Ok, parlare di Giuseppe Civati il giorno dopo il grande successo politico ed elettorale delle liste collegate a Podemos e alla sinistra nuova dello stato spagnolo sembra un eccessivo spreco di energie e di tempo. O forse parlare di Civati è sempre uno spreco di tempo.
La presentazione del suo nuovo "movimento" - chiamato Possibile - ci ispira però qualche considerazione semi seria.
Con un genio degno del migliore Von Clausewitz, il nostro presunto nuovo leader della sinistra italiana ha avuto la bella pensata di richiamare il nome Podemos per collegarsi idealmente all'esperienza spagnola nel fondare il suo nuovo "movimento" (scusate le virgolette, ma davvero non ce la facciamo a chiamare seriamente movimento qualcosa che esiste solo nella mente del suo portavoce e che comunque è un progetto politico verticistico e senza legami sociali), che quindi si chiamerebbe Possibile.
Ma, chissà se inconsapevolmente o meno, Civati ha sbagliato la traduzione.
Mente Podemos/Possiamo è l'esortazione collettiva di chi è consapevole che insieme e dal basso si può cambiare, Possibile ci pare un triste rimando alla piattezza di quanto è realizzabile, di quanto è nel campo del realismo politico, della sinistra così com'è. Richiamo realistico, forse, ma anche una presa d'atto di quanto questa sinistra possibile abbia un richiamo pari a poco più di zero (non parliamo di percentuali elettorali, che poco ci interessano, in questo momento).
Chissà se Civati era inconsapevole anche quando ha scelto il simbolo che riportano i quotidiani di oggi. Sembra incredibile, ma è proprio lo stesso simbolo che i quotidiani sportivi assegnano graficamente in classifica alle squadre che pareggiano, che restano immobili. Un rimando alla piattezza, alla staticità. Il simbolo di un pareggio appunto, non certo di una vittoria possibile. Che può andare bene per il "primo non prenderle" di calcistica memoria, ma ci pare abbastanza triste per un progetto politico che si vorrebbe di cambiamento.
Ben diverso il cerchio di Podemos, che richiama ancora una volta un progetto collettivo, un'esperienza che si vuole democratica e partecipata. Altro che un movimento fondato dall'alto, che sarà anche possibile, ma ben poco necessario.
Dopo il successo delle liste collegate a Podemos nello stato spagnolo, quello che resta della cosiddetta sinistra radicale italiana si è lanciata nella solita elegia all'unità della sinistra.
Parliamoci chiaro: l'esperienza di Podemos sta all'unità della sinistra di Ferrero-Vendola-Civati come l'unità dal basso di lavoratrici e lavoratori sta al sindacato unico di Renzi (e di CgilCislUil).
Da una parte ci sono processi sociali che diventano esperienza politica, partecipata e con un segno di novità che può trasformare la sinistra "oltre la sinistra" (come recita il sottotitolo del bel libro su Podemos di Giacomo Russo Spena e Matteo Pucciarelli).
Dall'altra c'è la triste e perdente riproposizione di un ceto politico che si pensa parte della soluzione, quando è parte - a differenti responsabilità - del problema della sinistra di questo paese, umiliata e offesa anche da loro (oltre che da processi sociali profondi).
Gli sfugge che un progetto politico di cambiamento anche in Italia presuppone non solo un forte movimento sociale ma anche la rottura della gabbia dei residui della sinistra radicale. Senza questo, nulla è possibile.
Fonte
Nulla da eccepire sulla critica a Civati (e ci mancherebbe che questo giovane trombone non venga intellettualmente mazzolato come merita), ma ho l'impressione che nella sinistra movimentista gli entusiasmi per gli exploit della "nuova" sinistra d'oltre confine siano un po' eccessivi e prestino al fianco a potenziali batoste future.
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