di Chiara Cruciati
In Yemen si continua a
morire. A quasi due mesi dall’inizio di “Tempesta decisiva”,
l’operazione militare contro il movimento sciita Houthi, promossa da
Egitto e Arabia Saudita e mai approvata ufficialmente dalle Nazioni
Unite, il piccolo e povero paese del Golfo resta il campo di battaglia
delle potenze regionali.
A morire sono i civili: ieri cinque rifugiati etiopi sono
rimasti uccisi in un raid saudita contro un centro di aiuti umanitari
internazionali nella città di Maydee nella provincia di Hajja, al
confine con l’Arabia Saudita. La zona è considerata roccaforte del movimento Houthi ed è target delle bombe della coalizione fin dal 26 marzo.
Secondo funzionari locali, ai 5 morti si aggiungono 10 rifugiati feriti, colpiti da fuoco di artiglieria.
Riyadh ha subito negato: il portavoce dell’esercito, il generale Ahmed
Asseri, responsabile dell’operazione militare, ha accusato gli Houthi,
“che hanno una consistente presenza nella zona”. Non è la prima volta
che i sauditi rigettano simili accuse. Eppure i raid aerei colpiscono
aree popolate, città affollate come Sana’a e Aden, campi profughi. Azioni
che non solo uccidono civili, ma che hanno distrutto le infrastrutture
del paese, rendendo impossibile – anche a causa del blocco navale e
aereo imposto da Riyadh – la consegna di aiuti umanitari alla
popolazione.
A cercare di mettere una pezza alla guerra per procura dell’asse
sunnita all’Iran sono le Nazioni Unite, i cui appelli continuano però a
cadere nel vuoto: dopo aver votato la risoluzione che impone l’embargo
delle armi ai soli Houthi, più volte l’Onu ha chiesto il cessate
il fuoco immediato e duraturo di tutte le parti in conflitto. Senza
ottenere nulla. Ora il segretario generale Ban Ki-moon ci riprova, dopo
un incontro dell’inviato speciale dell’Onu con il ministro degli Esteri
iraniano, Mohammed Zarif, a Teheran: ha annunciato il via a negoziati di pace a Ginevra a partire dal 28 maggio.
Un negoziato che si contrapporrebbe a quello a senso unico inaugurato dai sauditi a Riyadh la scorsa settimana
e che ha visto la partecipazione di centinaia di leader tribali e
politici yemeniti. Erano però assenti proprio gli Houthi, che non hanno
accettato le precondizioni al dialogo: il ritorno del presidente Hadi al
potere e l’ombrello saudita sul negoziato.
A Ban Ki-moon rispondono gli Houthi che ieri hanno chiesto la fine
dei bombardamenti sauditi in vista dell’incontro di Ginevra: “Non
possiamo accettare di andare a dialogare a Ginevra mentre l’aggressione
al nostro paese continua”, ha detto il portavoce del movimento sciita,
Mohammed Abdul-Salam. Da parte sua anche il gruppo prosegue con le operazioni militari, sempre più dirette al confine con il territorio saudita:
mercoledì la tv al Masira, controllata dagli Houthi, ha mostrato
immagini di combattenti che entravano in una postazione di confine
saudita e, apparentemente, la occupavano dopo aver ucciso una ventina di
soldati dei Saud.
Ieri sera missili partiti dal territorio yemenita hanno colpito quello saudita, uccidendo una persona e ferendone tre,
ha fatto sapere il portavoce del Ministero saudita per la Difesa
Civile. Centrato il villaggio di al-Hisn, nella provincia di frontiera
di Asir.
La guerra che si sta combattendo in Yemen è un chiaro scontro tra
asse sunnita e asse sciita, un conflitto volto a indebolire la presenza
iraniana nella regione. Dopo due mesi di raid, però, le petromonarchie
guidate dalla famiglia Saud non hanno avuto la meglio sul movimento
Houthi che non ha perso le posizioni conquistate da settembre a marzo,
periodo durante il quale è stato in grado di occupare la capitale Sana’a
e spingersi nel profondo sud, fino a Aden.
Ma soprattutto Riyadh non è riuscita nel tentativo di
trascinare l’Iran nella guerra aperta. Teheran sta lavorando sul piano
diplomatico, alle Nazioni Unite, per giungere ad una transizione
politica che veda il coinvolgimento delle diverse parti implicate. E mentre continua a negare di sostenere la ribellione Houthi con armi e denaro, si preoccupa di mostrarsi come possibile mediatore impegnandosi sul fronte degli aiuti umanitari:
all’inizio di questa settimana un cargo con aiuti alla popolazione
civile è partito alla volta dello Yemen, con la Marina iraniana a fare
da scorta.
Teheran è stata chiara: non permetteremo ai sauditi di fermare gli
aiuti. Una dichiarazione che pareva aprire la strada ad un possibile
scontro diretto. Che però non ci sarà, o almeno non subito: il cargo è attraccato in Gibuti, dove sta attendendo il permesso per raggiungere le coste yemenite. L’Iran ha infatti accettato di far ispezionare il contenuto dell’imbarcazione ad un team internazionale.
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