L’Arabia Saudita fa alzare la tensione in Libano. Dopo l’annuncio da parte della monarchia saudita di non finanziare più una fornitura di armi francesi da 3 miliardi di dollari, l’atmosfera tra i due schieramenti – il coordinamento “8 marzo” filo-siriano e guidato da Hezbollah e Corrente Patriottica Libera e il fronte “14 Marzo” filo-occidentale e filo-saudita, guidato dal sunnita Saad Hariri, leader del partito “Mustaqbal” – sembra essere tornata quella delle accuse e delle minacce reciproche con conseguenze imprevedibili.
Dopo un periodo di stallo politico, la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Tammam Salam e la nascita del movimento trasversale di protesta “You Stink” (a causa della crisi dello smaltimento dei rifiuti, del razionamento della fornitura di acqua ed energia elettrica, della disoccupazione), la situazione politica sembrava migliorata. L’improvvisa decisione di un mese fa da parte di Samir Geagea, leader del partito della destra maronita delle “Forze Libanesi”, di sostenere il suo acerrimo rivale Michel Aoun (anche lui cristiano ma tra i leader del coordinamento 8 Marzo) nella corsa alla presidenza della repubblica, sembrava aver sbloccato di fatto lo stallo politico nel quale il paese dei cedri era immerso da diversi anni. L’unica incognita era legata alla reazione di Saad Hariri e, soprattutto, dei paesi che lo sostengono: Arabia Saudita e altre petromonarchie. Pretendendo una chiara e decisa presa di posizione da parte del governo libanese contro l’Iran per l’aggressione all’ambasciata saudita a Teheran, in seguito alla decapitazione del dissidente sciita Nimr al Nimr, la petromonarchia ha deciso in maniera univoca di revocare il finanziamento nei confronti di uno stato che non considera più sotto la sua egemonia politica. Il ministero degli esteri saudita ha, inoltre, invitato i suoi cittadini a rientrare o a non recarsi nel paese dei cedri per “motivi di sicurezza”.
Le dichiarazioni e le prese di posizioni saudite cercano di mettere in crisi gli schieramenti che sono emersi in quest’ultimo mese: il “blocco di sostegno ad Aoun” con una rinnovata coesione tra la comunità cristiano maronita e quella sciita (Hezbollah) e quello di sostegno all’altro candidato Franjeh, con ormai il solo leader sunnita Hariri messo in minoranza dai suoi vecchi alleati ed in difficoltà nei confronti dei suoi sostenitori politici ed economici dei paesi del golfo, pronti ora a rimetterlo alla testa di uno schieramento anti-Hezbollah.
La principale motivazione, comunque, è l’estensione della guerra a distanza per il predominio nella regione tra l’Arabia Saudita e l’Iran che tocca tutto il Medio Oriente con Siria e Libano in prima linea. Il crescente ruolo e peso politico di Hezbollah nel paese dei cedri, il coinvolgimento delle sue milizie nella guerra civile siriana, le difficoltà saudite nel conflitto in Yemen contro gli sciiti Houti, hanno decisamente rovinato i piani della monarchia saudita nell’area.
Secondo molti analisti, infatti, l’intervento di Hezbollah in Siria nella battaglia di Qusayr ha cambiato le sorti della guerra civile siriana, in favore del governo di Damasco, intervento duramente osteggiato dalla fazione politica libanese del 14 Marzo. L’intervento militare del “Partito di Dio” è stato più volte giustificato dal suo segretario generale Hassan Nasrallah come una scelta fatta soprattutto per difendere il territorio libanese da una possibile diffusione del conflitto siriano nel paese dei cedri.
“Il nostro intervento è dovuto alla difesa del nostro paese. Tutto quello che avviene nella regione (Siria e Palestina – ndr) ricade inevitabilmente sulla politica nazionale. Combattiamo per difendere i nostri confini a nord e a est dalla presenza di Daesh e dei suoi militanti” ha spiegato Hassan Nasrallah. Nel contesto nazionale Hezbollah è intervenuto per difendere i confini libanesi dopo una crescita esponenziale di attentati dinamitardi nella zona settentrionale di Tripoli, nella valle orientale della Bekaa fino agli attacchi contro alcuni suoi esponenti politici e militari a Beirut. In effetti l’intervento di Hezbollah ha avuto un crescente sostegno nell’opinione pubblica nazionale proprio in chiave di “forza di sicurezza nazionale” «a tutela dei libanesi: sciiti, sunniti, drusi e cristiani contro la deriva jihadista di Al Nusra e di Daesh» come ha aggiunto Nasrallah nel suo discorso dopo la cattura di Ahmad Ammoun, leader di Daesh in Libano e mandante di diversi attentati dinamitardi, avvenuta ad Arslan nel nord est del paese.
Le reazioni politiche sono state ovviamente contrastanti. Da una parte il governo libanese ha dichiarato la sua vicinanza e fratellanza alla monarchia saudita ed il premier Salam si prepara ad un viaggio riconciliatorio in tutti i paesi del Golfo. Lo stesso Hariri ha proposto una “petizione di solidarietà nei confronti dell’Arabia Saudita e dell’unità panaraba”, mentre il suo vecchio alleato Geagea si è subito allineato sulle posizioni di vicinanza ai paesi arabi del golfo ed ha precisato che “le mancate dichiarazioni di solidarietà sono colpa del singolo ministro Gebran Bassil, esponente della Corrente patriottica Libera di Aoun (alleato di Hezbollah-ndr), e non di tutto il governo libanese”.
La risposta di Hezbollah non si è fatta attendere. Attraverso Nabil Qaouk, vice presidente del consiglio esecutivo, il partito ha affermato che “le armi dell’Arabia Saudita sono nelle mani delle brigate jihadiste in Siria e sono una minaccia per lo stesso Libano” ed ha concluso nel suo discorso che “Hezbollah non rinuncerà mai alle responsabilità nei confronti del popolo libanese e non cambierà la sua posizione in Siria quali che siano le pressioni politiche, economiche e mediatiche da parte dell’Arabia Saudita o dei paesi del Golfo”.
La mossa saudita, evidentemente, puntava, come è effettivamente avvenuto, a ridare nuovo slancio politico al suo pupillo Saad Hariri e a destabilizzare la fragile unità nazionale per cercare di riottenere quel ruolo di interlocutore politico ed economico privilegiato già detenuto in passato, più che a cancellare un sostegno economico per la fornitura di armi. Lo stesso giornale panarabo al Hayat martedì ha dichiarato che l’Arabia Saudita ha assicurato alla Francia che la commessa da tre miliardi di dollari sarà rispettata.
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