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15/10/2016

Il tranello americano

Qualcuno dovrà prendersi la briga di dire, da sinistra, che il linciaggio politico-mediatico contro Donald Trump è vergognoso. Non perché – è un’ovvietà ma, come dire, repetita juvant – Trump non sia effettivamente uno dei simboli del degrado politico neoliberista; non perché non sia soggettivamente un bifolco sessista; non perché il suo esempio amorale di tycoon evasore non segni l’ennesimo passo indietro culturale del ceto politico liberista. Tutte queste cose al sistema mediatico e politico mainstream non fregano un cazzo: questo il tranello ideologico su cui stanno concentrando l’attenzione media e finanza delle due sponde dell’Atlantico. L’attuale linciaggio è funzionale all’elezione di un presidente impresentabile, innominabile, inadatto, quale è Hillary Clinton, questa si espressione – ben più di Trump – dei famigerati “poteri forti”, come lei stessa d’altronde ammette candidamente. 

Non è vero neanche che tra Trump e Clinton “non ci siano differenze sostanziali”, come pure prova a ragionare una parte della sinistra in lotta contro la trappola mediatica imposta: Hillary Clinton è peggio di Donald Trump, su questo non possono esserci tentennamenti moralistici. Quello della morale è un terreno da rifiutare a prescindere, perché è il capitalismo dei mercati finanziari, personificato da Hillary Clinton, a costituire la più grande opera di distruzione morale ed etica della storia dell’uomo. Non le avventure di un tragicomico minus habens che ha raccolto il sentimento di delusione e rassegnazione dei ceti popolari nordamericani rivolgendoli in chiave parodistica e regressiva. 
Donald Trump e Hillary Clinton non sono sullo stesso piano, ma questo non vuol dire che uno dei due sia “votabile”. Il problema è che, scomparendo qualsiasi analisi oggettiva delle componenti economiche, sociali e sociologiche che hanno portato alla ribalta Trump, accettando – anche criticandolo – il terreno imposto dai media del moralismo calpestato dal magnate americano, scompaiono a loro volta le ragioni profonde di queste tristi elezioni statunitensi, le stesse ragioni che avevano portato al relativo successo elettorale Bernie Sanders.

Donald Trump è un rappresentante inadeguato – non perché sessista però – di un bisogno sociale di rottura con una classe politico-economica con cui vanno mantenuti aperti canali di dialogo necessari e inaggirabili. La sinistra statunitense o, per estensione immaginaria, anche quella europea, assecondando la vittoria di Hillary Clinton come “male minore”, quel dialogo, già ampiamente compromesso, lo rovinerebbe ulteriormente.

Bisogna ribadirlo con forza: Donald Trump è il rappresentante inadeguato di un bisogno giusto: la rivolta barbara e incivile che sorge dall’impoverimento generalizzato della società senza rappresentanza politica; mentre Hillary Clinton è l’espressione politicamente presentabile di un bisogno sbagliato: la stabilizzazione del sistema politico americano.

Sono due società differenti quelle personificate dai due candidati. In Hillary Clinton c’è profonda concordanza tra interessi di classe e rappresentazione politica. In Donald Trump gli interessi della miriade di ceti impoveriti o addirittura proletarizzati prendono la forma ultra-alienata del populismo reazionario ma, se ha ancora un senso ricercare nella composizione di classe l’appiglio storico a cui aggrappare le ragioni della sinistra, questi ceti impoveriti, queste fasce di proletariato, rimangono gli unici referenti sociali possibili.

Altrimenti, proseguiremo nel “detournament” storico in cui la sinistra è finita: espressione politica dei ceti medi intellettualizzati, contrapposta al populismo, di volta in volta reazionario o progressista, capace però di dare voce ai senza voce, rappresentanza agli esclusi dai processi di innovazione tecnologica e produttiva del capitalismo.

Ecco perché la sfida tra Donald Trump e Hillary Clinton ci riguarda direttamente: perché anche da questi tornanti storici si capisce la direzione politica della sinistra di classe del prossimo futuro.

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