di Francesca La Bella
Con una dichiarazione
congiunta presso la Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite, 32
Paesi mondiali hanno espresso la loro preoccupazione per lo stato della
tutela dei diritti umani in Bahrein. Secondo il portavoce del gruppo,
l’ambasciatore svizzero Alexandre Fasel, nonostante alcune piccole
migliorie introdotte di recente come la nomina di un difensore civico o
la creazione di una commissione per i diritti dei detenuti, nel piccolo
Paese del Golfo esisterebbe un grave deficit di tutela per quanto
riguarda i diritti fondamentali: violazioni sistematiche della
libertà di opinione e di associazione; mancata garanzia di giusto
processo; condizioni di detenzione inadeguate; detenzione di minori per
reati di opinione o di piazza; segnalazione di casi di tortura e di
trattamenti degradanti non penalmente perseguiti.
A questi dati si aggiungano quelli forniti in questi anni da agenzie internazionali e organizzazioni interne al Paese. I
report sullo stato dei diritti in Bahrein parlano di arresti arbitrari,
di discriminazioni della popolazione sciita, di violenze e torture
dentro e fuori dalle carceri. Dal 2011 circa 90 sono stati i
morti accertati negli scontri e centinaia gli arrestati, molti partiti
sono stati messi fuori legge e leader politici di rilievo sono stati
condannati per incitazione della violenza e sovvertimento dell’ordine.
Da molto tempo, associazioni e forze di opposizione interne denunciano
questa situazione e la presa di posizione internazionale potrebbe dar
loro nuova forza a fronte di un panorama d’area poco propizio.
A questo proposito, infatti, è necessario sottolineare come le
dinamiche interne al Bahrein siano strettamente collegate a quelle dei
vicini d’area, Arabia Saudita in primis. In questo senso, è
significativo che, mentre a livello internazionale si discute sullo
stato dei diritti bahreiniti, il re del Bahrein Hamad bin Isa Al-Khalifa
venga accolto in Arabia Saudita dal re Salman bin Abdel Aziz e che
durante la visita venga ribadita la vicinanza e la cooperazione tra i
due Paesi. Fin dalle prime manifestazioni contro il Governo nel
2011, l’appoggio saudita alla corona bahreinita è stato uno dei fattori
che maggiormente ha garantito solidità del potere centrale a fronte
della crescita di movimenti di opposizione e della partecipazione
popolare alle proteste.
I sauditi non sono, però, gli unici partner della corona del Bahrein. E’
notizia di pochi giorni fa di una nuova commessa per l’italiana
Finmeccanica-Selex Es di oltre 50 milioni di euro per l'ammodernamento di
sei unità navali della Royal Bahrein Naval Force. Questo non
sarebbe, però, il primo contratto tra l’azienda italiana e il governo di
Manama. In passato, Selex Es avrebbe, infatti, fornito sistemi radar di
sorveglianza per l’aviazione civile e per la Bahrein Air Force. Alla
luce di questo fatto, spicca ancor di più la mancata adesione italiana alla
denuncia dello stato dei diritti Bahreiniti. A tal proposito Human Rights Watch,
esprimendo plauso per la dichiarazione e aderendo all’appello per
l’invio in Bahrein del commissario speciale delle Nazioni Unite sulla
tortura, avrebbe sottolineato con delusione come Paesi come la Spagna e
l’Italia abbiano scelto di dare priorità alla politica anziché ai
diritti.
Nonostante si tratti di un piccolo Paese, gli interessi in campo
trascendono, dunque, dalle dinamiche interne andando ad investire
questioni più ampie. In tal senso è utile ricordare che anche in Bahrein
trova espressione la più ampia contrapposizione tra Arabia Saudita e
Iran. La pervasività del problema è tale che domenica scorsa la
portavoce del ministero degli Esteri iraniano Marzieh Afkham ha
affermato che il governo del Bahrein alzerebbe il livello di tensione
nel Paese accusando l’Iran di sostenere e armare le opposizioni. A
fronte di questo contesto, la possibile soluzione delle questioni
interne e la liberazione dei molti prigionieri politici ospitati nelle
prigioni del Regno sembra ancora molto lontana.
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