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29/02/2016

Carneficina a Baghdad, 92 morti mentre l'Iraq si sbriciola tra sunniti e sciiti

Il bilancio definitivo è arrivato stamattina: 92 morti in una serie di attacchi dentro e intorno Baghdad. L’ennesima strage targata Isis si è abbattuta ieri sulla capitale irachena a dimostrazione della libertà di movimento di cui godono tuttora le cellule del gruppo islamista. L’Isis non è chiuso nelle roccaforti a ovest, da Mosul a Fallujah, ma si spinge oltre sfruttando le difficoltà che le forze di sicurezza irachene hanno nel frenarne l’avanzata.

Ieri l’esplosione di una motocicletta parcheggiata ha colpito il mercato Mredi, nel quartiere sciita di Sadr City, subito seguita da un attentatore suicida che si è fatto saltare in aria mentre arrivavano i primi soccorsi: 73 vittime. Contemporaneamente altri attacchi colpivano la periferia della capitale (7 morti) mentre le forze di sicurezza si scontravano con miliziani islamisti intorno Abu Ghraib (12 morti): l’Isis ha preso il controllo di un silos di grano e ha attaccato una vicina base militare.

Ha poi rivendicato l’attacco a Sadr City, con un comunicato online nel quale ripeteva di avere nel mirino gli apostati, ovvero la comunità sciita. Risponde il premier al-Abadi, su Facebook: “Non ci fermeranno”. Ma la preoccupazione è concreta: lo Stato Islamico sa arrivare con i kamikaze nel cuore di Baghdad, ma soprattutto è in grado di organizzare operazioni coordinate ad Abu Ghraib, territorio alle porte della provincia di Anbar a ovest ma anche primo passo verso la capitale, ad est, a metà strada lungo la direttrice Fallujah-Baghdad. A fermarne l’avanzata sono state ancora una volta le milizie paramilitari sciite Hashed Shaabi, semi indipendenti dal governo e sempre  più potenti nel paese, sia dal punto di vista militare che politico.

Un’altra fronte di preoccupazione perché il più efficace freno al sedicente califfato non è ancora l’esercito di Baghdad, ma le decine di migliaia di miliziani sciiti, controllati dall’Iran e responsabili di numerose violazioni nei confronti della popolazione sunnita. La frattura interna al paese è visibile a occhio nudo e prospetta un futuro di divisione. L’ultima settimana ne è stata la dimostrazione: prima la proposta sunnita di federalismo amministrativo e poi la manifestazione di massa dei sostenitori del religioso sciita Moqtada al Sadr.

Venerdì un milione di sciiti sono scesi in piazza Tahrir a Baghdad per protestare contro la corruzione del governo centrale, portati in strada da al-Sadr, leader dell’Esercito del Mahdi che combatté l’occupazione statunitense dieci anni fa e ora a capo delle cosiddette Brigate della Pace, ricostituite in chiave anti-Isis e protagoniste della ripresa di Tikrit.

Al-Sadr resta una figura centrale nel panorama politico iracheno, uomo di grande carisma capace di mobilitare centinaia di migliaia di civili e combattenti. Una forza che gli giunge anche per la posizione assunta nei confronti del governo di Baghdad, accusato di fondarsi su un sistema di corruzione quasi istituzionalizzata. Venerdì ne è stato un esempio: i sostenitori di al-Sadr hanno mandato su spinta del leader un ultimatum all’esecutivo di al-Abadi perché concretizzi le riforme che da mesi promette di realizzare. Un pacchetto di leggi che al-Abadi ha enormi difficoltà a far diventare realtà a causa delle resistenze interne, di un sistema istituzionale che per decenni si è fondato su corruzione e clientelismo e che ha fatto dell’Iraq uno dei primi paesi al mondo nella poco onorevole classifica del radicamento della corruzione interna.

Ma al-Sadr non punta solo alle riforme interne. Tra le richieste mosse al governo c’è l’inclusione delle milizie sciite nell’esercito nazionale, che se da una parte le renderebbe più controllabili, dall’altra darebbe loro una legittimizzazione politica in grado di influenzare direttamente le scelte del futuro Iraq.

Dall’altra parte sta il blocco sunnita che inizia a muoversi per ottenere l’autonomia necessaria a seppellire le discriminazioni che da anni denuncia. La scorsa settimana l’Hcc, l’Alto Comitato di Coordinamento, blocco di 13 partiti sunniti presenti in parlamento, ha proposto un piano di divisione federale del paese, ovvero la creazione di una regione autonoma sunnita a ovest. Un modello simile a quello del Kurdistan iracheno: “Questo garantirebbe stabilità, unità e la continuazione dell’attuale sistema politico e rimedierebbe ai problemi e gli errori”, ha detto Osama al-Nujaifi, presidente dell’Hcc, che sottolinea come province autonome permetterebbero di riorganizzare i rapporti con il governo centrale e di distribuire l’autorità.

Un’autorità, dice l’Hcc, che finora è stata esercitata esclusivamente dal governo sciita, negando diritti fondamentali alla componente sunnita in campo politico, economico, commerciale. Per molti, discriminazioni che hanno spinto ex baathisti e giovani sunniti tra le braccia dell’Isis.

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