ugualmente a prevedere i comportamenti sociali. Il caso e il caos non solo facili da domarsi.
Il dato più propriamente politico sta in una vittoria dei conservatori che, socialmente parlando, rappresentano più del 36% scarso ottenuto in elezioni col la solita alta astensione. I conservatori, dalla Thatcher in poi, sono infatti l’agenda politica della Gran Bretagna degli ultimi trentacinque anni. Gli stessi laburisti si sono fatti conservatori, sotto le insegne del new labour di Blair, per sopravvivere nella politica britannica. Tra il consenso al liberismo della Thatcher e quello al liberismo di Cameron ci sono delle differenze d’epoca non trascurabili. Quello della Thatcher saldava populismo della piccola proprietà azionaria diffusa con le esigenze di ristrutturazione del big business. Quello di Cameron è espressione di un paese il cui Pil è per metà espressione diretta dei servizi finanziari. In questo senso il Quantitative Easing della Banca di Inghilterra, più aggressivo di quello di Draghi nel continente, e la bolla immobiliare hanno fatto più consenso, in un paese dove i servizi finanziari producono una sterlina su due esistenti, di qualsiasi critica sociale. In modo da assorbire persino il populismo Ukip, grazie anche ai temi del referendum sull’Ue previsto da Cameron per il 2017. Anche perché, come per l’Italia, per il populismo ci vuole il popolo ovvero una certa affluenza. Infatti ad astensione alta, perlomeno rispetto a parametri italiani, l'Ukip alla fine ha ceduto il passo. Come, in maniera meno netta, in Francia il fronte nazionale della LePen. Meno persone votano, come in una società fortemente classista come quella britannica, più i temi populisti faticano a conquistare l’elettorato. In alcuni momenti la protesta funziona, vedi Ukip alle europee 2014 con alta astensione, ma alla prova decisiva l’elettorato, se la base dei votanti è ristretta, chiede risposte più tecniche, narrazioni meno pittoresche e una politica più vicina all’idea corrente di amministrazione piuttosto che allo spettacolo. La riduzione delle aspettative, luhmaniana prognosi per la politica delle società successive al fordismo, continua così a mantenere radici. In veste di società duale: metà legata ai servizi finanziari, metà esclusa, metà entro il gioco della politica istituzionale metà sideralmente lontana dalla politica.
Resta da dire che la Gran Bretagna del 7 maggio pone due problemi all’Europa e quindi a noi. Il primo è legato alla difficoltà degli scambi tra UK e resto d’Europa entro la stessa economia europea. Si leggono diverse analisi che parlano di economie divergenti o che comunque per l’economia inglese, l’Unione Europea rappresenta uno scambio ineguale. Queste convinzioni sono destinate a pesare nel prossimo futuro nel dibattito inglese rispetto all’Europa. E possono diventare, specie se si acuisce la crisi greca, qualcosa di centrifugo per tutta l’Unione Europea. C’è poi la questione di ciò che vorrebbe, veramente, esportare verso l’Ue il governo Cameron. Si tratta dei servizi finanziari che la Borsa di Londra, prima piazza finanziaria d’Europa, tende a clonare nel continente. Anche questo può essere un problema per la Ue e non solo per le collocazioni in borsa del Dax di Francoforte. Può esserlo in vista di una compiuta unione europea dei capitali, prevista da Bruxelles nel 2018, che può cambiare la faccia dell’Europa liberista quanto l’introduzione dell’Euro.
Ma una Londra debole nello scambio economico con l’Ue non è compatibile con una Londra forte nell’unificazione di capitali, e servizi finanziari. Non c’è da dubitare che tutte queste contraddizioni si riverseranno su una Ue forte solo nella retorica.
Altra questione è il riemergere dell’indipendentismo scozzese pochi mesi dopo la sconfitta del referendum. La composizione elettorale scozzese non è toccata dalla finanziarizzazione del Pil inglese, per quanto proprio il timore di perdere il contatto con la City abbia fatto la differenza nel referendum del 2014. Oltretutto l’indipendentismo scozzese scommette su una integrazione con l’Ue, per favorire l’interscambio col continente, mentre Cameron, nella prossima stagione politica, sembra promettere turbolenze proprio con l’Unione Europea.
E c’è anche da giurarci che le esigenze di Londra, differenziarsi dall’Ue economicamente e far valere il proprio peso finanziario (sterilizzando la questione scozzese) peseranno sulle trattative legate al trattato sul commercio transatlantico. Tutto questo sembra lontano ma può anche diventare vicino, con il suo carico di criticità, se la questione greca di radicalizza. Non a caso la Banca di Inghilterra, pur dal suo punto di vista liberista, una volta eletto Tsipras ha fatto notare che l’Europa non poteva permettersi l’austerità. Tutte questioni, con nuovo voto conservatore, destinate a riemergere come critiche. Grazie ad un voto di destra ad una società che, ma solo ad occhi superficiali, sembra thatcheriana per sempre.
Redazione, 12 maggio 2015
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