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25/02/2016

Iran - La difficile scalata riformista al Parlamento

di Giorgia Grifoni

Aria di cambiamento a Teheran? Sì, ma doppia. Non solo venerdì prossimo si voterà per il rinnovo del Parlamento, il quale determinerà il corso delle riforme economiche e sociali annunciate dal presidente Hassan Rohani al momento della sua elezione, ma gli iraniani saranno anche chiamati a scegliere gli 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, organismo preposto alla nomina della Guida Suprema. Un compito che questa volta appare tanto più decisivo per l’età avanzata dell’ayatollah Ali Khamenei, e che fa apparire la sua sostituzione sempre più reale. Un consiglio degli esperti in cui la presenza di ultra-conservatori sia limitata sarebbe infatti l’unico modo per garantire un reale cambiamento nella Repubblica islamica, che seppur retta da alcune strutture democratiche, è de facto governata dalla Guida Suprema e dalle persone a lui vicine.

GLI ESPERTI. Per l’Assemblea più ambita, che ha dovuto nominare una sola persona nei suoi trent’anni di esistenza, le speranze dei riformisti si concentrano su un’unica lista, quella capeggiata dall’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, in passato vicinissimo a Khamenei ma escluso dall’ultima corsa alla presidenza perché “troppo vecchio”: di fatto, è stato allontanato dalle alte sfere di influenza per non aver mai condannato pubblicamente le manifestazioni dell’Onda Verde. Il portale al-Monitor riferisce che la sua lista comprende 16 nomi, tra cui spiccano alcuni conservatori moderati quali Rohani, l’ex ministro dell’intelligence Ghorbanali Dorri-Najafabadi e il suo omologo attuale Seyed Mahmoud Alavi. Grande escluso dalla corsa è Hassan Khomeini, nipote del leader della Rivoluzione islamica, che si trovava proprio nella lista di Rafsanjani. Dall’altro lato si trovano una serie di formazioni tutte in salsa conservatrice, i cui membri compaiono in numerose liste che spaziano dai più ai meno oltranzisti. Tra questi, il presidente del Consiglio dei Guardiani l’ayatollah Ahmad Jannati e l’attuale presidente dell’Assemblea degli Esperti Mohammad Yazdi.

Come consuetudine nelle elezioni degli ultimi anni, l’atmosfera si è già fatta incandescente. Il rigido Consiglio dei Guardiani, nominato dalla Guida Suprema e dal parlamento a trazione conservatrice, è riuscito a ottenere un campo quasi interamente dominato dai conservatori bloccando centinaia di candidature riformiste. I pochi che sono riusciti a entrare nella corsa, come spiega il portale al-Monitor, rappresentano solo il 10 per cento dei candidati in lizza: circa 200 su 6.200 autorizzati a concorrere possono infatti dichiararsi puramente riformisti. Il resto è composto da conservatori sia dell’ala più moderata che di quella più intransigente, di cui una buona metà rientra in quella nebulosa di affiliazione non determinata. Un epilogo scontato, in un paese privo di veri e propri partiti politici.

I RIFORMISTI. Ago della bilancia di questa elezione parlamentare è sicuramente il sostegno al presidente Hassan Rohani. Egli stesso un conservatore moderato, al voto presidenziale del 2013 era riuscito a convogliare intorno a sé il sostegno dei riformisti, il cui unico candidato in corsa, Mohamed Reza Aref, si era fatto da parte proprio per non far disperdere il voto e dare una chance al più moderato tra i conservatori. Complici gli arresti del 2009, dopo aver scatenato il movimento di protesta chiamato Onda Verde per manifestare contro i risultati delle elezioni che avevano inspiegabilmente riconfermato Mahmud Ahmadinejad, i riformisti erano stati tagliati fuori dalla vita politica. Alle elezioni parlamentari del 2012, invece, avevano optato per il boicottaggio contro la “dura repressione” della protesta del 2009: il risultato era stato un Parlamento quasi completamente privo di opposizione. Ora provano a tornare sulla scena politica, e si stringono intorno al presidente Rohani, certi che la sua presenza e la sua linea moderata siano la loro unica possibilità.

Quello a cui puntano i riformisti, infatti, è implementare le promesse elettorali di Rohani di creare un “ambiente politico, culturale ed economico più aperto” in Iran. Se internazionalmente la situazione della Repubblica Islamica è notevolmente cambiata dalla firma dell’accordo sul nucleare, internamente permangono delle criticità: oltre alla stretta sulle libertà personali e sui diritti umani, infatti, preoccupano crescita e occupazione, con un mercato intero da riformare in vista della corsa straniera agli investimenti nel paese. Tra le voci più importanti dei riformisti, Mohamad Reza Aref lo ha già assicurato durante la sua campagna elettorale, che ha visto il suo apice nella passeggiata in metropolitana effettuata la settimana scorsa: se il suo blocco dovesse vincere, ci saranno più lavoro e più crescita. L’ex vice presidente scelto da Mohamed Khatami nel suo mandato dal 1997 al 2005 guida infatti una coalizione composta da riformisti e moderati in lizza per i seggi della capitale Teheran. Parole di incoraggiamento per la lista, chiamata “Speranza”, sono arrivate anche dall’ex presidente Khatami stesso, molto popolare tra giovani e donne: nonostante il blocco di molti riformisti, ha detto domenica scorsa, “ci sono ancora abbastanza candidati meritevoli che sono in grado di risolvere i problemi della gente”.

I CONSERVATORI. E’ quindi passato all’attacco il blocco conservatore, forte dei suoi 260 attuali deputati su 290: di questi, 60 appartengono all’ala più dura del movimento, quello che si oppone all’accordo sul nucleare e che presagisce una rinata “schiavitù dell’Iran” sotto l’Occidente. In questi giorni la stampa iraniana allineata sta veicolando i suoi appelli a “preservare la dignità e il potere della Repubblica islamica”. Perché, come si legge sulle colonne del quotidiano ultra-conservatore Javan, “se l’Iran è stato un seguace delle politiche occidentali prima della Rivoluzione islamica, è oggi un operatore indipendente. l’Iran è in grado di garantire la sicurezza nazionale a molti chilometri di distanza dai suoi confini e supporta i popoli oppressi in tutto il mondo”. La stampa conservatrice, nel tentativo di squalificare i riformisti, ha puntato il dito contro l’emittente britannica BBC, che opera in Iran con un un portale in lingua farsi, rea di sostenere i candidati riformisti, definiti con il termine offensivo di “filo-britannici” dai loro detrattori.

“La BBC – si legge sulle colonne di Khorasan – si propone di formare l’opinione pubblica in Iran prima delle elezioni in linea con i suoi interessi e gusti. La politica perpetuata dagli inglesi e dai loro media è sempre stata e continua a essere quella di seminare conflitti e creare divisioni tra tutti i gruppi e le correnti”. Tanto per non farsi mancare nulla, la BBC è ricordata anche come parte delle manifestazioni dell’Onda Verde del 2009 quando, secondo Khorasan, ispirò “la sfiducia per le istituzioni elettorali, contribuendo ad avviare proteste e fomentare disordini”. Stessa sinfonia anche per Hemayat, per cui “alla vigilia delle elezioni vitali del Majlis e dell’Assemblea degli Esperti, i media che appartengono a vecchie potenze coloniali hanno assunto il ruolo di artiglieria del sistema egemonico e istruiscono la gente a non votare per le correnti rivoluzionarie”.

AFFLUENZA E SOCIAL MEDIA. I riformisti, dal canto loro, continuano a veicolare il loro messaggio di andare a votare: non è un caso, come ricorda l’AP, che essi abbiano ottenuto più seggi alle elezioni quando c’è stata una maggiore affluenza. Il loro è un incoraggiamento rivolto in particolare ai giovani, prime vittime della disastrosa situazione economica in cui per anni ha versato l’Iran, avidi navigatori del web e più inclini a offrire il proprio voto ai riformisti, soprattutto visti i precedenti del 2009, in cui a migliaia sostennero l’Onda Verde. Costituiscono quindi l’ago della bilancia di queste elezioni, che corrono sempre più sui social media. E, come previsto, le autorità stanno pensando di bloccare Telegram, l’applicazione di messaggistica istantanea più diffusa nel paese. Ufficialmente, per poter controllare che i candidati non continuino a fare campagna elettorale nelle 24 ore precedenti al voto – in Iran i tempi di campagna elettorale sono strettissimi, per questa tornata si è aperta 8 giorni prima, ndr – ma ufficiosamente perché è noto il ruolo del social russo nello scambio di articoli e opinioni.

Il portale conservatore Alef Today ha affermato che, secondo quanto rivelato da un funzionario anonimo, Telegram dovrebbe essere rallentato o bloccato da domani fino alla fine del voto “per evitare che i candidati utilizzino il servizio per scopi di campagna elettorale”. L’app, utilizzata da un iraniano su quattro, è stata già messa sotto pressione dai conservatori e rischia di trasformarsi in quello che Facebook è stato per le manifestazioni del 2009. Il sito Iranwire riporta che dieci giorni fa Mohammad Reza Aghamiri, un conservatore membro del Comitato di filtraggio iraniano, ha detto che se Telegram “non dovesse seguire le richieste delle autorità iraniane, l’applicazione sarà rimossa”. Ali Bangi, direttore di ASL19, un laboratorio di ricerca tecnologica con sede a Toronto che aiuta gli iraniani a bypassare la censura su internet, è stato chiaro: “L’opposizione – ha spiegato in un’intervista al portale Journalism is not a Crime – ha usato molto bene Facebook per la mobilitazione, soprattutto dopo le elezioni: le autorità hanno poi iniziato a vedere Facebook come loro nemico e hanno deciso di bloccarlo. Credo che Telegram avrà lo stesso ruolo: chi ha il potere di controllarlo, può decidere anche di distruggerlo”.

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