di Michele Giorgio
Israele continua a dare
sportellate all’Amministrazione Obama e alle Nazioni Unite. E valuta le
conseguenze concrete della risoluzione 2334 approvata la scorsa
settimana dal Consiglio di Sicurezza grazie alla “storica” astensione
degli Stati Uniti che hanno rinunciato, per la prima volta da diversi
anni a questa parte, ad usare il diritto di veto a difesa di Israele.
Non ci sono più freni. L’attacco che il premier Netanyahu e
il suo governo portano al presidente americano uscente è frontale,
aperto, esplicito. Ripetono che Obama ha messo in atto un «complotto»,
una vendetta – che Washington invece nega – e avvertono che il
presidente Usa potrebbe avere altre «sorprese in serbo» dopo aver aperto
la strada all’approvazione della risoluzione che riafferma lo status di
territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e la
illegalità delle colonie israeliane.
«Presenteremo le prove alla nuova Amministrazione (Trump) tramite i
canali appropriati. Se vorranno condividerle con il popolo americano,
potranno farlo», ha annunciato con tono minaccioso l’ambasciatore
israeliano negli Stati Uniti, Ron Dermer, in
un’intervista alla Cnn. Due giorni fa, nel giorno di Natale, Netanyahu –
in qualità di ministro degli esteri – aveva convocato e rimproverato
gli ambasciatori, presenti nel Paese, degli Stati che hanno votato a
favore della risoluzione – Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna, Spagna,
Egitto, Giappone, Ucraina, Angola e Uruguay – e messo in chiaro che
Israele comunque non la rispetterà. Ieri il primo ministro ha proclamato che Israele «non porgerà l’altra guancia».
Picchia duro il ministro della difesa e leader
dell’ultradestra Avigdor Lieberman che ieri è arrivato al punto da
descrivere la conferenza multilaterale di pace di Parigi del prossimo 15
gennaio – organizzata da Hollande per rilanciare i negoziati ma alla
quale Israele non intende partecipare – ad un incontro di antisemiti.
Quella conferenza è «Un tribunale contro Israele», ha tuonato
Lieberman. «Non è una Conferenza di pace – ha incalzato – ma qualcosa il
cui scopo è danneggiare la sicurezza di Israele e la sua reputazione».
Infine Lieberman ha paragonato l’iniziativa francese al
Processo Dreyfus: «Con una differenza: invece di un solo ebreo oggi (sul
banco degli imputati) c’è l’intero Stato ebraico». Quindi è
arrivato l’annuncio. Il Comune di Gerusalemme domani con ogni
probabilità darà il via a un progetto per la costruzione di 618 case per
coloni. Il nuovo piano è stato deciso in passato ma la municipalità è
decisa a portarlo avanti in questo momento per ribadire il controllo di
Israele su tutta Gerusalemme, incluso il settore palestinese occupato
nel 1967.
L’altro giorno il quotidiano Israel HaYom, megafono
del primo ministro, aveva anticipato che saranno tirati fuori dal
cassetto progetti edilizi per 5.600 appartamenti da realizzare a
Gerusalemme Est nelle colonie israeliane, definite da tanti
media, anche italiani, “rioni” o “quartieri” sebbene siano insediamenti
coloniali per la legge internazionale.
La cortina di fumo che il premier Netanyahu e il suo governo hanno
sollevato intorno all’accaduto, ha lo scopo di prevenire un nuovo colpo
di coda di Obama. I quotidiani israeliani scrivono che John Kerry presto pronuncerà il suo ultimo discorso da segretario di stato.
In quella occasione potrebbe esporre la visione dell’Amministrazione
uscente per la questione palestinese in modo da condizionare le scelte
future di Donald Trump, in particolare su Gerusalemme. Sono
soltanto voci. Netanyahu però, dopo l’astensione Usa all’Onu, le prende
molto sul serio. Non è escluso che Washington possa (indirettamente)
facilitare l’intervento della Corte Penale Internazionale che sino ad
oggi ha svolto solo indagini preliminari nei Territori occupati sulle
denunce di crimini di guerra rivolte dai palestinesi allo Stato ebraico.
Tuttavia si deve tenere conto che Israele non ha rispettato diverse
risoluzioni del CdS contro la colonizzazione senza pagare alcuna
conseguenza, grazie alla protezione garantita dagli Usa. Inoltre, notava
ieri l’analista Yonah Jeremy Bob, la risoluzione 2334 non è stata
approvata nel contesto del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite
che avrebbe aperto la strada a un dibattito su eventuali sanzioni
economiche contro Israele.
Il danno perciò è limitato. Netanyahu in ogni caso alza la
voce e batte i pugni sul tavolo perché il CdS da lungo tempo non
riaffermava la illegalità delle colonie e dell’occupazione e questo
mette in pericolo i progetti, cari al ministro ultrazionalista Naftali
Bennett, volti a mettere in soffitta la soluzione dei Due Stati
(Israele e Palestina) e ad annettere subito a Israele le porzioni della
Cisgiordania con le maggiori concentrazioni di colonie israeliane. In
poche parole è rispuntato fuori il diritto internazionale quando il
governo Netanyahu pensava di averlo affossato.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento