Ho ascoltato ieri sera, 13 ottobre 2016, la conferenza organizzata dal LIMES CLUB a Bologna nell'Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche.
Ci siamo ritrovati in una sala letteralmente gremita: i posti a sedere erano tutti occupati e molte decine di persone, tra cui il sottoscritto, sono dovute rimanere ad ascoltare in piedi o accovacciate. Credo di poter valutare in circa 300 i partecipanti. Voglio sottolineare questo per dare la misura del bisogno di iniziative sui temi di politica internazionale, rispetto ai quali in alcuni settori della nostra società c'è evidentemente sete di conoscenza, una sete che l'apparato dei media evita di soddisfare se non con bevande avvelenate: anche in questa occasione, come in tante altre simili, pure da parte dei relatori si è apertamente lamentata tale (dolosa) sottrazione di informazione.
È stata insomma una grande occasione, ma voglio parlarne perché ne sono uscito con il sentimento forte di avere assistito alla ennesima occasione sprecata.
È pur vero che sarebbe ingenuo aspettarsi troppo da iniziative di questo tipo. Conosciamo LIMES dalla sua fondazione e ne abbiamo constatato un certo declino, da rivista preziosa nata proprio per esporre ciò che i media e la politica ci negano di conoscere, a periodico "ecumenico" imbrigliato nel conformismo dei rapporti accademici nostrani e dalle compatibilità del gruppo editoriale L'Espresso, in un panorama editoriale in cui è tutta una gara al ribasso. Programmaticamente non-ideologica, la narrativa di LIMES è confinata nell'angusta dimensione della geopolitica come se quest'ultima esistesse davvero come disciplina autosufficiente, evitando perciò di scavare tra le cause strutturali dei conflitti e soprattutto impossibilitata a riconoscere nella guerra la manifestazione più eclatante e consueta delle crisi di sovraccumulazione del capitale. L'ossessione invece di "dare voce a tutte le parti" ha reso vieppiù enigmatici i numeri della rivista; ciononostante, proprio in virtù della sua programmatica ecumenicità, LIMES è diventata la vetrina ambita anche da giovani studiosi, soprattutto da chi esce da studi di politica internazionale o simili e legittimamente cerca il suo posto al sole nel giornalismo, nell'accademia o persino nella diplomazia. (E vaglielo a dire, a quale prezzo è possibile oggi come oggi conseguire tali posti: per le menti più critiche e brillanti, il prezzo da pagare è quantomeno la rinuncia alle proprie convinzioni.)
In quella gremita platea la grande maggioranza erano infatti e giustamente studenti. Mi chiedo però che cosa abbiano imparato dalla conferenza. Inizialmente i relatori si sono presentati ed hanno esposto alcuni loro punti di vista, con toni non particolarmente accesi nonostante il titolo della serata: NATO-RUSSIA LA GUERRA POSSIBILE, che opportunamente ribaltava e precisava il titolo del numero della rivista oggetto della presentazione: RUSSIA-AMERICA LA PACE IMPOSSIBILE. Le cose più gravi – come la notizia che saranno prossimamente schierati decine di soldati italiani nei Paesi Baltici a pochi metri dal confine russo – sono state dette con un candore disarmante (magari lo fosse davvero…). Si è parlato di provocazioni da parte USA che ci sono già state – come il bombardamento della base militare siriana poche settimane fa mirato a far saltare la tregua appena raggiunta con la Russia, o l'abbattimento del jet russo da parte turca, o ancora il colpo di Stato a Kiev scattato proprio all'indomani di un altro accordo del quale si era fatta garante una trojka europea – e di altre provocazioni che sarebbero possibili e potrebbero far precipitare "incidentalmente" o "colposamente" la situazione. Di tante altre provocazioni che pur ci sono state non si è invece parlato – dal terrorismo ucraino in Crimea, ai colpi ucraini caduti in territorio della Federazione russa nel 2014, all'abbattimento da parte ucraina dell'aereo di linea malaysiano – ma certo non si poteva parlare di tutto. Di qualcosa però non si è voluto parlare, o meglio ci si è affrettati a liquidarlo come se fossero inezie inutili da discutere, per la serie: stendiamo un velo pietoso.
Eh no! Al pacato Lucio Caracciolo, che a un certo punto ha detto: "Meglio dunque che lasciamo stare l'Unione Europea", replichiamo che l'Unione Europea non la lasciamo stare proprio per niente.
Sulla Unione Europea hanno fatto a gara a minimizzare, a dire che è impotente, inutile e divisa, che di fronte alle scelte cruciali si ritrova sempre in ordine sparso... È una opinione consolatoria, questa, che però è anche (auto)assolutoria e non coglie il punto.
In realtà, la Unione Europea ha responsabilità-chiave nell'infiammarsi di scenari come quello ucraino. In questo non c'è niente di nuovo, poiché essa persegue la continuità di secoli e secoli di politiche russofobiche e antislave, tra le quali 2 (finora) Guerre Mondiali: non si capisce allora perché eludere il problema con battutine sarcastiche sulla irrilevanza della UE rispetto agli USA. In piazza Majdan ad aizzare la folla dei teppisti nazisti antirussi c'erano Gianni Pittella e Margaret Ashton, oltre a MacCain e Nuland. A piazza Majdan, in effetti, era in corso EURO-Majdan, e a sventolare erano essenzialmente bandiere della UE, non statunitensi; e a premere su sempre nuove sanzioni contro la Russia è sempre Angela Merkel.
Se tale atteggiamento della Unione Europea – vale a dire del suo "nocciolo duro" franco-tedesco à la Schäuble, di che altro parliamo? – è sconcertante, lo è solo nella misura in cui esso è tragicamente simile a quello tenuto rispetto alla crisi jugoslava, dalla quale – è evidente – ci si ostina a non voler apprendere proprio nulla. Eppure fu LIMES, tramite Gianni De Michelis, a rivelarci che a Maastricht quella notte di dicembre 1991 si era barattata l'adozione dell'euro in cambio del sangue dei popoli jugoslavi: vale a dire che l'Unione Europea a guida tedesca scelse lo squartamento di quel paese, riponendosi in piena continuità con il suo macabro passato. È proprio questa Europa qui che continua ad essere levatrice della guerra, epicentro – e ovviamente, stoltamente vittima essa stessa – di grandi guerre.
Ci ha lasciato davvero di stucco, su questo, la posizione del Console Onorario di Russia a Bologna, tra i relatori alla conferenza, che ha voluto più volte sottolineato la sua origine "per metà bosniaca" e ha fatto ripetutamente riferimento alla guerra in Jugoslavia ed alle mancanze o "errori" commessi in quel caso. In realtà non ci furono errori, ma piuttosto crimini: crimini perpetrati in piena facoltà di intendere e di volere dalla leadership europea, cioè tedesca. Fa anche cadere le braccia che, dopo tanti anni, si continui a dipingere la aggressione NATO contro i serbi di Bosnia come quell'intervento salvifico che portò alla pace di Dayton, laddove però per i tre anni precedenti era stato tutto un susseguirsi di provocazioni, strategia della tensione, boicottaggio dei piani di pace (come quello Cutilhero), rifornimenti palesi e occulti di armi alle parti filo-occidentali e filo-europee attraverso le azioni coperte della stessa NATO… La Unione Europea fu tenuta a battezzo con quei crimini infami, per i quali certamente è la mano USA-NATO a sporcarsi per prima, ma questo sempre in virtù del fatto che i provocatori USA sanno che la UE cade volentieri in tutte le provocazioni di quel genere.
Da quella sala sono uscito perciò fondamentalmente indignato. Indignato in generale, per la occasione perduta nonostante le potenzialità di un evento pubblico del genere. Indignato anche con me stesso, per non avere alzato la mano subito, avendo capito troppo tardi che tutto sommato sarebbe stato importante intervenire davanti a quel pubblico di giovanissimi ignari, che difficilmente in questo "mercatino delle opinioni e degli aneddoti" possono prendere vera coscienza dei problemi del mondo in cui vivono. Perché talvolta la falsa coscienza non è dovuta all'essere ideologici, ma alla convinzione di non esserlo, che ci costringe nel circolo vizioso del non-detto e del conformismo dei giornalisti e dei commentatori mainstream; laddove invece condizione necessaria per provare a scongiurare il rischio della guerra è riconoscere e dichiarare a quale schieramento si appartiene.
Andrea Martocchia
(Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e Comitato Ucraina Antifascista Bologna)
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