L'opera
teatrale Vita di Galileo di Bertold Brecht ci fornisce un grande spunto
di riflessione sul ruolo storico della scienza e i suoi rapporti con le
masse popolari.
La vicenda di Galilei è nota: fu
costretto all'abiura dalla chiesa cattolica per la sua adesione alla
teoria eliocentrica, che contraddiceva il geocentrismo presente nella
libro della Genesi.
L'interesse principale di Brecht
era mettere in luce il rapporto tra scoperte scientifiche e masse
popolari: Galileo doveva apparire come «gigantesca figura», fautore di
«una scienza legata al popolo» (1), e allo stesso tempo, Brecht voleva
dimostrare il ruolo regressivo che ebbe la sua abiura. Scrisse nelle
note all'opera teatrale che Galileo: «arricchì l'astronomia e la fisica,
nello stesso tempo in cui le svuotò di gran parte del loro significato
sociale». Fino all'abiura, queste discipline combatterono direttamente
contro la chiesa e la sua ideologia «in difesa di ogni progresso». (2)
Dopo
la resa di Galileo la chiesa poté riconquistare la sua forza e lo
“scandalo” sollevato degenerò «in una disputa tra specialisti». Le
scienze naturali, nel corso della storia, non torneranno più così vicine
al popolo. Nell'abiura Brecht scorge «”il peccato originale” delle
scienze naturali moderne». (3)
Galileo, trasformando
l'astronomia in una scienza indifferente nei confronti del sistema
produttivo e delle implicazioni sociali del suo sviluppo, può dirsi
paradossalmente “padre” della bomba atomica che come «fenomeno tecnico
non meno che sociale, è il classico prodotto terminale delle sue
conquiste scientifiche e del suo fallimento sociale». (4)
Sappiamo
dal Breviario di estetica teatrale che Brecht, in quanto marxista,
apprezzava criticamente la scienza e la sua applicazione tecnologica
tramite la rivoluzione industriale.
L'umanità, grazie
all'industrializzazione, poté «rendere abitabile il pianeta su cui
viveva […] il vapore fu diretto ad azionare veicoli; alcune piccole
scintille […] rivelarono una forza naturale capace di produrre la luce,
di portare il suono al di là dei continenti». (5)
Ma
allo stesso tempo lo spirito scientifico non arrivò ad animare tutti gli
uomini allo stesso modo e «non ha ancora penetrato veramente le grandi
masse», dal momento che la scienza è divenuta appannaggio di una sola
classe sociale, la borghesia, che continua ad adombrare le possibilità
di una sua differente applicazione tramite nuovi rapporti sociali
«reciproci degli uomini nello sfruttamento e sottomissione della
natura». (6)
Nel modo di produzione capitalistico
«l'aumento della produzione provoca l'aumento della miseria, e solo
pochi uomini traggono un utile dallo sfruttamento della natura» (7)
tramite lo sfruttamento di altri uomini. Quello che potrebbe essere lo
sviluppo di tutti gli uomini diviene lo sviluppo di pochi e una grande
quota della produzione è destinata a «creare mezzi di distruzione per
terribili guerre […] le madri di tutte le nazioni, stretti al petto i
loro bimbi, scrutano atterrite il cielo dove rombano le micidiali
invenzioni della scienza» (8)
Per Brecht occorre
strappare la scienza alla classe borghese che la sfrutta all'interno dei
rapporti di produzione capitalistici e restituirla all'umanità,
identificata marxianamente col proletariato come “classe universale”,
tramite un nuovo modo di produzione socialista.
Come
possiamo notare da queste pagine, Brecht non mette in discussione il
valore del metodo scientifico, ma il suo utilizzo sociale, la sua
applicazione tecnologica all'interno di rapporti sociali di produzione
storicamente determinati.
Paolo Rossi ha scritto: «Il
discorso sugli usi della scienza va tenuto rigorosamente distinto da
quello che concerne la conoscenza scientifica del mondo» (9),
sottolineando che il discorso sugli usi è un discorso soprattutto
politico.
Il fisico Richard P. Feynman ricorda, in una
conferenza, un incontro con un monaco buddhista che gli disse che ad
ogni uomo viene data la chiave del paradiso, ma la stessa chiave può
aprire le porte dell'inferno. Per la scienza vale lo stesso: è la chiave
del paradiso o dell'inferno, e non abbiamo istruzioni che ci dicono
quale sia la porta giusta per accedere al paradiso. Tuttavia afferma
Feynman: «Dovremmo forse buttare via la chiave, e perdere l'unica
speranza di aprire le porte del paradiso? O non dovremmo piuttosto
sforzarci di trovare il modo migliore di usarla ?» (10).
La risposta non può che essere affermativa, non possiamo permetterci di buttare via la chiave.
Tenendo ben a mente che il problema degli usi della scienza rimane di natura prettamente politica.
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BIBLIOGRAFIA
Brecht Bertold (1998), I capolavori. Volume secondo, Torino, Giulio Einaudi.
Brecht Bertold (2001), Scritti teatrali, Torino, Giulio Einaudi.
Feynman P. Richard (1999), Il senso delle cose, Milano, Adelphi.
Rossi Paolo (2006), Il tempo dei maghi. Rinascimento e Modernità, Milano, Raffaello Cortina.
NOTE
1. Brecht (1998), p. 126
2. Ivi, p. 127
3. Ibidem.
4. Ivi, p.128
5. Brecht (2001), p. 120
6. Ibidem.
7. Ivi, p.121
8 . Ibidem.
9 . Rossi (2006), p. 302
10. Feynman (1999), p. 17
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