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29/02/2016

A Panebianco…

Negli ultimi 3 giorni il Corriere della Sera ha dedicato complessivamente ben cinque pagine alle contestazioni subite da Angelo Panebianco. Per avere un’idea delle proporzioni e dell’unità di misura con cui pesa le notizie il principale quotidiano italiano, basti pensare che poche settimane prima, la strage di 86 nigeriani a Dalori per mano di Boko Haram si era meritata niente di più che un trafiletto nascosto nelle pagine interne. Cosa sarà successo allora di così grave all’Università di Bologna da meritare tanto inchiostro? Forse uno dei reati più gravi in un Paese come il nostro: quello di “lesa maestà”. Come dimostrano le immagini circolate in rete, Panebianco non ha subito alcuna “aggressione”, ma si è visto contestare, giustamente e legittimamente, le proprie opinioni guerrafondaie da un gruppo di studenti e compagni. E questo è inaccettabile, anzi, è pericolosissimo, perchè crea un precedente. Eppure la possibilità di dire pubblicamente la propria e contestare le idee di chi esercita il potere dovrebbe essere il sale di quella democrazia liberale che tanto sta a cuore proprio al professor Panebianco e a quelli come lui. Anche perchè ciò che gli viene contestato non è il suo ruolo di docente universitario (ed anche in questo caso sarebbe più che legittimo farlo), ma quello che scrive come opinionista politico dalle colonne del più influente organo di stampa italiano. Lo strumento che insieme ad altri contribuisce ad orientare l’opinione pubblica in merito ad una possibile guerra il Libia, quella si “violenta”. Quindi se c’è una libertà d’opinione da difendere è proprio quella degli studenti (per cui oggi vengono invece richiesti a gran voce provvedimenti disciplinari e penali) e non certo quella di un barone che oltre alle idee guerrafondaie ha dimostrato di conservare una concezione autoritaria e gerarchica dell’insegnamento. Con sprezzo del ridicolo, dopo aver rievocato il ’77, le intimidazioni, la violenza politica, ecc. ecc. ieri il Corriere titolava a tutta pagina che finalmente erano stati identificati gli autori del raid contro Panebianco. Verrebbe da rispondergli che i raid, quelli veri, sono proprio quelli che evocava Panebianco in Libia. Quelli in cui muoiono migliaia di persone per tutelare gli interessi dei padroni del giornale su cui Panebianco scrive. Ma tanto già sappiamo che sarebbe fiato sprecato.

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