Alle sconfitte sul campo di battaglia lo Stato Islamico risponde spargendo il terrore nelle città siriane. Ieri un’ondata di attentati ha colpito prima Homs e poi Damasco, causando un altissimo numero di vittime. I bilanci parlano di 180 morti in totale, ma il gran numero di feriti lascia intendere che il conteggio possa aumentare nelle prossime ore.
Ad Homs, nel centro del paese, un’autobomba è esplosa seguita forse da un kamikaze poco dopo le otto del mattino, uccidendo circa 80 persone, nel quartiere abitato prevalentemente da alawiti di al Zahraa.
Poi è toccato alla capitale siriana essere investita dal terrore del Califfato, che poco dopo ha rivendicato la carneficina proprio mentre il segretario di stato americano, John Kerry, riferiva del raggiungimento di un ‘preaccordo’ provvisorio e da confermare con la Russia sui termini di una tregua che permetta di arrivare ad un cessate il fuoco.
Nel pomeriggio ad essere colpito vicino a Damasco da una serie di attentati – sembra ben quattro, prima un’autobomba e poi tre kamikaze – è stato un sobborgo sede del santuario sciita di Sayyida Zeinab: le esplosioni hanno provocato più di 90 morti, tra i quali numerosi bambini, dato che gli attacchi sono stati compiuti mentre gli studenti uscivano dalle scuole.
La zona intorno al mausoleo meta di pellegrinaggio da tutto il Medio Oriente (vi è sepolta la nipote del profeta Maometto) era già stata colpita lo scorso 31 gennaio da un sanguinoso attacco che aveva provocato 71 morti, per lo più civili.
Ieri i media internazionali avevano concesso inizialmente grande credibilità alla dichiarazione dell’esponente del governo statunitense che dalla capitale giordana Amman aveva parlato del raggiungimento di un ‘accordo provvisorio’ con Mosca su una tregua in Siria. “Il cessate il fuoco è più vicino che mai” aveva detto Kerry riferendo di un colloquio telefonico con Sergej Lavrov aggiungendo che la tregua potrebbe iniziare nei prossimi giorni. Ma poi lo stesso segretario di stato ha ridimensionato le sue prime affermazioni ottimistiche obbligando la stampa a fare una parziale marcia indietro sull’esito dei colloqui tra le grandi potenze. "Non abbiamo ancora concluso e prevedo che il presidente Obama e il presidente Putin dovranno parlare nei prossimi giorni per cercare di metterlo a punto", ha aggiunto Kerry entrando nei particolari.
E’ stato un comunicato del ministero degli Esteri di Mosca a chiarire meglio i termini della questione, spiegando che Kerry e Lavrov "continuano a negoziare le modalità del cessate il fuoco, con l'esclusione delle operazioni militari contro le organizzazioni definite terroristiche dal Consiglio di sicurezza dell'Onu".
Una formulazione che, di fatto, annuncia la continuazione delle operazioni militari contro lo Stato Islamico e contro altre organizzazioni jihadiste che siriani, iraniani e russi (insieme ai curdi) considerano legittimi obiettivi militari mentre l’asse sunnita capitanato da sauditi e turchi pretende che siedano al tavolo delle trattative riconosciuti dalle potenze regionali e internazionali come legittimi rappresentanti del popolo siriano.
Proprio nei giorni scorsi il presidente della commissione Affari esteri della Duma Alexei Pushkov ha denunciato che i militanti del fronte al Nusra – cioè di al Qaeda in Siria – hanno intenzione di utilizzare il cessate il fuoco per rafforzare le proprie posizioni e riorganizzarsi. “Ci sono pericoli nascosti nel cessate il fuoco: il Fronte Nusra, che è diventato un rifugio per una parte della cosiddetta "opposizione moderata", non vede l'ora di raggiungere una tregua per rafforzare le sue posizioni”, ha scritto Pushkov su Twitter.
Intanto il Canada è pronto a bloccare da oggi gli attacchi aerei – assai poco numerosi, a dir la verità – condotti finora contro presunte postazioni di Daesh in Siria ed in Iraq nell’ambito delle operazioni militari condotte nei due paesi dalla cosiddetta ‘coalizione internazionale contro l’Isis’. Il primo ministro canadese Justin Trudeau aveva annunciato l’imminente cessazione dei raid già lo scorso 8 febbraio, affermando che la campagna di attacchi aerei non aveva raggiunto gli obiettivi dichiarati, tra i quali “la stabilità a lungo termine”.
Mentre dalla Giordania il segretario di stato Usa John Kerry afferma che il "cessate il fuoco" non "è mai stato così vicino", sul terreno la battaglia finale per Aleppo sembra farsi sempre più imminente. Nel corso dell’offensiva per liberare le aree della città sottoposte all’assedio di miliziani islamisti di Daesh e di altre sigle, ieri le forze lealiste hanno ucciso almeno 50 miliziani dell'Isis, supportate dai bombardamenti dell’aviazione militare russa. Da ieri all'alba, le truppe governative hanno conquistato 18 villaggi attorno ad un'asse stradale di circa 40 chilometri che collega Aleppo a Raqqa, roccaforte dell'isis in Siria. Grazie ai raid dell'aviazione russa, le truppe di Damasco e da un’altra direzione le milizie curde hanno già cacciato ribelli islamisti e miliziani di al Qaida nel nord della provincia di Aleppo.
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