"Riteniamo il regime siriano direttamente responsabile" dell'attentato suicida avvenuto ad Ankara e costato la vita a 28 persone, 27 soldati e una funzionaria del ministero degli Interni. L'attentato, ha aggiunto il premier turco Ahmet Davutoglu, è stato opera del Partito Curdo dei Lavoratori (Pkk) e delle milizie curdo-siriane. Il capo del governo turco ha inoltre imputato a Mosca (e indirettamente a Washington) di usare le Ypg curde contro la Turchia.
Si racchiude in queste poche e pesanti parole la strategia del regime turco: indicare i curdi come colpevoli per legittimare e giustificare agli occhi della propria opinione pubblica e della cosiddetta comunità internazionale l’escalation che Ankara sta conducendo contro la guerriglia e i civili curdi sia entro i propri confini sia in territorio siriano da ormai molti mesi. Una campagna militare di bombardamenti compiuti con l’artiglieria e l’aviazione che ha fatto migliaia di morti, ha distrutto intere città – come Cizre, sotto coprifuoco per ben 70 giorni, dove solo negli ultimi giorni sono state registrate 158 morti – ed ha vissuto negli ultimi giorni un’ennesima recrudescenza.
Poco importa che ieri sia il Pkk sia le Ypg abbiamo smentito la paternità dell’attentato condotto nel centro di Ankara, condannando nel secondo caso gli attacchi contro i civili. Per il regime islamista turco a causare la strage di soldati sono stati i ‘terroristi’ del Partito dei Lavoratori del Kurdistan in coordinamento con membri delle Ypg siriane. «Non siamo responsabili dell'attentato di Ankara, nessuna nostra unità è coinvolta o ha qualcosa a che fare con le esplosioni» ha detto Saleh Muslim, leader del Partito dell'Unione democratica (Pyd).
Ma, incredibilmente, a poche ore dall’attacco le autorità turche ‘sapevano’ già il nome e il cognome del presunto attentatore e ne avevano ‘ricostruito’ i movimenti. Ankara non ha dubbi: l’omicida è Salih Neccar, membro delle milizie di autodifesa popolare del Rojava, nato ad Amuda in Siria 24 anni fa ed arrivato nel paese spacciandosi per profugo in fuga dalla guerra. Le sue impronte digitali, registrate al momento dell’ingresso nel paese, avrebbero reso facile e rapido il ‘riconoscimento’. Una fonte di sicurezza anonima citata da Murat Yetkin, direttore del portale Hurriyet Daily News, afferma inoltre che "la famiglia Neccar è collegata all'intelligence militare siriana, controllata dal regime Bath". Ovvero: gli autori materiali della strage sarebbero i curdi, ma manovrati dai servizi segreti dell’odiato governo siriano…
Lo scenario è quello degli ultimi anni: il terrore sparso dal regime turco in tutto il Medio Oriente investe il suo territorio, la sua popolazione, i suoi stessi apparati di sicurezza. Che a morire sotto i colpi dei ‘nemici della Turchia’ siano manifestanti curdi o di sinistra o come in questo caso militari l’Akp ne approfitta per chiamare il paese all’unità e alla guerra contro i propri nemici: simbolicamente i jihadisti di Daesh, nei fatti i curdi e le forze leali al governo siriano. Non è un caso che il sospetto che in molti casi le stragi siano il frutto di una strategia della tensione e di uno spregiudicato uso del terrorismo di stato si riproponga ogni qual volta il sangue scorre entro i confini turchi rafforzando il regime e la sua isterica campagna d’odio.
«Quanto successo porterà i nostri amici nella comunità internazionale a capire quanto stretta sia la connessione tra il Pyd e il Pkk» ha tuonato ieri Erdogan mandando un chiaro avvertimento a Washington, assai restia finora a sostenere la richiesta turca di creare una ‘zona cuscinetto’ in territorio siriano controllata dalle truppe turche e dai mercenari che Ankara sta armando e addestrando. Allo scopo il premier turco ha incaricato il ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu di fornire ai membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu le presunte prove del coinvolgimento dei curdi delle Ypg negli attacchi contro la Turchia.
D’altronde quello del presunto attentatore è “l’identikit perfetto” per ridare slancio alla terroristica guerra di Ankara contro i curdi: già ieri 14 persone sono state arrestate con l’accusa di aver preso parte o sostenuto l’attacco mentre i bombardamenti turchi sulla città curdo-siriana di Afrin, nel nord-ovest della provincia di Aleppo, causavano decine di vittime tra i guerriglieri delle Ypg e i civili. "I bombardamenti turchi hanno causato almeno 10 vittime tra i civili ad Afrin" ha riferito un membro del Consiglio democratico della città, Rezan Hiddo, precisando che l'attacco ha colpito quartieri residenziali e periferie: "I soccorritori stanno ancora cercando sopravvissuti sotto le macerie delle case danneggiate", ha aggiunto il leader locale che alla comunità internazionale ha rinnovato l’invito, finora inascoltato, a bloccare i continui e sanguinosi raid turchi contro le località e le milizie curde in Siria. Dopo che i caccia turchi avevano di nuovo bombardato le basi del Pkk nel nord dell’Iraq, uccidendo decine di combattenti, un ordigno rudimentale è esploso al passaggio di un convoglio militare turco a Diyarbakir, nel martoriato distretto di Sur, uccidendo sei soldati. Ma quello che accade all’interno dei propri confini – oggetto di una feroce censura mediatica (dopo l’attacco di Ankara i social network sono di nuovo stati sospesi e ai giornali è stato vietato di diffondere i particolari dell’attentato) – non preoccupa particolarmente il regime.
Ankara teme soprattutto che i continui successi militari dei curdi e dell’esercito di Damasco – che operano in sempre più stretta sintonia – portino in breve tempo alla disfatta delle milizie jihadiste incalzate in particolare ad Aleppo e nella località di Azaz, vicina alla frontiera. Se Azaz dovesse cadere ai combattenti fondamentalisti non potrebbero più arrivare né rinforzi né armi e a quel punto la caduta di Aleppo sarebbe questione di giorni. Non è un caso che mentre le artiglierie e i caccia turchi bersagliano con le bombe le postazioni curde oltreconfine, centinaia di volontari jihadisti (sia nella versione ‘moderata’ che in quella ‘estremista’) sono arrivati a dar manforte ai propri correligionari asserragliati ad Azaz, passando proprio da una frontiera turca teoricamente sigillata ma evidentemente assai porosa quando si tratta di dare una mano alle forze che sostengono gli interessi del regime neo-ottomano. Quelli arrivati nella città siriana sarebbero solo un’avanguardia: pronti a partire ce ne sarebbero altri 1500, accompagnati da artiglieria pesante e scortati dalle forze armate turche, stando a quanto ha ammesso Abu Issa, comandante di uno dei gruppi armati della cosiddetta ‘opposizione siriana’, all’agenzia Reuters. Il tempo è poco, perché il cerchio si stringe.
Mentre le forze curde avanzano su Azaz, ieri le Forze Democratiche Siriane – di cui le Ypg sono la componente principale – hanno conquistato un importante campo petrolifero nella provincia nord-orientale di Hasaka, vicino a Shaddadi, strappandolo a Daesh e bloccando la principale strada verso Mosul, roccaforte del califfato nel confinante Iraq. Al contempo l’esercito siriano, sostenuto dall’aviazione russa, ha liberato al Kansba, località strategica nella provincia costiera di Latakya ormai quasi del tutto ripulita dai gruppi islamisti, il che permetterà di dare nuovo slancio alla controffensiva contro i ‘ribelli’ sostenuti da Arabia Saudita e Turchia.
Per bloccare la quale Ankara invoca, per bocca del vicepremier Akdogan, l'immediata realizzazione di una “zona sicura” in territorio siriano, larga 10 km e lunga circa 50, che comprenda proprio la strategica località di Azaz, dove, raccontano fonti bene informate, i miliziani di diversi gruppi jihadisti starebbero reclutando a forza i civili sottoposti alla loro angherie per farne carne da cannone da scagliare contro i combattenti curdi e i soldati governativi che si apprestano a lanciare l’offensiva finale.
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