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27/05/2015

Barcellona e Madrid, cominciano i problemi per Podemos e le sinistre

Dopo la sbornia elettorale di domenica sera nelle maggiori città e in alcune comunità autonome dello Stato Spagnolo ora è il momento dei negoziati per formare le future maggioranze di governo e la strada per le forze vincitrici sembra essere costellata di contraddizioni e tutta in salita.

A Barcellona quelli di Podemos e gli altri partiti di sinistra e centrosinistra riuniti nella coalizione Barcelona en Comù – ICV (ex-comunisti ed ecologisti), EUiA (la sezione locale di IU), gli ecologisti di Equo, Procés Constituent e Guanyem Barcelona, nata dall’istituzionalizzazione di alcuni pezzi del movimento contro l’austerità – sono arrivati in testa, ma se vorranno eleggere sindaco della capitale catalana la battagliera Ada Colau – proveniente da una famiglia della media borghesia – dovranno formare un’alleanza con altri partner.

Teoricamente BeC, prima con il 25% dei voti e 11 consiglieri ma assai lontana dalla maggioranza assoluta, si è appellata sia alla sinistra indipendentista radicale della Cup (entrata per la prima volta in consiglio comunale con 3 eletti) che ai socialisti (crollati da 11 a 4 seggi), ma i primi è assai difficile che convergano in una maggioranza di governo all’interno della quale ci sono forze politiche – in particolare Iniziativa per la Catalogna – e personaggi che hanno a lungo governato città e regioni applicando negli scorsi anni politiche liberiste, realizzando tagli al welfare e implementando privatizzazioni che la Cup combatte nelle istituzioni e nelle strade.

Ada Colau, 41 anni, una laurea in filosofia, madre di un bimbo di quattro anni, «attivista dei diritti umani e della democrazia» (così si definisce), in prima linea contro la speculazione edilizia, le banche e gli sfratti in anni di militanza nella Plataforma de Afectados por la Hipoteca, ha annunciato un programma di «buon senso» e alcune misure di forte impatto sociale incentrate sul diritto alla casa e sul sostegno dei disoccupati: per un totale di 160 milioni di euro ai quali si aggiungono 50 milioni per il lavoro. Si tratterebbe di uscite del tutto compatibili con il budget cittadino, fa sapere.

«Non vogliamo che nessun abbia paura di noi. Solo i corrotti e chi vuole mantenere le disuguaglianze», ha detto dopo la vittoria elettorale. «Voglio subito parlare con le banche e vedremo di collaborare per trovare appartamenti vuoti da mettere a disposizione di chi non ha una casa con affitti sociali» ha spiegato la potenziale sindaca minacciando multe per gli istituti di credito che decideranno invece di tenere sfitti gli immobili. Sempre per aiutare le famiglie, il nuovo sindaco intende negoziare con le compagnie di acqua, gas e elettricità per evitare il blocco delle forniture in seguito a eventuali ritardi nel pagamento delle bollette. Colau ha anche promesso che si ridurrà lo stipendio da sindaco – a circa 2mila euro al mese contro i circa 11mila del suo predecessore, il regionalista di centrodestra Xavier Trias il cui partito, CiU, è sceso a 10 consiglieri e al 22,7% rispetto ai 14 precedenti con il 28,7% – e che intende abolire le auto blu e le spese di cerimoniale. Prevista anche una per ora non meglio precisata stretta sugli enti e le municipalizzate a partire dal Consorzio della Zona Franca e dalla Fiera.     

Basterà una ‘politica del buon senso’ o quel ‘buon governo’ che la Colau e i suoi collaboratori hanno spesso richiamato nel corso della campagna elettorale per governare una grande città dove le contraddizioni sociali e la povertà sono aumentate esponenzialmente dopo anni di diktat della troika? Basteranno gli investimenti promessi a ridurre le crescenti diseguaglianze? Sarà in grado una maggioranza tanto eterogenea ed infiltrata da un ceto politico inamovibile e adatto a tutte le stagioni di contrastare gli appetiti e i ricatti dei poteri forti locali e statali?

Se BeC imbarcasse i socialisti e forse anche i nazionalisti socialdemocratici di Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) – in aumento dal 5,6 all’11% e da 2 a 5 consiglieri anche grazie alla confluenza dei socialisti catalanisti in fuga dal PSC – il già minimalista programma anticasta e antiausterity dei settori più avanzati della coalizione vincitrice andrebbero a finire nel dimenticatoio.

Assai interessante e dettagliata l’analisi proposta da Andrea Geniola in un suo recente articolo che lontano dai toni trionfalisti e spesso disinformati di tanta stampa progressista italiana mette invece in fila luci ed ombre del voto catalano e in generale di quello amministrativo spagnolo di domenica scorsa. Scrive Geniola a proposito di Barcellona:
“L’appoggio alla BEC ha avuto una chiara origine di classe o quantomeno nella cultura politica della sinistra della città. La lista vince nei quartieri popolari e raccoglie consensi di massa su quelle linee che hanno caratterizzato lo sviluppo ineguale e classista di Barcellona dalle Olimpiadi del 1992 in poi: turismo, gentrificazione, speculazione immobiliare e quella politica d’immagine che ha trasformato la città in meta ambita da convegnisti, bohémien e avventurieri di ogni risma. Barcellona è oggi una città con dei trasporti costosissimi, un alto costo della vita per quanto riguarda beni comuni come l’acqua, carente in strutture scolastiche pubbliche e con un’offerta spropositata di centri privati. Contro la città di CiU, che ad esempio ha smesso di costruire scuole e asili e che in continuità con il modello impiantato dai socialisti si è dedicata alle grandi e costosissime opere per rendere il centro della città un accogliente salotto per il turista danaroso, in molti hanno individuato nella BEC l’alternativa credibile di buona gestione e cambio di rotta. Orbene, i dubbi circa le possibilità reali di realizzazione di quest’alternativa non sono pochi. In primo luogo, vi sono delle cause esterne e oggettive. Il risultato elettorale, oltre la visualizzazione di una volontà politica di alternativa, consegna, al contrario del caso di Madrid, un panorama frammentato che rasenta l’ingovernabilità. Grazie alla legge elettorale spagnola il candidato di maggioranza relativa può essere sindaco anche “d’ufficio” ma la governabilità è un’altra cosa e l’unica soluzione matematicamente possibile sembra essere un governo di sinistra composto da BEC, ERC, PSC e CUP. (...) Orbene, dato che né repubblicani né socialisti condividono alcune soluzioni radicali in termini sociali che invece rappresentano l’asse centrale del programma della BEC, ciò significa già in partenza prevedere di mettere nel cassetto proprio quelle proposte che hanno alimentato il successo della lista. In secondo luogo, e di conseguenza, entrano in gioco le questioni politiche di fondo e diciamo interne.

La Colau, cui spetta adesso il compito di formare la maggioranza ha certamente suscitato grandi entusiasmi. È stata per lungo tempo attivista e leader del movimento anti-sfratto e contro la speculazione immobiliare. Il suo programma è certamente appetibile e rappresenta un condensato delle rivendicazioni dei movimenti sociali di questi ultimi anni: fermare gli sfratti, garantire l’accesso alla casa, ridurre drasticamente il prezzo di acqua, luce e gas e fermarne il taglio in caso di morosità a causa di situazioni di disoccupazione e povertà, trasparenza amministrativa, difesa e potenziamento di educazione e sanità pubblica, trasporto pubblico a prezzi ridotti, protezione dei settori sociali e generazionali più deboli, politiche attive contro la discriminazione di genere e, nel complesso, lo sganciamento delle logiche del profitto da quelle del welfare. Tutto magnifico ma esistono dei problemi, delle questioni di fondo. La candidata della BEC ha mostrato in campagna elettorale un forte personalismo, per affermazioni fatte dagli ambienti stessi della lista, che rasenta il ridicolo. Quella della BEC è stata l’unica candidatura ad avere come simbolo elettorale sulla scheda la faccia del candidato sindaco. Cosa che ci si può aspettare dai partiti tradizionali in via di americanizzazione ma che stona non poco con una proposta “alternativa” così coraggiosa. A questo elemento simbolico che potrebbe anche essere un semplice aneddoto se ne aggiungono altri. Per scorgerli dobbiamo scavare un po’ più a fondo. Quando la piattaforma elettorale della Colau, Guanyem Barcelona, decide di allearsi, tra gli altri, con ICV, ne accetta l’appoggio economico e ne assume l’eredità politica. Si da il caso però che la coalizione rosso-verde post-comunista sia una delle formazioni maggiormente indebitate con le banche, quelle stesse banche che richiedono lo sfratto di quelle famiglie che essendo rimaste senza reddito non possono più pagare il mutuo della casa. Inoltre, ICV è corresponsabile (ovviamente in parte soltanto) dell’attuale modello di città che la BEC si propone di cambiare. Si tratterebbe di una questione secondaria se la stessa candidata non avesse pubblicamente rivendicato la figura e l’opera del sindaco che ha posto le basi e avviato il processo di gentrificazione di Barcellona, il socialista Pasqual Maragall (Un cafè amb el candidat: Ada Colau, in “Ara”, 20.05.2015, p. 11). (...)”
Questa è la assai complicata situazione postelettorale a Barcellona. Ma anche in altre città dello stato non va molto meglio.

A Madrid è avvenuto un vero e proprio terremoto per quanto riguarda la composizione del nuovo consiglio comunale. La destra del PP è crollata dal 49,7% e 31 consiglieri al 34,5% e 21 consiglieri, e per la prima volta i socialisti del PSOE non se ne sono affatto avvantaggiati, crollando a loro volta dal 23,9% e 15 consiglieri al 15,3% e 9 consiglieri. Vincitrice della competizione è stata la coalizione Ahora Madrid (formata da Podemos, da una parte di IU, da Equo e dalla lista civica di ‘movimento’ Ganemos Madrid) che ha ottenuto il 31,8% e 20 dei 57 consiglieri comunali. Tonfo clamoroso per il settore autonomista di Izquierda Unida, che passa dal 10,7% e 6 consiglieri all’1,7% e nessun eletto. Contenuto è stato invece il risultato del partito liberista di centrodestra Ciutadanos, che con il 11,4% e 7 consiglieri recupera solo in parte l’emorragia dei due grandi partiti del sistema e di una lista simile alla creatura di Albert Rivera. Nel 2011 infatti i liberisti dell’UPyD avevano preso il 7,8% e 5 consiglieri.

Così come nella capitale catalana, in quella statale se vorrà governare la coalizione guidata dalla giurista Manuela Carmena dovrà rivolgersi agli odiati socialisti, abbandonando buona parte del proprio programma riformista. E anche se la coalizione di governo si facesse, Ahora Madrid e PSOE avrebbero solo 29 consiglieri su 57, uno più della maggioranza.

Ci risulta di nuovo prezioso il punto di vista di Andrea Geniola, secondo il quale sia BeC sia Ahora Madrid non sono espressione di una sinistra alternativa ma di una sinistra ‘di alternativa’. Può sembrare un dettaglio semantico ma non lo è affatto. Scrive l’analista:
“La BEC e Ahora Madrid sono oggi delle forze che per il momento hanno ottenuto l’obiettivo di sostituire i socialisti nel loro ruolo di alternativa turnista alla destra o centro-destra. Questa sinistra non ha l’obiettivo di trasformare il modello socio-economico vigente ma di offrirne una versione più giusta, partecipativa ed equitativa. Invece la CUP sembra postularsi come una sinistra “di rottura”. Questa più che obiettivi di buona gestione ha l’intenzione di usare i propri rappresentanti istituzionali come la “voce dei senza voce” ma l’attività istituzionale non è il centro del suo intervento. Ad esempio, tra le proposte della CUP per Barcellona figura la creazione di un Consiglio Popolare municipale come strumento di raccolta delle istanze popolari e fomento di autorganizzazione per la produzione di rivendicazioni base da far “esplodere” in Comune. Il tutto in una prospettiva anticapitalista, cosa che non appare per nulla chiara nell’offerta politica della BEC che non sembra voler attaccare le logiche di mercato ma circoscriverle in una sorta di neo-keynesismo post-socialdemocratico. Il paradigma attorno al quale si muove la politica municipale della CUP è quello dell’uso del municipio come base per l’autodeterminazione (sociale e nazionale) e la costruzione di contropotere locale alla legalità costituita, cosa che la BEC non si sogna nemmeno di pensare. Insomma, due modelli che difficilmente potranno collaborare in Consiglio Comunale o confluire in vista delle prossime elezioni catalane per il rinnovo del Parlamento”.

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