di Michele Giorgio
I sostenitori di
Barack Obama hanno recitato troppo in fretta il de profundis al
progetto del “Grande Medio Oriente” tanto caro alla coppia George W.
Bush/Condoleeza Rice e ai neocons statunitensi. Perché quel
nuovo ordine mediorientale che doveva emergere da guerre e caos in
Nordafrica e Asia centrale in qualche modo sta prendendo forma grazie
proprio all’Amministrazione in carica. Le esercitazioni “Red
Flag” che alla fine di agosto hanno visto i top gun israeliani volare
nei cieli del Nevada assieme ai colleghi pakistani e degli Emirati arabi
– quindi di due Paesi con i quali lo Stato ebraico non ha relazioni
ufficiali – segnano una nuova fase nella marcia di avvicinamento tra Tel
Aviv e i Paesi a maggioranza sunnita in atto da tempo e che è vista con
grande favore da Washington. L’esempio più evidente è la
collaborazione dietro le quinte tra Arabia saudita e Israele, in chiave
anti-Iran. E se Riyadh flirta con Israele, allora possono farlo anche il
Pakistan alleato di ferro dei regnanti sauditi e gli Emirati governati
da altri monarchi desiderosi di ridisegnare un nuovo Medio Oriente,
lontano dal vecchio schema imposto dal conflitto arabo-israeliano e
dalla questione palestinese.
Per le forze aeree statunitensi le esercitazioni “Red Flag”
sono un programma di addestramento di eccezionale valore, perché
permettono a piloti di diverse nazionalità di provare insieme missioni
di guerra e di difesa del territorio come se fossero parte di una stessa
coalizione di Paesi alleati. Per una decina di giorni aerei da
combattimento degli Stati presenti (c’era anche la Spagna), hanno preso
parte a combattimenti simulati, a raid contro obiettivi molto lontani
con rifornimenti in volo. Voci dicono che gli israeliani (e americani)
si sono addestrati a come aggirare il sistema di difesa antiaerea S-300
che i russi hanno fornito all’Iran che lo ha prontamente posto a
protezione della centrale nucleare di Fordo. Il comandante Usa
Rick Mattson non si è sbilanciato sulle finalità dell’addestramento. Ha
però raccontato alla stampa dell’impegno dei pakistani che, ha detto,
vedono nella Red Flag «una opportunità non solo di migliorarsi
all’interno delle forze armate nazionali ma di integrarsi meglio con gli
altri (piloti di vari Paesi)».
Gli israeliani preferiscono parlare solo degli aspetti tecnici delle
esercitazioni e dell’esperienza fatta nell’affrontare, con rifornimenti
in volo, il viaggio di ritorno a casa in alcuni momenti con cattive
condizioni meteo. A proposito della presenza nel Nevada dei
piloti del Pakistan e degli Emirati, gli israeliani si limitano a dire
che «gli inviti sono stati fatti dal paese ospitante», gli
Stati Uniti. Eppure il governo Netanyahu sa quanto siano importanti
queste manovre militari per consolidare i contatti sotto i tavoli con
Paesi formalmente ancora “ostili”. Senza dimenticare che il
Pakistan come Israele (e India e Sud Sudan), non ha ancora firmato il
Trattato di non proliferazione nucleare e possiede un nutrito arsenale
atomico. In passato ci sono state voci di contatti segreti tra
funzionari israeliani e pakistani e un documento diffuso da Wikileaks ha
rivelato che un alto ufficiale dell’esercito pakistano avrebbe avuto
contatti con il Mossad israeliano. E dove non possono arrivare
le manovre militari e la diplomazia ufficiale c’è sempre il mondo degli
affari pronto a dare una mano. Qualche giorno fa si è saputo che una
azienda israeliana specializzata in cyberspionaggio ha fornito agli
Emirati arabi un software in grado di violare il sistema di sicurezza di
iPhone e iPad e di sorvegliare gli attivisti locali dei diritti umani.
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