di Michele Giorgio – Il Manifesto
Hamas ha arrestato i miliziani del Jihad Islami responsabili del
lancio di cinque razzi martedì sera verso Israele perché, ha
spiegato una fonte del movimento islamico, quanto è accaduto va
contro gli interessi di Gaza e gli interessi nazionali
palestinesi. I reparti di sicurezza di Hamas, nonostante
i bombardamenti israeliani su Gaza compiuti ieri prima dell’alba,
sono stati ugualmente dispiegati in vari punti della Striscia per
impedire eventuali altri lanci di razzi. Lo stesso Jihad Islami ha
partecipato agli arresti dei sospetti che avrebbero agito senza il
sostegno della leadership dell’organizzazione, in conseguenza di
una disputa interna cominciata dopo la nomina di un nuovo
responsabile militare nel nord di Gaza. Di questo e della
situazione politica a Gaza abbiamo parlato con l’analista
palestinese e docente universitario Mukheir Abu Saada.
Alle conseguenze devastanti di “Margine Protettivo”
e del blocco che da anni attuano Israele ed Egitto, si aggiunge un
crescente caos politico che neanche il pugno di ferro di Hamas pare
riuscire a tenere sotto completo controllo. Per Gaza esiste una via
uscita da tutto questo.
L’uscita da questa catastrofe che peggiora con il passare dei
giorni, dipende prima di tutto dai palestinesi. Occorrono una
sincera riconciliazione tra Fatah (il partito del presidente Abu
Mazen, ndr) e Hamas e l’allargamento alla Striscia di Gaza delle
responsabilità del governo di consenso nazionale (nato circa un
anno fa, ndr) che deve prendersi cura di tutta la popolazione
palestinese nei Territori occupati. Subito dopo è necessario un
accordo di tregua permanente tra Hamas e Israele che preveda la
costruzione di un porto marittimo per collegare Gaza al resto del
mondo. Sono i primi ma fondamentali passi per venir fuori da questa
condizione insostenibile. Al momento però non abbiamo alcun segnale
che una tregua a tempo indeterminato sarà accettata dalle parti
e da Israele in modo particolare.
Da settimane però circolano indiscrezioni su contatti segreti tra Hamas e Israele.
Se ne discute tanto ma non abbiamo elementi sufficienti per
confermare queste voci. Si dice che il Qatar e la Svizzera
starebbero spingendo per portare Israele e Hamas ad un'intesa non
scritta ma il movimento islamico ha smentito con decisione queste
indiscrezioni.
Qualcosa di vero però sembra esserci visto il nervosismo dell’Autorità nazionale palestinese a Ramallah.
L’Anp e Fatah sono diffidenti verso qualsiasi contatto tra
Israele e Hamas, perché in un modo o nell’altro mette ai margini il
ruolo del governo di Ramallah che si considera l’unico
rappresentante politico del popolo palestinese, l’unico con la
facoltà di negoziare per conto dei palestinesi sulle questioni
riguardanti la Striscia di Gaza. Non solo questo. A Ramallah si
ritiene che una intesa anche solo verbale tra Hamas e Israele
finirebbe per istituzionalizzare la divisione tra la
Cisgiordania e Gaza (in atto dal 2007, ndr) e per sfociare nella
formazione di una entità politica autonoma se non addirittura in
un mini Stato palestinese. Ciò spiega la campagna contraria alla
possibile intesa sotterranea tra Israele e Hamas avviata dall’Anp
e dalla leadership palestinese di Ramallah.
Questo scenario certo non dispiacerebbe a Israele ma non verrebbe accettato dall’Egitto di Abdel Fattah al Sisi.
Vero, l’opposizione del Cairo è il vero ostacolo alla
realizzazione di questo disegno. L’Egitto conduce una guerra senza
sosta contro i Fratelli Musulmani e, di conseguenza, tiene sotto
pressione anche Hamas che è il ramo palestinese dell’organizzazione
islamista. Come Abu Mazen anche al Sisi non vuole intese tra Israele
e Hamas che portino alla creazione di una entità territoriale
semiufficiale, di fatto riconosciuta da Israele, governata dal
movimento islamico palestinese. A Benyamin Netanyahu non importa
nulla delle reazioni di Abu Mazen ma il premier israeliano sa che non
può alienarsi le simpatie di un alleato tanto prezioso come
l’Egitto.
Intese minime con Hamas per mantenere calma la situazione,
usando allo stesso tempo le notizie che filtrano per tenere sotto
pressione Abu Mazen. Netanyahu pensa in questi termini?
Credo di si. Il premier israeliano non è interessato ad avviare
un negoziato serio, concreto con Abu Mazen. Piuttosto pensa a come
approfondire la spaccatura interna palestinese, a come allargare
la separazione tra Cisgiordania e Gaza, perché ritiene questo
scenario il percorso migliore per impedire l’indipendenza
palestinese. In linea con ciò, Israele ha aumentato leggermente il
numero dei permessi di spostamento per gli abitanti di Gaza
e concesso un lieve allentamento del blocco facendo entrare (a Gaza)
qualche autocarro carico di merci e materiali per la ricostruzione.
Ovviamente è del tutto insufficiente per i bisogni della nostra
popolazione ma abbastanza per creare un conflitto politico tra
Cisgiordania e Gaza e per far passare Abu Mazen come un leader
isolato e debole, che non rappresenta tutti i palestinesi e non può
essere un partner credibile per i negoziati con Israele.
Dal vostro punto di vista quali sono gli obiettivi di Netanyahu?
No alla fine dell’occupazione militare dei Territori, no alla
nascita di uno Stato palestinese, sì alla divisione del popolo
palestinese.
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