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20/02/2016

Le tasche vuote di Ali


Non portava nemmeno una borsa di plastica. Ciabatte di gomma arrostita, pantaloni consumati dal viaggio e una maglietta rossa sportiva. E’ tutto quello che Ali si porta a casa. Aiutante tipografo e soprattutto laterale sinistro. Sfornato dalle centinaia di scuole calcistiche di Abidjan, in Costa d’Avorio. Dice di abitare ai ‘220 logements’, nella capitale economica del paese in crescita a due cifre. Troverà fatto il terzo ponte sulla laguna e il presidente riconfermato per un secondo mandato. Tutti contenti a parte lui che era partito a 16 anni per pagare la scuola ai fratelli lasciati a casa. Il solito mediatore di giovani talenti lo aiuta per il viaggio in Tunisia e poi sparisce nel nulla. Nessuna squadra lo prova perché minorenne. Invece per i cantieri edili l’età di Alì va bene e decide poi di partire per la Libia con 800 euro. Il guadagno di un anno di lavoro.

Alì è arrestato per mancanza di documenti e, dopo essere stato derubato, con altri 30 migranti è deportato e poi abbandonato nel deserto al confine con l’Algeria. Voleva andare in Italia perché tifa per la Juventus, squadra che adora e che afferma trovarsi nella città di ‘Juve’. Una volta in Algeria non gli rimane che tornare al paese di origine e ricominciare a giocare da ‘laterale’. Proprio come nella storia, c’è il centro, la periferia e i ‘laterali’, che vivono ai margini di tutto. Alì, dopo la separazione dei genitori, ha vissuto con la madre fino all’età di sette anni. Lei si è risposata e lui coi fratelli sono tornati alla casa del padre. Anch’egli, risposatosi, è pensionato dopo aver lavorato per anni nel Porto Autonomo di Abidjan. Ormai anziano non riesce ad occuparsi dei figli e per questo Alì ha fatto l’ala. Così si trasformano i laterali migranti di una volta.

Il viaggio di ritorno da Algeri è durato più del previsto perché Alì ha dovuto vendere tutto. Altri come lui l’hanno aiutato per raggiungere Agadez, dove la missione cattolica gli ha pagato il viaggio fino a Niamey. Una volta arrivato in stazione non sapeva come rintracciare la cattedrale del quartiere Zongo. I taxi e altra gente fingono di non sapere dove si trova il noto edificio di culto dei cristiani. Ha camminato, chiesto, supplicato e infine trovato ciò che cercava. Indossava un paio di occhiali a lenti verdi che un migrante gli ha regalato ad Arlit, non lontano dalla frontiera con l’Algeria. Li portava per dare un altro colore a questa tappa della sua vita. Nella seconda tasca c’era un cellulare irregolare sfuggito al controllo della dogana. Regalo di un altro migrante, senza credito, giusto per fare compagnia al viaggio di ritorno

Alì ha ora 19 anni. Vuole ancora giocare al calcio e tifa la Juve degli innumerevoli scudetti. Tipografo quanto basta per scrivere la sua vita sull’inchiostro dopo averla cancellata sulla sabbia. Le tasche di Alì erano vuote e non portava con sé neanche una maglietta di ricambio. Quanto ai soldi aveva conservato solo il resto della colazione offerta dalla ditta Migranti Anonimi. Una Società per Azioni volta a destabilizzare il sistema di controllo globale della mobilità. Sfacciatamente libero di tornare al paese e di ricominciare da diciannove, anni che ha messi insieme con fatica. Una maglietta sportiva e pantaloni clandestini almeno quanto lui. Tipografo, laterale sinistro, figlio e fratello di mezzo, partito in attacco da tre anni. L’avvenire e il passato di Alì stanno nelle sua tasche vuote. Per ricordo ha scritto sulla mano il suo indirizzo di posta elettronica e giura di rispondere appena arrivato al paese.

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