di Roberto Prinzi
Dopo i tanti e clamorosi fallimenti, Russia e Stati Uniti ci riprovano: il 27 febbraio entrerà in vigore un “nuovo” cessate il fuoco in Siria.
L’accordo, raggiunto e annunciato ieri da Mosca e Washington, si basa
sul piano discusso a inizio mese a Monaco dalle due super potenze e da
altre 15 nazioni in cui era stato fissato il 15 febbraio come data
limite per porre fine alle ostilità. Tra le novità previste
questa volta, vi è l’istituzione di un gruppo di lavoro che “promuoverà e
monitorerà la tregua qualora dovesse essere necessario”.
Secondo i termini dell’accordo, il governo siriano (con i suoi
sostenitori) e i gruppi armati di opposizione dovranno rispettare la
risoluzione Onu 2254, partecipare ai negoziati di pace sponsorizzati
dall’Onu, fermare gli attacchi, smettere di conquistare altro territorio
e permettere il passaggio degli aiuti umanitari nelle aree assediate.
Desta qualche perplessità la parte del testo in cui viene
affermato il principio secondo cui “tutte gli attori del conflitto
possono usare forza proporzionata per autodifendersi contro qualunque
violazione del cessate il fuoco” perché il vago concetto di
autodifesa potrebbe essere facilmente usato da ciascuna fazione per
legittimare eventuali atti bellici. Russi e americani, continua il testo
dell’accordo, si assicureranno che le “parti che partecipano al cessate
il fuoco non vengano attaccate dalle forze armate russe, dalla
coalizione anti-Is (il cosiddetto Stato islamico, ndr), governo siriano e
altri gruppi che lo sostengono”. L’ok all’accordo dovrà essere espresso
da Damasco e dalle opposizioni entro mezzogiorno del 26 febbraio.
La notizia della nuova intesa è stata accolta favorevolmente
dal Segretario delle Nazioni Unite (Onu) Ban Ki-Moon che l’ha definita
“un tanto atteso segnale di speranza” e ha esortato tutte le parti in lotta in Siria a rispettarla. Tiepida,
invece, la reazione dell’Alto Comitato per le negoziazioni (Hnc), il
principale gruppo di opposizione siriana che ha sede a Riyad.
“Dopo che il coordinatore generale dell’Hnc, Riyad Hijab, ha presentato i
risultati delle sue discussioni con le fazioni di opposizione, abbiamo
concordato a rispondere in modo positivo agli sforzi della comunità
internazionale per raggiungere una vera tregua” si legge in un
comunicato ufficiale dell’Alto Comitato. Tuttavia, precisa la nota, “l’impegno
per la tregua” prevede delle condizioni: la fine dell’assedio del
regime, il rilascio dei prigionieri, la fine dei bombardamenti sui
civili e la consegna degli aiuti umanitari”.
Ottimisti, ovviamente, sono americani e russi. “Se
implementato, questo cessate il fuoco non solo porterà a una diminuzione
della violenza, ma permetterà anche di aumentare l’accesso degli aiuti
nelle aree assediate” ha detto il segretario di Stato Usa John Kerry.
“Inoltre – ha aggiunto – sosterrà una transizione politica a favore di
un governo che sarà pronto a soddisfare i desideri del popolo siriano”.
“Siamo tutti consapevoli delle sfide significative che abbiamo davanti –
ha ammesso – nei prossimi giorni lavoreremo per ottenere l’impegno
delle parti in lotta al rispetto dei termini dell’intesa”.
Soddisfazione è stata espressa anche dal Cremlino.
Putin ha definito l’accordo come “un passo in avanti” e ha promesso che
farà “qualunque cosa sia necessaria” per assicurarsi che Damasco
rispetti l’intesa. “Noi – ha però precisato il presidente russo –
abbiamo fiducia che anche gli Stati Uniti facciano lo stesso con i loro
alleati e con i gruppi che sostiene”.
Le possibilità d'essere di fronte ad una svolta in Siria
– dopo gli oltre 250.000 morti (dati Onu), i più di 11 milioni di
rifugiati (interni e fuori dai confini nazionali) e la devastazione
intera di un Paese – sembrano essere davvero poche. Il
comunicato congiunto russo e americano, infatti, sottolinea
esplicitamente come l’accordo non riguarderà il Fronte an-Nusra (filiale
locale di al-Qa’eda) e lo “Stato Islamico”, ovvero due dei principali
protagonisti del conflitto. Si aggiunga poi che le distanze tra il
regime e l’opposizione che fa capo all’Arabia Saudita restano enormi.
Intervistato alcuni giorni fa dal quotidiano el Pais, al-Asad aveva
ribadito: “rispetteremo la tregua, ma continueremo a combattere i
terroristi”. E per Damasco i “terroristi” sono anche i gruppi riuniti
sotto l’ombrello protettivo di Riyad, cioè quelli contro cui ora,
teoricamente, non dovrebbe più combattere. Il documento finale non
tratta poi a dovere la questione dei curdi: cosa faranno le Ypg (il
braccio armato del partito curdo siriano Pyd) ora che, pur se
lentamente, sembrano essere capaci di conquistare l’intero cantone di
Afrin e a riunire così i loro territori?
Non è chiaro se in risposta o meno a quanto deciso da russi e americani, a poche ore dall’annuncio dell’intesa sul coprifuoco, Damasco ha emanato un decreto che fissa al 13 aprile prossimo le nuove elezioni parlamentari nel Paese. Le
ultime, avvenute 4 anni fa, furono considerate “storiche” dagli
analisti occidentali perché per la prima volta, accanto al partito di
governo Ba’ath, parteciparono anche altre formazioni politiche. Una
apertura rimasta più sulla carta però: sui 250 membri parlamentari, ben
168 facevano parte della coalizione legata al Ba’ath di al-Asad. In
seguito a quelle votazioni il presidente siriano avrebbe nominato come
primo ministro Riyad Hijab ora, ironia delle sorte, a capo della
principale opposizione rappresentata dall’Alto Comitato per le
negoziazioni. Resta da chiedersi l’utilità di questa chiamata alle urne
considerando il fatto che due terzi del territorio siriano non sono più
sotto il controllo di Damasco. Almeno che, sia chiaro, non si voglia
parlare solo di Parlamento nell’Asadistan.
L’Onu, intanto, ha rilasciato ieri un nuovo allarmante report sulla guerra in Siria. Secondo il documento, i civili sono le prime vittime di “crimini di guerra dilaganti, pervasivi e sempre presenti”.
Lo studio, curato da una Commissione d’inchiesta indipendente delle
Nazioni Unite, ha chiesto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite
di riferire della situazione siriana alla Corte Penale internazionale
affinché questa possa investigare su eventuali crimini di guerra
compiuti nel Paese.
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