Lo scorso fine settimana un nutrito sottogruppo di trombati della politica si è riunito al Palazzo dei congressi a Roma per fondare nuovamente Sinistra e libertà. C’erano davvero tutti: c’era Sel al completo, ormai coincidente con il suo gruppo dirigente alle prese con l’operazione di restyling politico; c’era un pezzo importante di minoranza Pd in rotta con Renzi e dunque bisognosa di trovarsi casa per farsi rieleggere in qualsiasi istituzione purchessia; c’erano infine, come potevano mancare, pezzi di sinistra da tempo rientrati nell’assoluta compatibilità gestionale.
Quello che non era riuscito a Vendola con le sue “fabbriche di Nichi” potrebbe riuscire a Cofferati, Fratoianni e Fassina. Quando la storia, da farsa, si trasforma in farsa al quadrato. Fosse avvenuta dieci anni fa, l’operazione avrebbe avuto anche le caratteristiche per essere criticata. Oggi invece riesce solo a far ridere di sé.
Nel circo Barnum non manca niente: l’ex sindaco sceriffo Cofferati, quello che sgombrava ruspe alle mano i senza casa di Bologna; il bocconiano Fmi Fassina, fino a ieri convintamente nel Pd, sottosegretario ai governi Letta e Renzi, firmatario delle leggi di stabilità e dei pareggi di bilancio; il minorato dem D’Attorre, personaggio sconosciuto fino a quando non ha capito che non rientrava nei piani renziani di rielezione e quindi prontamente transitato nella ciurma degli arrabbiati; e poi Fabio Mussi, Giuliana Sgrena, Paolo Cento e via ridendo.
Dopo il fallimento di Sel, il tracollo di Ingroia, la farsa della Syriza italiana dilaniata nella lotta tra le tre poltrone ricavate in Europa, oggi è il turno di Sinistra italiana. Non mancano gli utili idioti alla Casarini, che dovrebbero avere il ruolo di copertura a sinistra di un’operazione di sottopolitica corporativa. L’eterno ritorno dell’uguale: la sinistra del partito di destra e la destra del partito di “sinistra” che provano a mettersi insieme perché elettoralmente insignificanti, dando vita ad un contenitore completamente avulso dalla società, a-conflittuale, post-socialdemocratico, tardo-keynesiano, senza alcuna idea forte da proporre e anzi rivendicando il proprio “pensiero debole” fatto di ecologia e partecipazione.
C’è arrivato persino il segretario di Rifondazione Ferrero, che ha rifiutato l’accordo in quanto “film già visto”, e questo è già un piccolo record per il neonato micro partitino: far dire qualcosa di sensato a Ferrero. Continua a non arrivarci quella sinistra associazionista che persevera nell’errore di scambiare la crisi di consenso come risultato della scomparsa elettorale, e non viceversa. Dopo un decennio abbondante di esempi fallimentari, il dubbio che certe operazioni piacciano davvero per come si presentino risulta sempre più palese.
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