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23/05/2015

Arabia Saudita: l'Isis in casa e gli Houthi alla porta

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Missili al confine, bombe nel cuore del paese. La guerra regionale che l’Arabia Saudita ha aperto le arriva in casa: ieri un attentatore suicida si è fatto saltare in aria durante l’ora della preghiera nella moschea sciita Imam Ali ad Al Qudaih, nella città di Qatif (a maggioranza sciita), da tempo terra di scontri settari seguiti alle rivolte nel mondo arabo. In serata si parlava di 20 morti e 50 feriti.

Se a colpire la frontiera sono i ribelli sciiti Houthi yemeniti, a rivendicare l’attacco di ieri ad Al Qudaih (dove a novembre miliziani legati all’Isis avevano ucciso 7 persone) è stato lo Stato Islamico: in un comunicato online il califfato si attribuisce la responsabilità dell’attentato, perpetrato da Abu Amer al-Najdi, di cui è stata pubblicata la foto.

Il commento del ministero degli Interni è cristallino: la bomba alla moschea è il segno che l’intervento saudita in Yemen sta provocando un’escalation di tensione in casa. E non è il primo: negli ultimi giorni tre diversi attacchi di matrice sunnita hanno colpito la capitale Riyadh, con un bilancio di tre poliziotti uccisi.

A morire, ieri, sono stati degli sciiti, il 15% in un paese a maggioranza sunnita, da tempo impegnati a protestare per la discriminazione politica e sociale da parte del governo centrale. Nei due mesi appena trascorsi, i mesi dell’operazione “Tempesta Decisiva”, religiosi sunniti hanno accusato gli sciiti di rappresentare un pericolo per la tenuta del paese, puntando il dito contro il loro presunto legame con il nemico iraniano e gli Houthi yemeniti.

All’incitamento anti-sciita si aggiunge l’innalzamento del livello di estremismo interno con migliaia di sauditi partiti per unirsi allo Stato Islamico tra Siria e Iraq. Una situazione incontrollabile per il regime saudita che paga gli anni di sostegno indiretto a gruppi estremisti sunniti nella regione: supporto finanziario e militare che ha permesso la crescita anormale e repentina di una rete sempre più fitta di miliziani, fino all’apice, l’Isis. Il tutto in chiave anti-sciita, nel chiaro obiettivo di spezzare l’asse Iran-Siria-Hezbollah.

Riyadh affronta l’estremismo che ha generato senza ottenere in cambio granché: dopo due mesi di bombardamenti a tappeto che stanno massacrando lo Yemen, la resistenza Houthi non è piegata e gli scontri si spostano al confine con l’Arabia Saudita. E arrivano dentro il territorio della petromonarchia: mercoledì combattenti sciiti avrebbero occupato un posto di blocco saudita, uccidendo una ventina di soldati. Ieri missili lanciati dallo Yemen hanno ucciso almeno due persone.

La reazione di Riyadh punisce i civili: giovedì gli aerei sauditi hanno colpito un centro internazionale di aiuti a Maydee, nella provincia nord di Hajja. Cinque profughi etiopi sono morti, 10 i feriti. E se l’Arabia Saudita non piega la resistenza Houthi, fallisce anche nel tentativo di trascinare il nemico Iran, vera preda del conflitto, nella guerra. Giovedì il ministro degli Esteri iraniano Zarif ha incontrato il nuovo inviato Onu per lo Yemen, Cheikh Ahmed. Nel frattempo il segretario generale Ban Ki-moon annunciava l’apertura, il 28 maggio, di un tavolo del negoziato a Ginevra. Stavolta gli Houthi parteciperanno, ha fatto sapere il portavoce Abdul-Salam, ma solo se «l’aggressione finirà». Ovvero se le bombe saudite si interromperanno.

Mentre preme sull’acceleratore diplomatico, Teheran prosegue anche sulla via degli aiuti, mostrandosi alla comunità internazionale come mediatore e non attore coinvolto nella guerra: l’Iran ha accettato di far ispezionare il cargo di aiuti partito per lo Yemen lunedì e in questo momento fermo in Gibuti. Se il team di ispettori troverà solo aiuti – e non armi – Riyadh potrebbe essere costretta a piegarsi all’Iran.

Alla fine, però, nella guerra per procura mediorientale a guadagnare terreno è solo l’Isis. Dopo la conquista in Siria della città di Palmira, patrimonio Unesco, giovedì notte il califfo ha segnato un’altra vittoria: i miliziani hanno preso l’ultimo valico di frontiera con l’Iraq, al Tanf, annullando ormai del tutto il confine e garantendosi massima libertà di movimento e di transito di armi e uomini tra un paese e l’altro.

Intanto a Palmira si muore: video pubblicati dagli uomini del califfo mostrano una città fantasma, da cui un terzo della popolazione è fuggita, corpi senza vita per la strada, cadaveri di soldati decapitati. Al timore per le sorti dei civili, si aggiunge quello per il sito archeologico più importante della Siria.

AGGIORNAMENTO ore 9,30 – RIYADH PROMETTE DI CATTURARE I RESPONSABILI DELL’ATTACCO. ISRAELE OFFRE IRON DOME

Mentre sale a 21 il bilancio dei morti e a 80 quello dei feriti, dopo l’attacco di ieri alla mosche Imam Ali di Qatif, le autorità saudite hanno promesso di arrestare i responsabili: “L’attacco terroristico conferma che gruppi deviati puntano a creare caos nel regno – ha detto il portavoce del ministero degli Interni, il generale al Turki – Ora è importante fermare chi ha ordinato questo attacco codardo”.

Condanne arrivano da tutto il mondo. Pare anche da Israele: oggi il quotidiano Rai al-Youm, con sede a Londra, ha riportato di una presunta offerta da parte di Tel Aviv alla famiglia Saud. Israele si sarebbe offerto di inviare il sistema anti-missile Iron Dome (utilizzato durante l’attacco contro Gaza per intercettare i missili dalla Striscia) per proteggere la zona di confine con lo Yemen.

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