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23/12/2016

Giordania - Mistero intorno agli attentatori di Karak

di Michele Giorgio

L’Isis è sulla bocca di tutti. Ma erano davvero miliziani del Califfato i quattro uomini che due giorni fa in Giordania, nel distretto meridionale di Karak che ospita una stupenda fortezza crociata, hanno ucciso cinque poliziotti, tre civili giordani e una turista canadese di 62 anni?

I dubbi non mancano, anche perché le autorità giordane continuano a non rivelare l’identità dei quattro assalitori – tutti rimasti uccisi negli scontri a fuoco con la polizia – che sono descritti soltanto come “terroristi” o “criminali fuorilegge”. Si sussurra che l’attacco a Karak sia stato opera di membri delle tribù locali. 

Islamisti radicali ma non legati direttamente all’Isis, espressione violenta del rancore crescente verso la monarchia e il governo che si respira in alcune regioni della Giordania per la mancanza di lavoro e per la marginalizzazione che rende la popolazione più vulnerabile al reclutamento da parte di gruppi estremisti.

Sono centinaia – qualcuno dice migliaia – i giordani andati in Siria a combattere, nei ranghi dei vari gruppi jihadisti, contro il governo di Damasco.

«La gente percepisce la debolezza del potere, crede che il governo non sia in grado di contrastare tali azioni (armate). Gli attacchi del passato erano limitati nei loro obiettivi e non coinvolgevano i civili, le cose stanno cambiando. L’affermazione che la Giordania sarebbe un’isola di stabilità non è più credibile», spiega l’analista e docente di scienze politiche Labib Kamhawi.

Pur confinando con Iraq e Siria, la Giordania è riuscita ad evitare il coinvolgimento diretto nelle guerre ai suoi confini. E sebbene faccia parte della Coalizione anti-Isis a guida Usa ed ospiti corsi di addestramento per “ribelli” siriani finanziati da Washington, ha adottato una politica di basso profilo che l’ha portata a tenere aperti i contatti con i due grandi rivali nella regione: Iran e Arabia Ssaudita.

Il fuoco però cova sotto la cenere e la scarsa partecipazione alle elezioni legislative dello scorso settembre hanno confermato lo scetticismo di gran parte della popolazione verso le istituzioni nazionali, percepite dai giordani come simboli di un potere disinteressato ad avviare vere riforme democratiche e politiche economiche per ridurre la povertà e la disoccupazione.

Una fetta di giordani, in gran parte giovani, invece si è avvicinata al radicalismo religioso, in particolare a quello salafita, allontanandosi dall’islamismo politico dei Fratelli Musulmani ritenuto troppo “morbido”. Proprio nel sud del Paese quasi trent’anni fa esplose la rivolta del pane e contro il carovita, che coinvolse la città beduina di Maan ma anche Karak e Tafila.

Le forze di sicurezza in quella occasione reagirono uccidendo cinque dimostranti. Una ferita che non si è mai rimarginata. Quella regione è ancora oggi una spina nel fianco della monarchia hashemita e la protesta popolare contro il regime si è saldata con le rivendicazioni religiose.

L’attacco armato di domenica è anche un esempio dell’impreparazione dell’intelligence agli ordini di re Abdallah, spietata nei confronti dei più deboli – profughi siriani (e palestinesi) – e poi colta di sorpresa a Karak dove con ogni probabilità hanno sparato cittadini giordani non affiliati direttamente all’Isis.

Proseguono intanto le indagini. Secondo una ricostruzione ufficiale dell’attacco, tutto è cominciato quando una pattuglia della polizia ha ricevuto la segnalazione di un incendio in una casa di Qatraneh, nel distretto di Karak. Gli agenti hanno risposto a una chiamata e una volta giunti in prossimità dell’abitazione sono stati accolti da raffiche di mitra.

Due poliziotti sono rimasti feriti e gli aggressori sono fuggiti in una macchina verso Karak, dove hanno di nuovo aperto il fuoco contro un’altra pattuglia della polizia. Infine il terzo attacco, il più grave, avvenuto nei pressi della fortezza crociata. Qui la sparatoria ha provocato l’uccisione di sei agenti. «Quattro uomini armati sono usciti da un’automobile e hanno aperto il fuoco contro un gruppo di turisti, uccidendo la donna canadese e ferendo un bambino. Poi hanno preso di mira altre persone e si sono rifugiati nel castello (crociato). Poco dopo sono giunte le forze di sicurezza», ha raccontato ai giornalisti un abitante di Karak, Wasfi al Habashneh.

Linda Vatcher è la 62enne canadese uccisa dal commando. Era andata a far visita al figlio che lavora in Giordania e che è sfuggito all’attacco.
Il ministro dell’interno Salamah Hamad ha detto che gli assalitori indossavano cinture esplosive e che in un’area vicina sono state ritrovate bombe e armi. Questo lascia credere che il commando avesse pianificato anche attacchi suicidi e di provocare un numero di vittime più alto. Hamad ha smentito che un gruppo di stranieri sia stato preso in ostaggio durante gli scontri a fuoco.

A quanto pare i turisti si erano rifugiati all’interno della fortezza durante la sparatoria. E sono usciti allo scoperto quando sono cessati gli scambi di raffiche, senza mai aver avuto un contatto diretto con i membri del commando.

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