di Francesca La Bella
Da alcuni mesi alla già difficile situazione libica si è aggiunto un nuovo fattore destabilizzante: la penetrazione dello Stato Islamico. Grazie alla mancanza di strutture statuali solide, il gruppo jihadista è riuscito a radicarsi sempre più in Libia trovando base prima a Derna e poi a Sirte, città portuali nel nord del Paese. La mancanza di uno Stato centrale forte non è, però, l’unico aspetto che ha favorito l’espansione dello Stato Islamico:
in un contesto bellico fortemente frammentato il reclutamento è stato
più semplice rispetto a situazioni con una maggiore definizione degli
schieramenti; i deficit nel controllo territoriale sia del Governo di
Tobruk sia di quello stanziato a Tripoli, sia dei gruppi minori, ha
consentito un più agevole accesso alle armi ed una maggiore porosità dei
confini; dopo anni di battaglie e di mancanza di prospettive di lungo
termine, la vittorie sul campo dello Stato Islamico in Iraq e Siria
hanno, anche solo per emulazione, portato molti a volgersi verso il
progetto di Califfato, considerato un’opzione percorribile per la
costruzione di una nuova Libia.
Questo fenomeno ha suscitato
grande preoccupazione nell’occidente in generale e nell’Europa in
particolare. Il timore di infiltrazioni jihadiste attraverso i canali
della migrazione e il presunto controllo dello Stato Islamico sui flussi
migratori sono stati punti centrali nella discussione del Vecchio
Continente portando sostegno alla teoria della necessità di un nuovo intervento, inizialmente diplomatico, nel Paese. Ad approfondire i timori europei ha contribuito anche la rivendicazione
d'inizio mese con la quale lo Stato Islamico ha riconosciuto la
paternità dell’attacco al quartier generale, situato a Tripoli, della
compagnia petrolifera di gestione del terminal di Mellitah. Un attacco
senza reali danni a strutture e persone, ma chiaramente diretto agli interessi dell’italiana ENI nel Paese
e spia di una presenza del gruppo nella capitale.
Un eventuale
intervento europeo, mirato alla salvaguardia degli investimenti
internazionali in Libia, potrebbe, però, essere un fattore di ulteriore
destabilizzazione del Paese. Il finanziamento e l’armamento dei diversi
soggetti che, a seconda del contesto, hanno garantito la sicurezza di
alcune aree strategiche del Paese, ha, infatti, negli anni favorito una
sempre maggiore frammentazione della società locale, minando possibili
soluzioni di lungo periodo.
Le problematiche interne alla Libia date
dalla sempre maggiore forza del gruppo sono, però, ben più ampie dei
possibili riflessi di questa presenza sulla sicurezza dei confini e
degli investimenti europei. Gli scontri per il controllo di Derna prima e
di Sirte in seguito tra Stato Islamico e milizie locali hanno fatto
crescere esponenzialmente il numero di vittime, anche e soprattutto,
civili sul campo e le azioni armate del gruppo non sono circoscritte
alle due cittadine. Se di pochi giorni fa è la notizia di morti e feriti
negli scontri a Benghazi, numerose sono state, in questi mesi, le
rivendicazioni di rapimenti e decapitazioni di abitanti locali,
lavoratori stranieri e immigrati provenienti principalmente da Paesi del
Corno d’Africa.
Quella dello Stato Islamico libico si configura, dunque, come
una lotta di ampio raggio contro concorrenti, opposizioni e minoranze
che pone problemi rilevanti per la stabilità presente e futura del
Paese. Alla luce di questo contesto sembra, infatti,
impossibile pensare ad un coinvolgimento del gruppo in trattative e
piani di pacificazione nazionale, lasciando, di conseguenza, alcuni
territori scoperti da una possibile normalizzazione della situazione.
A questo si aggiunga che il
radicamento territoriale dello Stato Islamico ha consentito, attraverso
confini sempre più permeabili, l’ingresso di militanti armati
provenienti dai Paesi vicini. Sarebbe questo il caso dei circa 200 appartenenti a Boko Haram che, passando per il territorio del Niger, avrebbero raggiunto Sirte il mese scorso.
Secondo fonti locali, a seguito dell’adesione al progetto di Califfato
del gruppo nigeriano a marzo di quest’anno, i legami tra i due gruppi
sarebbero diventati sempre più solidi fino a giungere ad una vera e
propria partnership strategica con l’invio di un nutrito gruppo di
membri dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale (denominazione
acquisita da Boko Haram dopo l’alleanza siglata con lo Stato Islamico) a
sostegno dell’azione del gruppo libico a Sirte. La notizia, per quanto
non verificata, apre ad un’analisi sul potere di attrazione del
modello Stato Islamico e alla conseguente creazione di reti tra i
diversi gruppi che vi fanno riferimento.
Laddove i
sistemi statuali falliscono e gli interventi interni ed internazionali,
come nel caso libico, ambiscono a creare un nuovo sistema di controllo
che sostituisca quello precedente, senza eliminare le cause del
dissesto socio-politico e senza agire in favore di un mutamento delle
condizioni di debolezza economica ed istituzionale pregresse, un sistema chiaro e definito come quello del Califfato rischia di diventare un modello che suscita consenso.
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