di Davide Lemmi
Il Governo di Saad
Hariri è appena stato formato. L’annuncio dei 30 ministri che formano il
nuovo esecutivo di unità nazionale è il frutto di una lenta
contrattazione e un dosaggio tra le varie parti in campo. Il ponte tra
gli sciiti di Hezbollah e i cristiani maroniti del Movimento Patriottico
Libero è stato il protagonista delle ultime vicende politiche libanesi.
Sul nuovo Governo, e più in particolare sulle scelte e sul ruolo di
Hezbollah nell’esecutivo, abbiamo sentito Francesco Mazzucotelli,
professore di storia della Turchia e del vicino oriente all’Università
di Pavia. Il docente ha inoltre frequentato e svolto attività di ricerca
all’American University of Beirut, dedicando al tema Hezbollah gran
parte dei suoi studi.
Un nuovo Governo di unità nazionale si apre in Libano, l’asse
Hezbollah-Aoun è stato fondamentale al raggiungimento di questo
obiettivo, ma quanto è solido questo patto?
L’alleanza tra Hezbollah e Aoun si è dimostrata solida negli ultimi
dieci anni e i recenti discorsi di Nasrallah non mi pare lascino
presagire un cambiamento radicale di rotta. Penso che vada sempre
sottolineato il carattere strumentale di questo tipo di alleanze, che
sono più matrimoni di convenienza che non coalizioni organiche.
Nell’autunno del 2006 Hezbollah e Aoun erano fortemente accomunati
dall’opposizione al governo di Fouad Siniora; oggi molte cose sono
cambiate, anche nei rapporti all’interno della comunità cristiana, ma
non al punto da mettere in discussione l’interesse comune tra i due
partiti. Attualmente mi sembra interessante cercare di capire la
posizione del movimento Amal, svantaggiato dell’accordo che ha portato
all’accoppiata Aoun-Hariri.
Cosa ha spinto Hezbollah ad avallare la creazione di questo esecutivo?
In Hezbollah convivono queste due anime, che con lessico italiano
potremmo chiamare così: una più “movimentista”, legata alla retorica
della resistenza e dell’opposizione al sistema clientelare
confessionalista, e una più “governista”, che tiene un piede all’interno
delle istituzioni. Si potrebbe affermare che Hezbollah ha cercato di
essere “partito di lotta e di governo”. Le contraddizioni sono lampanti:
è incoerente dire di essere contro il confessionalismo e allo stesso
tempo partecipare alla spartizione confessionalista del potere. Credo
che alla lunga queste incongruenze possano essere nocive. Se da una
parte quando si tocca l’argomento occupazione Israeliana nel Sud del
Libano sono tutti d’accordo e le contraddizioni scemano, dall’altra,
storia più attuale, la partecipazione di Hezbollah al conflitto siriano
ha accresciuto la sensazione di incompatibilità tra le due anime che
compongono il movimento. In politica interna la pretesa di diversità
morale del “Partito di Dio” rispetto agli altri movimenti, soprattutto
rispetto ai cugini e avversari di Amal, è stata messa in discussione
dalle proteste dell’estate 2015 per la crisi della raccolta
dell’immondizia. In quell’occasione, Hezbollah è stato di fatto
accomunato a quella che, sempre con lessico italiana, verrebbe definita
la “casta” della classe politica confessionale/clientelare libanese.
Quale partita vorrà giocare adesso in politica interna Hezbollah?
L’ipotesi che sostengo, anche in un capitolo del libro “Lebanon
facing the Arab uprising”, pubblicato da Palgrave, è che Hezbollah
adotti un linguaggio sempre più confessionale. Esempio di ciò è
l’opposizione ai gruppi takfiri e la difesa dei luoghi santi sciiti. Il
rischio connesso è un progressivo calo di consenso all’interno della
comunità sciita. Le difficoltà sono strettamente connesse ai costi umani
della guerra in Siria e alle condizioni materiali di vita in Libano. Se
questa intuizione fosse corretta, si aprirebbe la strada a domande
quali: che tipo di interessi sociali Hezbollah rappresenta nella
pratica, al di là della filosofia e delle parole? Che tipo di politiche
economiche e di sviluppo sostiene? Il malcontento del 2015, che ha preso
di sprovvista alcuni esponenti e li ha portati ad ammettere che
qualcosa doveva essere ricalibrato, è stato un fuoco di paglia o è la
spia di un disagio a cui Hezbollah cercherà di rispondere? E sarà una
risposta strutturale o populista? Il governo Hariri nasce teoricamente
come governo a termine, quindi teoricamente con obiettivi limitati, ma
non è detto che le cose andranno veramente così.
Il Partito di Dio spinge particolarmente per un sistema elettorale di tipo proporzionale, quali sono i vantaggi?
Come in Italia, anche in Libano si parla continuamente di legge
elettorale. Io ne sento parlare dal 2000. Nessun sistema è però in grado
di accontentare tutti, nel senso che o sacrifichi il bilancino della
rappresentanza confessionale connessa a quella territoriale o sacrifichi
la possibilità di presentare liste disgiunte dai giochi confessionali.
Ogni sistema, sia il collegio unico nazionale sia collegi molto piccoli a
base locale, ha i suoi pro e i suoi contro. Io non credo che, allo
stadio attuale, cambierebbe molto per Hezbollah in termini di numeri di
seggi. Ci sarebbero effetti per i partiti “minori” associati a ciascun
campo, ma le variabili sono talmente tante che è difficile fare
pronostici o disegnare scenari precisi.
La politica estera di Hezbollah, in particolare la Siria, ha
spaccato in due il paese, ma lo ha consacrato a potenza regionale.
Quanto peseranno in positivo e quanto in negativo le mosse esterne del
Partito di Dio alle prossime elezioni di maggio?
Non so se la posizione di Hezbollah avrà un effetto elettorale.
L’elettorato è fidelizzato e il combinato di divisione dei seggi su base
territoriale e su base confessionale indebolisce gli outsider. Alle
elezioni municipali ci sono state quest’anno parecchie sorprese, ma
credo che sia difficile replicare nelle elezioni parlamentari. Alcuni
sintomi di malcontento in una parte della comunità sciita probabilmente
ci sono, ma è difficile che si traducano in un flusso elettorale. A me
sembra più plausibile, al più, l’inizio di una disaffezione.
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