di Giorgia Grifoni
Aria di cambiamento a
Teheran? Sì, ma doppia. Non solo venerdì prossimo si voterà per il
rinnovo del Parlamento, il quale determinerà il corso delle riforme
economiche e sociali annunciate dal presidente Hassan Rohani al momento
della sua elezione, ma gli iraniani saranno anche chiamati a scegliere
gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, organismo preposto alla
nomina della Guida Suprema. Un compito che questa volta appare tanto più
decisivo per l’età avanzata dell’ayatollah Ali Khamenei, e che fa
apparire la sua sostituzione sempre più reale. Un consiglio degli
esperti in cui la presenza di ultra-conservatori sia limitata sarebbe
infatti l’unico modo per garantire un reale cambiamento nella Repubblica
islamica, che seppur retta da alcune strutture democratiche, è de facto governata dalla Guida Suprema e dalle persone a lui vicine.
GLI ESPERTI. Per l’Assemblea più ambita, che ha
dovuto nominare una sola persona nei suoi trent’anni di esistenza, le
speranze dei riformisti si concentrano su un’unica lista, quella
capeggiata dall’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani,
in passato vicinissimo a Khamenei ma escluso dall’ultima corsa alla
presidenza perché “troppo vecchio”: di fatto, è stato allontanato dalle
alte sfere di influenza per non aver mai condannato pubblicamente le
manifestazioni dell’Onda Verde. Il portale al-Monitor riferisce
che la sua lista comprende 16 nomi, tra cui spiccano alcuni
conservatori moderati quali Rohani, l’ex ministro dell’intelligence
Ghorbanali Dorri-Najafabadi e il suo omologo attuale Seyed Mahmoud
Alavi. Grande escluso dalla corsa è Hassan Khomeini, nipote del
leader della Rivoluzione islamica, che si trovava proprio nella lista di
Rafsanjani. Dall’altro lato si trovano una serie di formazioni
tutte in salsa conservatrice, i cui membri compaiono in numerose liste
che spaziano dai più ai meno oltranzisti. Tra questi, il presidente del
Consiglio dei Guardiani l’ayatollah Ahmad Jannati e l’attuale presidente
dell’Assemblea degli Esperti Mohammad Yazdi.
Come consuetudine nelle elezioni degli ultimi anni, l’atmosfera si è già fatta incandescente.
Il rigido Consiglio dei Guardiani, nominato dalla Guida Suprema e dal
parlamento a trazione conservatrice, è riuscito a ottenere un campo
quasi interamente dominato dai conservatori bloccando centinaia di
candidature riformiste. I pochi che sono riusciti a entrare nella corsa, come spiega il portale al-Monitor, rappresentano solo il 10 per cento dei candidati in lizza: circa 200 su 6.200 autorizzati a concorrere possono infatti dichiararsi puramente riformisti.
Il resto è composto da conservatori sia dell’ala più moderata che di
quella più intransigente, di cui una buona metà rientra in quella
nebulosa di affiliazione non determinata. Un epilogo scontato, in un
paese privo di veri e propri partiti politici.
I RIFORMISTI. Ago della bilancia di questa elezione parlamentare è sicuramente il sostegno al presidente Hassan
Rohani. Egli stesso un conservatore moderato, al voto presidenziale del
2013 era riuscito a convogliare intorno a sé il sostegno dei
riformisti, il cui unico candidato in corsa, Mohamed Reza Aref, si era
fatto da parte proprio per non far disperdere il voto e dare una chance
al più moderato tra i conservatori. Complici gli arresti del 2009, dopo aver scatenato il movimento di protesta chiamato Onda Verde
per manifestare contro i risultati delle elezioni che avevano
inspiegabilmente riconfermato Mahmud Ahmadinejad, i riformisti erano
stati tagliati fuori dalla vita politica. Alle elezioni parlamentari del
2012, invece, avevano optato per il boicottaggio contro la “dura
repressione” della protesta del 2009: il risultato era stato un
Parlamento quasi completamente privo di opposizione. Ora provano a
tornare sulla scena politica, e si stringono intorno al presidente
Rohani, certi che la sua presenza e la sua linea moderata siano la loro
unica possibilità.
Quello a cui puntano i riformisti, infatti, è implementare le
promesse elettorali di Rohani di creare un “ambiente politico,
culturale ed economico più aperto” in Iran. Se
internazionalmente la situazione della Repubblica Islamica è
notevolmente cambiata dalla firma dell’accordo sul nucleare,
internamente permangono delle criticità: oltre alla stretta
sulle libertà personali e sui diritti umani, infatti, preoccupano
crescita e occupazione, con un mercato intero da riformare in vista
della corsa straniera agli investimenti nel paese. Tra le voci più importanti dei riformisti, Mohamad Reza Aref
lo ha già assicurato durante la sua campagna elettorale, che ha visto
il suo apice nella passeggiata in metropolitana effettuata la settimana
scorsa: se il suo blocco dovesse vincere, ci saranno più lavoro e più
crescita. L’ex vice presidente scelto da Mohamed Khatami nel suo mandato
dal 1997 al 2005 guida infatti una coalizione composta da riformisti e
moderati in lizza per i seggi della capitale Teheran. Parole di
incoraggiamento per la lista, chiamata “Speranza”, sono arrivate anche
dall’ex presidente Khatami stesso, molto popolare tra giovani e donne:
nonostante il blocco di molti riformisti, ha detto domenica scorsa, “ci
sono ancora abbastanza candidati meritevoli che sono in grado di
risolvere i problemi della gente”.
I CONSERVATORI. E’ quindi passato all’attacco il blocco conservatore, forte dei suoi 260 attuali deputati su 290: di
questi, 60 appartengono all’ala più dura del movimento, quello che si
oppone all’accordo sul nucleare e che presagisce una rinata “schiavitù
dell’Iran” sotto l’Occidente. In questi giorni la stampa
iraniana allineata sta veicolando i suoi appelli a “preservare la
dignità e il potere della Repubblica islamica”. Perché, come si legge
sulle colonne del quotidiano ultra-conservatore Javan, “se
l’Iran è stato un seguace delle politiche occidentali prima della
Rivoluzione islamica, è oggi un operatore indipendente. l’Iran è in
grado di garantire la sicurezza nazionale a molti chilometri di distanza
dai suoi confini e supporta i popoli oppressi in tutto il mondo”. La
stampa conservatrice, nel tentativo di squalificare i riformisti, ha
puntato il dito contro l’emittente britannica BBC, che opera in
Iran con un un portale in lingua farsi, rea di sostenere i candidati
riformisti, definiti con il termine offensivo di “filo-britannici” dai
loro detrattori.
“La BBC – si legge sulle colonne di Khorasan – si propone di formare l’opinione pubblica in Iran prima delle elezioni in linea con i suoi interessi e gusti. La
politica perpetuata dagli inglesi e dai loro media è sempre stata e
continua a essere quella di seminare conflitti e creare divisioni tra
tutti i gruppi e le correnti”. Tanto per non farsi mancare nulla, la BBC è ricordata anche come parte delle manifestazioni dell’Onda Verde del 2009 quando, secondo Khorasan,
ispirò “la sfiducia per le istituzioni elettorali, contribuendo ad
avviare proteste e fomentare disordini”. Stessa sinfonia anche per Hemayat,
per cui “alla vigilia delle elezioni vitali del Majlis e dell’Assemblea
degli Esperti, i media che appartengono a vecchie potenze coloniali
hanno assunto il ruolo di artiglieria del sistema egemonico e
istruiscono la gente a non votare per le correnti rivoluzionarie”.
AFFLUENZA E SOCIAL MEDIA. I riformisti, dal canto loro, continuano a veicolare il loro messaggio di andare a votare: non è un caso, come ricorda l’AP, che essi abbiano ottenuto più seggi alle elezioni quando c’è stata una maggiore affluenza. Il loro è un
incoraggiamento rivolto in particolare ai giovani, prime vittime della
disastrosa situazione economica in cui per anni ha versato l’Iran, avidi
navigatori del web e più inclini a offrire il proprio voto ai
riformisti, soprattutto visti i precedenti del 2009, in cui a migliaia
sostennero l’Onda Verde. Costituiscono quindi l’ago della bilancia di queste elezioni, che corrono sempre più sui social media. E, come previsto, le autorità stanno pensando di bloccare Telegram, l’applicazione di messaggistica istantanea più diffusa nel paese.
Ufficialmente, per poter controllare che i candidati non continuino
a fare campagna elettorale nelle 24 ore precedenti al voto – in Iran i
tempi di campagna elettorale sono strettissimi, per questa tornata si è
aperta 8 giorni prima, ndr – ma ufficiosamente perché è noto il ruolo
del social russo nello scambio di articoli e opinioni.
Il portale conservatore Alef Today ha affermato che, secondo
quanto rivelato da un funzionario anonimo, Telegram dovrebbe essere
rallentato o bloccato da domani fino alla fine del voto “per evitare che
i candidati utilizzino il servizio per scopi di campagna elettorale”.
L’app, utilizzata da un iraniano su quattro, è stata già messa sotto
pressione dai conservatori e rischia di trasformarsi in quello che
Facebook è stato per le manifestazioni del 2009. Il sito Iranwire
riporta che dieci giorni fa Mohammad Reza Aghamiri, un conservatore
membro del Comitato di filtraggio iraniano, ha detto che se Telegram
“non dovesse seguire le richieste delle autorità iraniane,
l’applicazione sarà rimossa”. Ali Bangi, direttore di ASL19, un
laboratorio di ricerca tecnologica con sede a Toronto che aiuta gli
iraniani a bypassare la censura su internet, è stato chiaro:
“L’opposizione – ha spiegato in un’intervista al portale Journalism is not a Crime
– ha usato molto bene Facebook per la mobilitazione, soprattutto dopo
le elezioni: le autorità hanno poi iniziato a vedere Facebook come loro
nemico e hanno deciso di bloccarlo. Credo che Telegram avrà lo stesso
ruolo: chi ha il potere di controllarlo, può decidere anche di
distruggerlo”.
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