Ci sono poche cose al mondo che osino riproporsi sempre nella stessa veste. La selezione naturale fa infatti piazza pulita con una certa severità, per semplice evoluzione ambientale. Se, dunque, la sedicente “sinistra italiana” si ripropone secondo l'identico schema ogni tre-quattro anni, deve esistere una qualche ragione ambientale che permette un ripetersi altrimenti inspiegabile.
Diciamolo subito: l'elemento ambientale si chiama malessere sociale, emarginazione della conflittualità o anche della semplice vertenzialità sindacale, politicamente traducibile come ostilità contro Renzi e il Pd. Problemi sociali veri, che portano facilmente all'individuazione esatta del nemico politico. Una domanda sociale di rappresentanza politica, dunque, di opposizione forte, che la paccottiglia raccolta in “sinistra italiana” prova ancora una volta a coprire con un'offerta ridicola, pasticciata, indifferente alle ragioni del malessere sociale ma attentissima al mantenimento di un presenza istituzionale individuale.
Impressionante, da questo punto di vista, la schiera di trombati, rottamati, sconfitti e dispersi che si è riunita ieri intorno e sopra il palco del Palazzo dei Congressi, a Roma, sotto la scritta "Cosmopolitica". Individui, non forze reali, che non avranno mai più un ruolo politico (e una poltrona retribuita) se non trovano rapidamente un contenitore che possa raccogliere quel che basta a superare la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale.
Impressionante anche la platea, bisogna dire, popolata di attivisti anche generosi che appaiono incapaci però di imparare qualcosa dalle pessime delusioni del passato, lontano o recente che sia.
È moderatamene sorprendente, dicevamo, che lo schema del “contenitore della sinistra” venga riproposto sempre uguale. Cambiano le leggi elettorali e le soglie di sbarramento, ma il gioco no. Come se il consenso sociale provenisse dall'essere presente nelle istituzioni, anziché – secondo logica stringente – l'esatto contrario. Come se, andando in Parlamento come “sinistra di governo”, si potesse davvero entrare in una stanza dei bottoni da cui cambiare il segno delle politiche sociali. Come se, insomma, il potere politico essenziale non fosse già da tempo stato trasferito a Bruxelles e Francoforte (Unione Europea e Bce, per non dire del Fmi).
Il gioco resta lo stesso, ma molti dei giocatori sono cambiati nel tempo. Questa volta – e per fortuna – non ci sono "soggetti comunisti" (Rifondazione e Pcdi, essenzialmente). Mentre abbondano gli scarti “di sinistra” prodotti dalla rottamazione renziana (Cofferati, D'Attorre, quel Fassina che quando è in Italia si dimentica persino del "piano B" che sostiene al cospetto di Lafontaine e Varoufakis), i naufraghi di Sel, qualche ex “portavoce dei movimenti” (Casarini).
Come sempre, grandi dichiarazioni sulla necessità di costruire “una sinistra radicale di governo, un partito accogliente e caldo, un luogo di scambio solidale e di connessione con i saperi e con il pensiero critico”, “il partito della Costituzione, del lavoro e dei diritti sociali, un partito popolare e di governo, non certo un partito dei salotti o dei ceti medi riflessivi”, “non una sinistra residuale o di testimonianza” e via svolazzando ben lontano dagli interessi sociali reali.
Non una parola, naturalmente, neanche sul come si fa a fare qualcosa di “progressista” senza mettere in discussione il quadro di obblighi internazionali assunti con l'Unione Europea. Perché è assolutamente vero che “dietro le riforme costituzionali renziane c’è l’idea di smantellare i diritti sociali”, ma quel programma è stato disegnato da qualcuno un po' più potente, competente e lungimirante del trio Renzi-Boschi-Poletti. E che quando dirotti – vedi il governo Syriza fino al luglio 2015 – ti spezza le gambe...
La traiettoria di “sinistra italiana” appare dunque già tracciata, dall'inizio alla rapida fine: un cartello elettorale per impattare le amministrative di giugno, per dare a qualcuno dei “capi” un ruolo istituzionale minore e qualche visibilità, poi le politiche (tra uno o due anni, forse, se ci si dovesse arrivare senza implodere prima). Sempre guardando a destra (ai bersaniani rimasti nel Pd) e con il “luminoso traguardo” di un nuovo centrosinistra che riverdisca le sciagure dei governi Prodi e D'alema (pacchetto Treu, privatizzazioni e guerra; all'ex Jugoslavia, in quel caso).
Per questo tipo di tentativi c'è poco spazio nel presente (le amministrative, al massimo), ma nessun futuro. Le giaculatorie socialdemocratiche o moderatamente riformiste sono state spazzate via – se qualcuno non se ne era accorto – dall'esplosione della crisi, dal 2008, e dai trattati dell'Unione (fiscal compact, six pack, two pack, ecc).
L'unica funzione che dunque possono avere è quella negativa, come al solito. Cioè quella di distogliere l'attenzione del blocco sociale investito dalla crisi sventolando bandierine e pensierini “progressivi”, nel tentativo di impedire che si creino movimenti sociali di ben altra radicalità e portata.
Servi consapevoli, insomma. In cerca di nuovo ruolo con i padroni di sempre.
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