L'Italia è un paese che da più di 20 anni si fonda sulla scommessa sui fondi speculativi. Con pessimi risultati che si ripercuotono su welfare, diritti e servizi sociali
Non c’è bisogno di fare grandi astrazioni. Basta guardarsi attorno. L’analisi
specialistica sanitaria che tarda mesi, le prestazioni pensionistiche
congelate, i posti letto in ospedale scomparsi, la spesa e la qualità
del servizio per educazione e istruzione compresse. Le infrastrutture
decadenti, gli investimenti bloccati. Per non parlare
dell’assenza di un reddito di cittadinanza di fronte alla disoccupazione
tecnologica (tema che, comunque, ancora oggi viene considerato una
favola) E infine: i comuni senza reali strumenti di indirizzo economico
del territorio.
Stiamo parlando di un percorso cominciato
negli anni ’90, con il crollo della lira del 1992 e le politiche dei
tagli del governo Amato. Percorso che, oggi, tocca livelli di
asfissia sociale e che è destinato, se le cose rimangono queste, a
peggiorare. Ci sono molte cause, e molte discipline critiche con le
quali avvicinarsi al problema. In una dimensione di futuro incerto dove
il calo degli investimenti, nell’ultimo quinquennio, è palese. E questo
specie quando i dati parlano chiaro: l’Italia, strutturalmente spende meno della media degli altri paesi Ue, per spesa sociale.
In un contesto dove, nell’ultimo decennio, la percentuale di incidenza
della spesa sociale rispetto al Pil è aumentata ma solo perchè il
prodotto interno lordo è diminuito a causa della crisi. Non manca certo,
come sempre in questi casi, il capro espiatorio: la spesa pensionistica.
Indicata come troppo alta, iniqua, improduttiva. Andiamo invece a
vedere, per spiegare la contrazione della spesa sociale e degli
investimenti di questo paese, due elementi di un fenomeno dai contorni
oscuri, un vero buco nero. Quello del peso dell’intreccio tra comportamenti bancari ed istituzionali. Perché si tratta di un buco nero lo capiremo presto: si tratta in un
intreccio che tende, per natura, a non far capire la propria
composizione, a incidere sul reale rimanendo oscuro. Quanto pesi, nella
contrazione della spesa sociale e degli investimenti pubblici, lo
vedremo, come dire, in automatico.
Cominciamo con una storia che, all’epoca, faceva anche sorridere. Dopo
la secessione della Slovenia e della Croazia, alla Jugoslavia di
Milosevic rimase un solo vero patrimonio. Si trattava della banca
centrale jugoslava che, come narrano molte cronache dell’epoca,
si trasformò in una sorta di grande hedge-fund in grado di speculare
sul mercato dei cambi. Un po' grazie alla nascente globalizzazione, un po'
grazie alla rete di informazione dei servizi, un po' grazie alla abilità
del presidente della banca centrale. Così la Jugoslavia di Milosevic
ottenne, almeno per un quadriennio, respiro finanziario dalle vere e
proprie scommesse sul mercato del governatore della propria banca
centrale. Sicuramente sono in molti nel nostro paese, dall’altra parte
dell’Adriatico, a sorridere rispetto a una vicenda del genere che sa un
po' di operetta: un ultraottantenne presidente della banca centrale
costretto a speculare sui cambi per mantenere in piedi uno stato che,
come gli altri dei Balcani, in mezzo ad un bagno di sangue trova il
tempo di riesumare simboli e nomi degni di un remake della vedova
allegra.
E’ ora invece di capire che anche l’Italia nello stesso periodo, si è comportata in modo simile. Il nostro paese ha infatti investito nell’hedge fund più spettacolare, e più clamorosamente fallito degli anni ’90: LCTM.
Una vecchia storia, che in Italia nessuno si è mai preoccupato davvero
di chiarire, che è molto utile anche per l’oggi. Specie quando l’opacità
del comportamento avuto dalle istituzioni italiane su LCTM è la stessa
che sta emergendo con MPS. Ma andiamo per gradi.
– LCTM. Non si tratta di un nome
qualsiasi. Ma della crisi finanziaria che ha anticipato, nelle modalità
di contagio, il grande botto di Lehman Brothers. Il salvataggio di LCTM,
in poche parole la sua chiusura per evitare danni all’intera finanza ed
economia globali, fu coordinato dalla Federal Reserve, grazie ad un
fondo dove parteciparono le più grandi entità finanziarie americane. La
storia di LCTM è da film. Fondato nel 1994, dopo aver macinato utili
record per un triennio, e prodotto un premio nobel per l’economia
(Merton nel 1997), LCTM fu un fondo speculativo chiuso nel 1998. In gran
fretta per impedire che la finanza globale facesse lo stesso botto che,
alla fine, fece nel 2008. Insomma in soli quattro anni di vita LCTM
stava per far fallire la finanza globale.
– L’italianità di LCTM. Già la
storia sembra tutta americana, da Gordon Gekko degli anni ’90. Eppure la
vicenda di LCTM, e di un crack che sinistrò il pianeta, è anche molto
italiana. Questo aspetto fu tenuto, dalle nostre parti, nella massima
discrezione. Tanto che nella voce italiana di Wikipedia dedicata a LCTM,
probabilmente per scarsa informazione, viene omesso il fatto che,
invece c’è, nella corrispondente voce in inglese: ovvero che tra gli
investitori in LCTM vi era la banca centrale italiana. Il governatore
della banca centrale all’epoca era Fazio, poi
celeberrimo ispiratore dei “furbetti del quartierino”, l’Italia entrò
come investitore istituzionale in un hedge fund di primo piano, di
quelli che rischiò di far sinistrare il pianeta, e di questa vicenda vi è
veramente traccia solo su testi americani.
– Qualche protagonista. LCTM contava
anche su una diretta partecipazione dell’Ufficio Italiano Cambi che
aveva affidato al fondo LTCM almeno 250 milioni di dollari a partire dal
1994. Il Sole 24 Ore del 2 ottobre 1998 aveva spiegato che l’italiano
referente dell’Ufficio Italiano Cambi era lì come “uno dei più
accreditati “Draghi boys” che formano il comitato di
esperti al Ministero del Tesoro dall’inizio degli anni‘90”. Insomma,
mentre la Jugoslavia di Milosevic speculava sui cambi per sopravvivere
nei sottoscala della finanza globale, l’Italia era entrata, insieme
all’ufficio cambi, direttamente nel club della grande speculazione
globale. Con Fazio, allora governatore della banca d’Italia, Draghi,
allora direttore generale del tesoro. Ma quanto costò quell’operazione?
Inutile speculare su operazioni opache. Il costo di certe parcelle però
è salato. Nel 2012 Monti pagò un future,
contratto da Draghi all’epoca LCTM, oltre 3 miliardi di euro. Il costo,
per gli italiani, del ripristino dell’IMU in un anno. O dei tagli,
all’epoca alla sanità, a scelta.
– A questo punto una domanda è d’obbligo. Ma
con uno stato che si fa hedge-fund quale è il livello di trasparenza
delle operazioni pubbliche nel settore della finanza di rischio?
E’ praticamente lo stesso delle piattaforme di borsa, private, nelle
quali si opera senza sapere oscillazioni di prezzo, volumi di vendite ed
acquisti. Ovvero qualcosa che, a livello di trasparenza, si avvicina
allo zero. E, soprattutto, questa discrezione è una pratica che dagli
anni ’90 arriva fino a noi. Nel quadriennio 2011-15, si stima
che il governo abbia scommesso, è la parola tecnicamente giusta, circa
17 miliardi di euro in derivati. Nello stesso periodo
prima il governo Renzi ha valutato di mettere il segreto di stato, come
per le stragi, sulla vicenda di questi derivati. E si parla di
prodotti finanziari ad alto rischio, soldi degli italiani scommessi
nella finanza globale. Infine, il tuttora ministro Padoan non ha mai
risposto, ad interrogazioni formali sui derivati, sullo stato che
scommette con gli hedge-fund ripetendo questa formula, riportata da
l’Espresso “l’accesso agli atti dei derivati può essere negato senza invocare il segreto di Stato”.
E così, dall’epoca del grande crack LCTM in poi, lo stato italiano si è
disposto come hedge fund e come scommettitore a rischio. Ovvero come un
soggetto che investe, come avviene nelle piattaforme borsistiche
private (chiamate Dark Pool ed è tutto un dire) senza rendere conto che
alla propria disponibilità di fondi per scommettere. Poche informazioni,
nessuna precisazione, o documenti forniti di fronte ad una richiesta
pubblica.
– Insomma, cominciando dal 1995, anno d’oro
di LCTM a oggi, le istituzioni italiane avrebbero, il condizionale è
d’obbligo, acceso derivati, titoli quindi a rischio, per circa 160
miliardi di euro. Il condizionale è d’obbligo in presenza di
una reticenza che, al momento, non si riesce a scalfire. Ma è proprio
quella reticenza, quel buco nero, che garantisce avventure finanziarie
in grado di ingoiarsi ampie fette di stato sociale e di servizi. Le
banche ovviamente non parlano, sono state zitte (“per rispetto del
cliente”) Merryl Linch, Morgan Stanley, Deutsche Bank, JP Morgan (che ha incassato almeno un milione di euro di consulenza per far fallire Monte dei Paschi).
Ma anche l’attuale successore di Draghi, direttore generale del tesoro,
secondo la stampa si è trincerato, di fronte a precise richieste di
parlamentari, dietro la seguente frase: “un grado così elevato di trasparenza potrebbe farci perdere in termini di competitività”.
Quindi nessuna informazione sullo stato che si fa hedge fund sostenendo
che, questa dimensione, è quella dei contratti “tra due parti private”.
Peccato che una di queste parti, sia pubblica e scommetta soldi di
tutti. E così lo stato, lungo un ventennio si fa hedge-fund, fondo
speculativo. Prendendo le stesse abitudini dei fondi speculativi:
assoluta assenza di trasparenza.
– Se questo è il contesto di lungo periodo,
cominciato con LCTM, andiamo al presente, ad alcune questioni che hanno
un solo nome: Monte dei Paschi. Si guardi il titolo di finanza.com “Mps:
Bce chiede 8,8 miliardi di aumento, vuole trattamento alla
greca”. Ma come, si dirà, prima di Natale i fondi pubblici necessari,
per la ricapitalizzazione di MPS, erano 5 e ora sono quasi nove?
E’ solo una parte del problema come è solo una parte del problema il fatto che questi soldi sono sottratti ai servizi, alla sanità e alla spesa sociale.
Come è solo una parte del problema quanto ci rimetteranno i
risparmiatori di MPS, gente come noi. Il problema più grosso, lo si
capisce subito, è quel “alla greca”. Vediamo se dalle parole di Varoufakis
si intuisce qualcosa. Ecco come il popolare economista commenta il
complesso dell’operazione di salvataggio delle banche greche su
eunews.it “malgrado le iniezioni di capitale [soldi dei greci, ndr]
per circa 47 miliardi di euro (..) la quota del patrimonio netto dei
contribuenti [il peso del settore pubblico nelle banche] è passata da
oltre il 65 per cento a meno del 26 per cento,mentre gli hedge fund e
gli investitori stranieri (ad esempio, John Paulson, Brookfield,
Fairfax, Wellington e Highfields) si sono accaparrati il 74 per cento
del patrimonio bancario [greco] investendo appena 5,1 miliardi di euro”.
Così si capisce cosa significa alla greca.
Noi investiamo, in soldi altrimenti destinati a uno stato sociale che ne
ha bisogno,la maggioranza dei soldi per salvare MPS (mangiata
dal PD tra l’altro). Mentre i grandi investitori esteri, con la
minoranza dei soldi, si beccano il controllo facendo il bello e il
cattivo tempo nelle politiche bancarie. Avendo così peso, come in
Grecia, per chiedere ulteriori privatizzazioni.
Insomma se l’Italia corre il rischio di
favorire il passaggio di banche strategiche come MPS a fondi
speculativi, come avvenuto in Grecia, con fondi pubblici
(destinabili allo stato sociale e agli investimenti) è anche vero che le istituzioni italiane vestono l’abito dell’Hedge Fund da un
ventennio. Ed è questo il buco nero, dai contorni indefiniti e
caratterizzato da assenza di trasparenza, che sta aspirando ingenti
risorse altrimenti destinate alla società. Via scuole, ospedali,
assistenza, educazione, strade, investimenti in qualche speculazione
persa con Merryll Lynch, Goldman Sachs (che ha avuto come consulenti
Monti, Prodi e Draghi) o Deutsche Bank. Davvero, a partire
dalla vicenda LCTM, la storia della politica italiana, la sua stessa
centrale ragion d’essere, va riscritta. Lo stato ha cambiato natura: è
attore della finanza di rischio nella rete delle borse globali e sui
mercati, chiamiamoli, informali. Ed è questo lo stato che dovrebbe
regolare il mercato.
Lo stato che si fa hegde fund, che intreccia
la propria esistenza, ma soprattutto la propria natura, con quella dei
fondi speculativi, è una novità della politica contemporanea.
Certo, il fenomeno non riguarda solo l’Italia, e nemmeno la breve vita
della Jugoslavia di Milosevic ma tocca non solo gli stati ma fino al
livello delle banche centrali. Basta vedere quanto la Bce è esposta
verso ordigni come Deutsche Bank per capire che chi rischia di esplodere
trascina con se, nei propri comportamenti, anche chi dovrebbe fare da
elemento regolatore.
Questo buco nero, che assume l’apparenza dello stato,
è un qualcosa dai contorni indefiniti che pratica l’assenza di
trasparenza, che assorbe le risorse dello stato sociale, e degli
investimenti pubblici, si riproduce alimentando finanza di rischio.
Anzi, come abbiamo visto nel caso LCTM addirittura alimentando i fattori
di rischio della finanza. Queste sono le istituzioni, mutazione finanziaria della Repubblica del ’48, il resto è chiacchiera.
Per Senza Soste, nique la police
29 dicembre 2016
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