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29/05/2015

Sta iniziando la fine della Ue?

Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue:

- la dichiarazione di Draghi: “l’Euro non è più scontato”

- la vittoria di Podemos in Spagna

- la vittoria dei nazionalisti in Polonia

- l’altalena del default greco.

Iniziamo dalla prima: Draghi dice che se la tendenza a divaricare dei paesi dell’Eurozona dovesse proseguire, l’Euro non sarebbe più sostenibile, non solo economicamente, ma anche politicamente e socialmente. Ma no!? Ma non mi dire! Chi lo avrebbe mai detto?!

Insomma, l’Euro è una architettura che non può resistere ancora a lungo alle tendenze divaricanti dell’Europa, e si approssima il momento dei conti. Ovviamente la ricetta di Draghi è la più scontata: armonizzare con le riforme la struttura sociale dei paesi dell’Unione, dove per riforme si intende essenzialmente il taglio delle pensioni, il peggioramento delle prestazioni sociali (sanità, istruzione ecc.) e la fine tendenziale della loro gratuità o del loro prezzo politico. Però... mai che si parli di armonizzare le norme fiscali... chissà perché?!

Ovviamente la notizia non è quel che dice Draghi, che, a questo punto, è una banalità, ma che a dirlo sia lui, il gran sacerdote dell’euro. Significa che anche ai piani alti del Palazzo si iniziano a sentire gli scricchiolii della costruzione e si inizia ad ammettere che tutto possa crollare.

In effetti le due notizie di Spagna e Polonia dicono proprio questo: che, se il fine dell’Euro era la convergenza delle economie europee, l’operazione è fallita ed iniziano ad esserci i contraccolpi politici.

Si badi che i due risultati contemporanei di Madrid e di Varsavia non delineano affatto una tendenza omogenea: esse hanno in comune il malessere nei confronti di questa costruzione tecnocratica ed antipopolare che è la Ue, ma poi prendono strade a loro volta divaricanti, in base alla diversa posizione economico finanziaria del paese.

L’ordine neoliberista, di cui la velleitaria costruzione europea è espressione nel nostro continente, si è imposto come unico assetto legittimo dei poteri, si è espresso nella dittatura del pensiero unico, ma questo ha finito per precludere la strada ad ogni ricambio interno: è la dittatura dell’esistente, che non immagina altro ordine possibile diverso da sé. Ma questo provoca a sua volta una regressione del pensiero politico che impedisce ogni ricambio di èlite. Resta la protesta, ma questo non vuol dire che sia pronta una ipotesi di ricambio.

Vedremo se Podemos saprà esprimere una progettualità più matura e capace di porsi come alternativa di sistema (ce lo auguriamo, ma abbiamo diversi dubbi). Sin qui M5s, e movimenti similari minori non sono andati molto al di là della protesta e non hanno fatto molti passi avanti sul piano del progetto. Anche Syriza, alla prova del governo, non sta fornendo una prestazione smagliante e sta, man mano, mostrando tutti i limiti della sua impostazione moderata.

Questo ci porta al nodo del debito greco. Dopo molti giorni di annuncio della impossibilità di pagare la rata del debito con il Fmi, che avevano iniziato a far ballare le borse europee, di colpo sembra che, anche questa volta, Atene abbia trovato i soldi per magia e pagherà. Il che, di nuovo, fa sorgere molti dubbi sull’origine di questo denaro: hanno rotto un nuovo salvadanaio? O c’è la mano discreta di qualcuno che opera con criteri politici ed è in attesa di qualcosa? (mi piacerebbe sapere che ne pensa Lamberto Aliberti...). Quello che è difficile da credere è che ce la possano fare tassando i prelievi bancomat, a meno di non trattenere percentuali altissime di essi: se fosse stato così semplice, perché mai non farlo subito?

Ma, lasciando da parte l’origine di questi capitali freschi, notiamo che questo è il modo scientifico di diventare “a Dio spiacenti ed ai nemici sui”. La finanza internazionale avrebbe ragione di non prendere più sul serio i “penultimatum” ateniesi che dicono sempre che è l’ultima volta che si paga e poi pagano regolarmente. Però facendo ogni volta una manfrina che manda in tensione le borse. Insomma: “se i soldi per pagare li hai, paga e non fare storie”. Dal loro punto di vista, i signori della finanza non hanno tutti i torti. E, quindi, la prossima volta nessuno prenderà sul serio l’annuncio di mancato pagamento.

Tsipras somiglia molto a Renzi: soffre di annuncite. Però, il governo di Syriza, diventa spiacente anche al suo popolo, perché, a parole promette di metter fine all’austerità, poi fa un po’ di storie, ma alla fine paga, varando nuove misure di auterity. Cosa è il prelievo sui bancomat se non una nuova tassa indiretta? Magari non basterà neppure a pagare la rata in scadenza e dietro c’è altro, ma i cittadini percepiscono un nuovo taglio del loro reddito, per cui iniziano a pensare che, un po’ alla volta, Tsipras farà come chi lo ha proceduto ed accentuerà la linea dei “sacrifici”.

Ma soprattutto: per quanto si può andare avanti con questi espedienti? Di rate in scadenza, pesanti quanto o più di questa, ce ne sono ancora e non poche. E la soluzione non può che essere o accettare in toto la linea di Berlino o dichiarare default una volta per tutte, apprestandosi ad uscire dall’Euro. E la linea berlinese non prevede alcuna “happy end”: spremerà la Grecia sino all’ultima goccia di sangue, comprerà a prezzi di svendita ogni asset pubblico e poi butterà via la Grecia come un limone spremuto. Notiamo che della timida apertura tedesca di pagare, pur se sotto altro nome, i danni di guerra, già non si parla più.

Per cui, rimandare il momento finale produce solo una emorragia di ricchezze della Grecia per poi ritrovarsi in condizioni ancora peggiori alla fine del gioco.

L’altra strada è quella di dichiarare default (certamente non una misura indolore, ma meno dolorosa dell’altra e con qualche prospettiva di ripresa) e porre il problema di una uscita concordata dall’Euro. E su questa strada arriveranno anche altri.

La Ue e l’Euro non hanno un futuro. Forse lo ha Berlino (e non è neppure sicuro che riesca) ma da sola o con pochi e scelti amici.

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