Non arriverò a sostenere che esiste una relazione lineare tra quello che dice la Corte dei Conti («la spending review
sta mettendo a rischio l’accesso dei cittadini ai servizi sanitari») e
quello che dice l’Istat («aumento mortalità nel 2015, 54mila decessi in
più rispetto al 2014»), ma neanche posso accettare che il governo dica a
noi tutti che Cristo è morto di freddo, cioè ci racconti che tutto si
spiega con un «rimbalzo demografico».
Che tra le politiche di definanziamento della sanità programmate per ridurre l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al Pil e la crescita della morbilità nel paese esista una correlazione è fuori di dubbio.
Che non sia l’unica correlazione è altrettanto vero ma non c’è discussione sul fatto che se la gente è curata male, non è curata, è in lista di attesa per mesi, è tassata con i ticket, con meno servizi, o come sta avvenendo in tutte le regioni, si accresce la distanza di prossimità tra il bisogno e i servizi accorpando e centralizzando tutto, la gente paga pegno.
Muore di più non di meno.
Sono anni che è dimostrata la correlazione tra il sovraccarico dei servizi dovuto a restrizioni pesanti del lavoro e la crescita della mortalità in ospedale. E negli ultimi anni è cresciuta, per esempio negli ospedali romani, la mortalità in maniera abnorme nei pronti soccorsi dove la gente aspetta sulle barelle di essere ricoverata. Il pronto soccorso per definizione è un luogo di passaggio e per questo dovrebbe avere una mortalità bassa, come mai oggi ha una mortalità il doppio della media?
La spending review quindi sicuramente per quota parte ha rapporti tanto con la morbilità che con la mortalità perché da idea di razionalizzazione ragionata essa è stata usata come un sistema diffuso di tagli lineari. Siccome tagliano solo l’offerta di tutele, non c’è dubbio sul fatto che fanno crepare la gente.
Quindi si pone un problema politico grande come una casa: a condizioni non impedite rispetto alle politiche sanitarie in atto ci si ammala di più e quindi si muore di più. Foucault diceva che non si muore perché ci si ammala ma ci si ammala perché si deve morire. Mi permetto di aggiungere che senz’altro esiste una ontologia della finitudine ma mi chiedo perché peggiorarla?
La spending review non è un discorso facile. Per intervenire sulle diseconomie ha bisogno di riformare ciò che le determina e ciò che le determina sono le incapacità, le ruberie, gli sprechi, i comportamenti opportunisti, i modelli regressivi dei servizi, le speculazioni, le prassi che non cambiano mai sia in ospedale, negli ambulatori pubblici, o negli studi dei medici di base. Cambiare la spesa significa riformare il sistema che la determina.
Oggi la super giustificazione è la sostenibilità. Quel po’ di morti in più si potrebbero definire vittime della sostenibilità. Ma quale altra idea di sostenibilità per combattere le politiche del governo quindi per togliere le diseconomie e, con buona pace di Foucault, far campare la gente il più possibile?
Fonte
Che tra le politiche di definanziamento della sanità programmate per ridurre l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al Pil e la crescita della morbilità nel paese esista una correlazione è fuori di dubbio.
Che non sia l’unica correlazione è altrettanto vero ma non c’è discussione sul fatto che se la gente è curata male, non è curata, è in lista di attesa per mesi, è tassata con i ticket, con meno servizi, o come sta avvenendo in tutte le regioni, si accresce la distanza di prossimità tra il bisogno e i servizi accorpando e centralizzando tutto, la gente paga pegno.
Muore di più non di meno.
Sono anni che è dimostrata la correlazione tra il sovraccarico dei servizi dovuto a restrizioni pesanti del lavoro e la crescita della mortalità in ospedale. E negli ultimi anni è cresciuta, per esempio negli ospedali romani, la mortalità in maniera abnorme nei pronti soccorsi dove la gente aspetta sulle barelle di essere ricoverata. Il pronto soccorso per definizione è un luogo di passaggio e per questo dovrebbe avere una mortalità bassa, come mai oggi ha una mortalità il doppio della media?
La spending review quindi sicuramente per quota parte ha rapporti tanto con la morbilità che con la mortalità perché da idea di razionalizzazione ragionata essa è stata usata come un sistema diffuso di tagli lineari. Siccome tagliano solo l’offerta di tutele, non c’è dubbio sul fatto che fanno crepare la gente.
Quindi si pone un problema politico grande come una casa: a condizioni non impedite rispetto alle politiche sanitarie in atto ci si ammala di più e quindi si muore di più. Foucault diceva che non si muore perché ci si ammala ma ci si ammala perché si deve morire. Mi permetto di aggiungere che senz’altro esiste una ontologia della finitudine ma mi chiedo perché peggiorarla?
La spending review non è un discorso facile. Per intervenire sulle diseconomie ha bisogno di riformare ciò che le determina e ciò che le determina sono le incapacità, le ruberie, gli sprechi, i comportamenti opportunisti, i modelli regressivi dei servizi, le speculazioni, le prassi che non cambiano mai sia in ospedale, negli ambulatori pubblici, o negli studi dei medici di base. Cambiare la spesa significa riformare il sistema che la determina.
Oggi la super giustificazione è la sostenibilità. Quel po’ di morti in più si potrebbero definire vittime della sostenibilità. Ma quale altra idea di sostenibilità per combattere le politiche del governo quindi per togliere le diseconomie e, con buona pace di Foucault, far campare la gente il più possibile?
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