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18/02/2016

Kiev: giochi al rimpallo alla Rada, agli ordini di Washington

“Ucraina Europea-UE” ha cessato di esistere, scrive la Tass, aggiungendo che, con l'uscita del partito Autoaiuto dall'alleanza che sostiene il governo Jatsenjuk, ha privato con ciò stesso la coalizione “UE” della maggioranza parlamentare.

La decisione sarebbe stata presa dopo che la Rada, pur avendo riconosciuto come insoddisfacente l'operato del governo, non è poi riuscita a sfiduciare il gabinetto. Martedì sera infatti, al termine della presentazione del rapporto sull'attività del governo da parte del primo ministro, solamente 194 deputati (sui 226 necessari) avevano sfiduciato il gabinetto. Apparentemente, al risultato avevano contribuito anche dei “problemi tecnici”: proprio alcuni deputati di Autoaiuto si erano lamentati del non funzionamento del voto elettronico, che avrebbe dato un risultato opposto a quello voluto; anche se, nell'Ucraina di euromajdan, i voti espressi dai deputati sembrano valere quel tanto che separa via Gruševskij (la Rada suprema) da via Sikorskij, dove ha sede l'ambasciata USA.

Strano a dirsi, ma nientemeno che il più genuino yankee d'Ucraina, l'ex georgiano (non più tale dopo che Tbilisi gli ha tolto la cittadinanza) Mikhail Saakašvili, aveva parlato ieri di un “golpe oligarchico”, per la mancata sfiducia al suo concorrente in affari Arsenij Jatsenjuk. Un tema questo ripreso oggi dal capogruppo alla Rada di Autoaiuto, Oleg Berezjuk, per motivare la decisione di uscire dalla maggioranza: “Il popolo ucraino è stato testimone” ha detto, “di un evidente complotto tra i vertici dello stato, da una parte, e gli oligarchi, con le forze parlamentari da essi controllate, dall'altra”. Si è assistito a un “tentativo di fusione definitiva” ha detto ancora Berezjuk “tra il potere della cleptocrazia e quello dell'oligarchia. E' divenuta evidente l'unione di potere costituita da parte della frazione parlamentare “Blocco Porošenko”, “Fronte Popolare” di Jatsenjuk, e spezzoni del Partito delle Regioni (dell'ex presidente Janukovič) controllati da una serie di oligarchi”. Al di là degli allarmi per “l'usurpazione della legittimità del parlamento”, nelle parole di Berezjuk risuonano gli echi di euromajdan e delle faide tra oligarchi, che caratterizzano da due anni la vita interna ucraina, parallelamente alla guerra terroristica condotta in maniera concorde contro una parte del proprio stesso territorio, le cui ricchezze fanno gola sia agli oligarchi del sud che del centro del paese e servono egregiamente l'interesse supremo di via Sikorskij.

Ad ogni modo, la Tass ricorda come della coalizione “Ucraina Europea-UE”, uscita dal voto del 26 ottobre 2014, facessero parte all'inizio il “Blocco Porošenko”, Autoaiuto, Patria di Julia Timošenko, il “Fronte Popolare” e il Partito radicale di Oleg Ljaško. Quest'ultimo ne era uscito già nel settembre scorso, per protestare contro l'adozione della legge sulla decentralizzazione (un surrogato di quanto previsto dagli accordi di Minsk per il Donbass e mai messo in pratica); Patria era uscita dalla coalizione ieri l'altro, immediatamente dopo il voto di sfiducia non riuscito del 16 febbraio. Secondo il regolamento, la Rada ha ora un mese di tempo per formare una nuova coalizione, in grado di raccogliere il minimo di 226 deputati (i soli “Blocco Porošenko” e “Fronte Popolare” arrivano a 217), altrimenti il parlamento verrà sciolto. Il “Fronte Popolare” spera di convincere Ljaško a rientrare nell'alleanza: dopotutto, si può soprassedere sulle dissonanze circa il grado di autonomia da non concedere al Donbass. E Ljaško, in effetti, coi suoi 21 deputati, si è già detto disponibile; addirittura a mettersi a capo della coalizione. Per esprimersi con le parole del redattore capo del sito odessino “Tajmer”, Jurij Tkačëv, si sta assistendo a un semplice riposizionamento dei letti nel bordello.

Insomma, proteste, urla e sghignazzi a parte, il pupillo di Victoria-Fuck-the-UE-Nuland ha dato subito a intendere che non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio posto di primo ministro. Segno evidente che Jatsenjuk si sente sufficientemente protetto e che dal Potomac non è ancora giunta luce verde per l'avvicendamento. Tanto protetto da permettersi di “tender la mano” al presidente e alla sua frazione parlamentare, con un esplicito invito a riconoscere chi realmente comandi; o meglio: a chi siano pro tempore affidate le funzioni di caporale. Tanto più che, in base al regolamento parlamentare, la prossima possibilità “legale” di un voto di sfiducia al governo ci sarà soltanto tra sei mesi. D'altronde, già alla vigilia della votazione, più di una voce si era levata a mettere in dubbio “il coraggio” dei deputati di andar contro le indicazioni di Washington. E così è stato.

D'altra parte, il capogruppo del “Blocco Porošenko”, Jurij Lutsenko, ha detto che una riformattazione del governo è ritenuta irrinunciabile dalla sua frazione parlamentare e, se ciò non avverrà, la Rada “potrebbe sfiduciare il premier; non il governo, bensì il solo primo ministro”. I dubbi sulla serietà o sulle possibilità concrete di simili “minacce” sembrano più che leciti.

Dunque, un gioco al rimbalzo che appare tragico e affatto comico per quella parte del popolo ucraino che, oltre a subire sul proprio tenore di vita le ripercussioni di una guerra scatenata da Kiev contro i propri stessi compatrioti, deve anche soggiacere ai giochi “politici” di chi ha trasformato il paese, come osserva per RIA Novosti il leader del movimento “Scelta ucraina”, Viktor Medvedčuk, in un'appendice deindustrializzata di materie prime per l'Occidente, di cui è ostaggio.

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