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19/02/2016

USA: Apple e la guerra alla privacy

di Michele Paris

Grazie a un’ingiunzione emessa questa settimana da un giudice federale, l’amministrazione Obama ha fatto un passo avanti forse decisivo nell’acquisizione degli strumenti necessari a penetrare i sistemi di sicurezza dei telefoni cellulari in possesso di utenti privati. La giustificazione per questa mossa dalle gravissime implicazioni è la necessità di accedere al contenuto dell’iPhone appartenuto a uno dei due attentatori che lo scorso anno erano stati protagonisti del sanguinoso attacco a un centro conferenze di San Bernardino, in California.

Il giudice Sheri Pym del tribunale distrettuale federale della California centrale ha imposto martedì a Apple di trovare un modo, ovvero di realizzare un apposito software, per “bypassare e disabilitare” il sistema crittografico che fa parte del sistema operativo iOS9 e che serve a proteggere la privacy dei propri smarthphone.

Gli agenti dell’FBI non sono infatti in grado di accedere all’iPhone del defunto Syed Rizwan Farook a causa del sistema che prevede l’auto-cancellazione dei dati dopo avere effettuato dieci tentativi di sbloccarlo. Questa sicurezza non consente il ricorso al metodo solitamente utilizzato dalla polizia federale americana per penetrare i dispositivi elettronici, provando cioè tutte le possibili password fino all’individuazione di quella corretta.

In questa vicenda, la posta in gioco è enormemente più grande di un telefono appartenuto a un terrorista morto. Tramite l’ordine emesso contro Apple, e con l’immancabile riferimento alla lotta al terrorismo, il governo americano intende attribuirsi la facoltà di aggirare i sistemi crittografici dei dispositivi per riuscire a monitorare le comunicazioni elettroniche che restano attualmente al di fuori della propria portata.

Un “dibattito” sul bisogno delle autorità di polizia di avere uno strumento pseudo-legale per eludere gli ostacoli rappresentati dalla crittografia è in corso da tempo negli Stati Uniti e non solo. Gli attentati degli ultimi mesi, tra cui appunto quello di San Bernardino e quelli di Parigi, avevano dato l’occasione ai vari governi di tornare alla carica per abbattere uno degli ultimi muri rimasti contro l’invadenza dei servizi di sicurezza.

Il presidente Obama si era rifiutato di appoggiare pubblicamente un’eventuale nuova legge che fornisse alle forze di polizia gli strumenti per aggirare i sistemi crittografici, ma la sua decisione non era basata su questioni di principio, bensì era dettata solo da ragioni di opportunità, vista la vastissima opposizione popolare e delle stesse compagnie informatiche.

A testimonianza della determinazione con cui il governo USA intende comunque raggiungere questo obiettivo, il giudice Pym ha addirittura fatto riferimento a un’oscura legge – “All Writs Act” – che, nella sua forma originaria, è stata scritta nel XVIII secolo. Grazie a un’interpretazione elastica di essa, un giudice può attribuirsi ampie facoltà di imporre a “parti terze” l’esecuzione di un ordine del tribunale, sospendendo in sostanza le restrizioni ai poteri dello stato previste dalla Costituzione.

Le rassicurazioni della Casa Bianca sul caso in corso in California sono da prendere a dir poco con le molle. In una conferenza stampa, il portavoce del presidente, Josh Earnest, ha garantito che il Dipartimento di Giustizia non sta cercando di ottenere un modo per accedere “dalla porta di servizio” agli smartphone protetti da crittografia, ma l’ingiunzione a Apple è limitata a “un solo dispositivo”.

In realtà, il governo sta cercando di assicurarsi il potere di fare precisamente quanto dice di escludere. A provarlo ci sono non solo le numerose dichiarazioni degli ultimi mesi di vari esponenti politici e dell’apparato della sicurezza nazionale, tra cui il direttore dell’FBI James Comey, sulla necessità di limitare i sistemi crittografici, ma anche i precedenti dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA), i cui programmi di sorveglianza globale sono stati rivelati da Edward Snowden.

L’amministratore delegato della Apple, Tim Cook, ha fatto riferimento alle implicazioni dell’ordine emesso dal giudice californiano nella dichiarazione con cui ha annunciato che la sua azienda intende appellarsi  per renderlo nullo. Cook ha affermato che “una volta creata, la tecnica [per aggirare la crittografia dell’iPhone] può essere usata all’infinito, su qualsiasi dispositivo”, come un “passepartout in grado di aprire centinaia di milioni di serrature”.

“Il governo”, ha spiegato Cook, “sta chiedendo a Apple di hackerare i suoi stessi utenti”, visto che il software richiesto potrebbe essere usato per “intercettare i vostri messaggi, accedere alle vostre informazioni sanitarie o finanziarie, individuare la vostra posizione e addirittura attivare il microfono o la fotocamera del vostro telefono senza che ve ne rendiate conto”.

La presa di posizione del numero uno di Apple non deve comunque trarre in inganno sulla disposizione verso le richieste del governo americano di questa e delle altre compagnie tecnologiche, rimaste non a caso in larga misura in silenzio in questi giorni. Solo mercoledì, ad esempio, il CEO di Google, Sundar Pichai, ha tardivamente appoggiato il collega di Apple, limitandosi però a esprimere il proprio parere con una serie di “tweet”.

Per cominciare, come ha rivelato Snowden, queste aziende collaborano quanto meno da oltre un decennio con il governo per garantire alla NSA e alle altre agenzie federali l’accesso ai propri server e, di conseguenza, alle informazioni private dei loro utenti. Lo stesso Tim Cook, inoltre, ha assicurato che Apple intende continuare a collaborare con il governo nella farsa della “guerra al terrore”, visto che “quando l’FBI ha richiesto dei dati [relativi ai propri clienti], essi sono stati forniti”.

La resistenza mostrata da Apple alla richiesta di sbloccare l’iPhone di Syed Rizwan Farook è insomma motivata soltanto da ragioni di ordine economico. L’indebolimento dei sistemi di sicurezza installati sui propri prodotti, garantendo l’accesso a essi da parte del governo USA e possibilmente anche da hacker, assesterebbe un grave colpo all’immagine della compagnia, penalizzandola in maniera sensibile visto il livello di competitività globale in questo segmento di mercato.

Per il New York Times, infatti, i vertici di Apple si auguravano di risolvere le difficoltà di accesso al dispositivo in questione senza il bisogno di creare un apposito software e, soprattutto, hanno mostrato non poca irritazione di fronte alla decisione del governo di rendere pubblica la propria richiesta di eludere la crittografia invece di ricorre a una procedura o a un accordo segreto.

Lo stesso quotidiano ha raccontato di frenetiche discussioni il mese scorso tra gli avvocati di Apple e gli uomini del Dipartimento di Giustizia di Washington per convincere la compagnia a cedere e ad accogliere le richieste del governo. Solo quando si è accertato che non era possibile giungere a un compromesso, il governo ha proceduto con la richiesta di ingiunzione in tribunale e Apple ha deciso di rendere pubblico il proprio dissenso.

Lo stallo, ad ogni modo, potrebbe essere risolto dalla Corte Suprema nel prossimo futuro, anche se in molti credono che il Congresso abbia intenzione di intervenire per approvare una legge che, verosimilmente con appoggio bipartisan, imponga alle compagnie tecnologiche di creare un accesso agli smartphone protetti da crittografia, accontentando finalmente le agenzie governative e contribuendo a smantellare ancor più le residue garanzie di privacy e i diritti democratici dei cittadini.

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