Qualcuno dovrà prendersi la briga di dire, da sinistra, che il linciaggio politico-mediatico contro Donald Trump è vergognoso. Non perché – è un’ovvietà ma, come dire, repetita juvant – Trump
non sia effettivamente uno dei simboli del degrado politico
neoliberista; non perché non sia soggettivamente un bifolco sessista;
non perché il suo esempio amorale di tycoon evasore non segni
l’ennesimo passo indietro culturale del ceto politico liberista. Tutte
queste cose al sistema mediatico e politico mainstream non
fregano un cazzo: questo il tranello ideologico su cui stanno
concentrando l’attenzione media e finanza delle due sponde
dell’Atlantico. L’attuale linciaggio è funzionale all’elezione di un
presidente impresentabile, innominabile, inadatto, quale è Hillary
Clinton, questa si espressione – ben più di Trump – dei famigerati
“poteri forti”, come lei stessa d’altronde ammette candidamente.
Non è vero neanche che tra Trump e Clinton “non ci siano differenze
sostanziali”, come pure prova a ragionare una parte della sinistra in
lotta contro la trappola mediatica imposta: Hillary Clinton è peggio
di Donald Trump, su questo non possono esserci tentennamenti
moralistici. Quello della morale è un terreno da rifiutare a
prescindere, perché è il capitalismo dei mercati finanziari,
personificato da Hillary Clinton, a costituire la più grande opera di
distruzione morale ed etica della storia dell’uomo. Non le avventure di
un tragicomico minus habens che ha raccolto il sentimento di
delusione e rassegnazione dei ceti popolari nordamericani rivolgendoli
in chiave parodistica e regressiva.
Donald Trump e Hillary Clinton non sono sullo stesso piano, ma questo non vuol dire che uno dei due sia “votabile”. Il problema è che, scomparendo qualsiasi analisi oggettiva delle componenti economiche, sociali e sociologiche che hanno portato alla ribalta Trump,
accettando – anche criticandolo – il terreno imposto dai media del
moralismo calpestato dal magnate americano, scompaiono a loro volta le
ragioni profonde di queste tristi elezioni statunitensi, le stesse
ragioni che avevano portato al relativo successo elettorale Bernie
Sanders.
Donald Trump è un rappresentante inadeguato – non perché
sessista però – di un bisogno sociale di rottura con una classe
politico-economica con cui vanno mantenuti aperti canali di dialogo
necessari e inaggirabili. La sinistra statunitense o, per estensione
immaginaria, anche quella europea, assecondando la vittoria di Hillary
Clinton come “male minore”, quel dialogo, già ampiamente compromesso, lo rovinerebbe ulteriormente.
Bisogna ribadirlo con
forza: Donald Trump è il rappresentante inadeguato di un bisogno giusto:
la rivolta barbara e incivile che sorge dall’impoverimento
generalizzato della società senza rappresentanza politica; mentre
Hillary Clinton è l’espressione politicamente presentabile di un bisogno
sbagliato: la stabilizzazione del sistema politico americano.
Sono due
società differenti quelle personificate dai due candidati. In Hillary
Clinton c’è profonda concordanza tra interessi di classe e
rappresentazione politica. In Donald Trump gli interessi della miriade
di ceti impoveriti o addirittura proletarizzati prendono la forma
ultra-alienata del populismo reazionario ma, se ha ancora un senso
ricercare nella composizione di classe l’appiglio storico a cui
aggrappare le ragioni della sinistra, questi ceti impoveriti, queste
fasce di proletariato, rimangono gli unici referenti sociali possibili.
Altrimenti, proseguiremo nel “detournament” storico in cui la sinistra è
finita: espressione politica dei ceti medi intellettualizzati,
contrapposta al populismo, di volta in volta reazionario o progressista,
capace però di dare voce ai senza voce, rappresentanza agli esclusi dai
processi di innovazione tecnologica e produttiva del capitalismo.
Ecco
perché la sfida tra Donald Trump e Hillary Clinton ci riguarda
direttamente: perché anche da questi tornanti storici si capisce la
direzione politica della sinistra di classe del prossimo futuro.
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