Nella aree adiacenti l'edificio della Rada stanno continuando anche oggi le manifestazioni delle cosiddette “Forze radicali di destra”, che ieri hanno assaltato e distrutto gli uffici delle banche russe a Kiev – azione definita oggi dal presidente Porošenko “una provocazione di Mosca” (!) – e che esigono le dimissioni di presidente e governo, oltre la denuncia degli accordi di Minsk sul Donbass.
All'interno del parlamento, invece, non si sono ancora esauriti i tentativi farsa di dimissionare il primo ministro Arsenij Jatsenjuk. Che si tratti di un fuoco di paglia lo dice il fatto che il nuovo progetto di risoluzione sulla sfiducia al governo sia stato registrato da un (uno) deputato indipendente: per ora, nessuna frazione parlamentare pare intenzionata a tornare sul tema, dopo la sceneggiata dello scorso 16 febbraio allorché, dopo quattro ore di esternazioni sull'insoddisfazione per l'operato del gabinetto, erano mancati i voti per dimissionare premier e governo.
E, sempre fuori dall'aula, ma con una risonanza che gli viene dalla sua aura atlantica, anche l'ex presidente yankee della Georgia, Mikhail Saakašvili, continua nella litania per mandare a casa Jatsenjuk. Al canale georgiano Rustavi 2, Saakašvili ha dichiarato che “Jatsenjuk se ne deve andare. E non perché io voglia prendere il suo posto – nei giorni scorsi aveva rivelato di mirare molto più in alto – ma perché non è possibile avere in Ucraina un governo antipopolare, che esprime gli interessi dei funzionari corrotti”. Ciò a fronte di un Petro Porošenko che è un “politico di alto livello”, ha dichiarato il nuovo cittadino ucraino (in patria è ricercato per appropriazione indebita di 5 milioni di $ e falsificazione di prove per la misteriosa morte dell'ex primo ministro Zurab Žvania) in attesa di chiarire quali affari lo leghino al presidente e quali lo contrappongano al primo ministro. Affari che, secondo l'ucraina GromadskeTV, vedono Saakašvili in predicato di perdere molto presto la poltrona di governatore di Odessa: la possibilità è stata confermata dal suo stesso vice, Aleksandr Borovik, dopo l'esternazione dell'esteta Mikhail (pare che in Georgia avesse gettato alcune centinaia di migliaia di $ di fondi pubblici per cure estetiche) sul “golpe oligarchico” per la mancata sfiducia a Jatsenjuk.
E sulla situazione interna ucraina è intervenuto il presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko. Secondo Novorosinform il leader della DNR ha scritto che “L'anniversario del colpo di stato a Kiev si è caratterizzato per nuovi pogrom e promesse di un'altra majdan. Tali fatti avvengono sullo sfondo di una profonda crisi politica, crollo dell'economia e spaventosa caduta del livello di vita dei cittadini ucraini. Perché avviene tutto questo? Perché, come risultato del golpe e dell'abbattimento violento del potere legittimo, cioè di quella che a Kiev chiamano “rivoluzione”, hanno preso il via processi distruttivi che nessuno può fermare”. A parere di Zakharčenko (che inverte qui i nomi delle categorie) ci sono solo due vie d'uscita: “o la controrivoluzione, o la dittatura rivoluzionaria. Non credo a una dittatura a Kiev: non vedo candidati al ruolo di dittatore e il popolo non accetterebbe un altro golpe con la presa del potere da parte non degli scagnozzi dei Banderisti, ma dei Banderisti e dei neonazisti in prima persona”. Dopo aver scritto di non nutrire particolare ottimismo, il leader della DNR ha detto di “essere molto dispiaciuto per la sorte del popolo ucraino. Noi non abbiamo combattuto e non combattiamo contro il popolo ucraino, bensì contro i Banderisti e i loro reggicoda, che hanno usurpato il potere a Kiev. E' possibile una controrivoluzione?” si è chiesto Zakharčenko, intendendo con ciò un argine alla “rivoluzione” dei golpisti filo UE; “Certamente. Ma questo dipenderà dal fatto se il popolo riuscirà a sbalzare gli usurpatori e troverà leader che non propongano agli ucraini di trasformarsi in qualcosa di diverso da ciò che sono, per esempio in “europei”, bensì di tornare a essere se stessi, con la propria storia, cultura, coi propri autentici eroi”.
Ma intanto, dalla notte scorsa, si stanno registrando combattimenti accaniti praticamente lungo tutta la linea del fronte del Donbass. Lo stesso Zakharčenko, nei giorni scorsi, aveva detto di temere un attacco massiccio delle forze neonaziste ucraine in occasione della festività del 23 febbraio, un tempo anniversario della formazione dell'Armata Rossa (in Urss la festa fu istituita nel 1922; ora, in Russia, si chiama Festa dei Difensori della patria. In Ucraina la festività è stata posposta al 14 ottobre, anniversario della formazione del filonazista UPA, nel 1942) e, con ogni evidenza, il leader della DNR non era lontano dal vero.
Tra i centri più colpiti dalle artiglierie pesanti nelle ultime ore, Staromikhajlovka, poche decine di km a ovest di Donetsk da dove, secondo gli abitanti dei quartieri occidentali della città, si odono distintamente le cannonate. Gli scontri sono proseguiti nel corso di tutto il fine settimana e hanno interessato anche diversi rioni periferici di Donetsk, tra cui Aleksandrovka, Trudovskie, Oktjabrskij e Spartak, insieme al centro di Zajtsevo, a nord di Gorlovka, colpiti con tiri di mortai. Azioni di guerra sono state registrate anche a nord di Jasinovata e nell'area di Kranyj partizan, lungo tutta la linea che corre da Donetsk verso Lugansk, in direzione nordest.
D'altronde i neonazisti ucraini non fanno mistero di voler “aprire un secondo fronte contro la Moscovia”. Sul canale tv “112”, l'ultranazionalista Dmitrij Korčinskij, uno dei fondatori di UNA-UNSO (Assemblea popolare di autodifesa) e del partito “Fratellanza” (cui fa capo il battaglione “Santa Maria”) ha dichiarato che “in caso di inizio di operazioni militari tra Turchia e Moscovia, quale sarà la posizione dell'Ucraina? Avremo paura o apriremo un “secondo fronte”, vale a dire, attaccheremo Donetsk e Lugansk? A mio avviso, nel caso di un conflitto serio dovremo approfittare del momento e sostenere la Turchia. Attaccare per fare in modo, quantomeno, che l'attenzione della leadership russa debba dividersi sui due fronti”. Vari osservatori, anche ucraini, pur non attribuendo verosimiglianza alle parole di Korčinskij – il cui peso, politico e militare, è pressoché insignificante – non escludono che la leadership golpista di Kiev sia molto tentata da tale scenario.
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