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28/12/2016

Roma, il Movimento 5 Stelle al bivio tra rottura e obbedienza

Nelle ultime settimane la giunta romana è tornata nell’occhio del ciclone. L’arresto di Raffaele Marra, le indagini sull’assessore Muraro costretta a dimettersi, il passo indietro di alcuni esponenti di punta dell’amministrazione capitolina e infine la bocciatura della previsione di bilancio da parte dell’Organo di Revisione Economico Finanziaria hanno riportato Virginia Raggi e la sua maggioranza al centro dell’attenzione.

E’ chiaro a tutti che quanto accade a Roma potrebbe rappresentare per il Movimento Cinque Stelle il trampolino per la vittoria delle prossime elezioni politiche e per un eventuale accesso al governo nazionale, oppure un serio momento di crisi che potrebbe portare il movimento ad una spaccatura o ad un declino nei consensi e nella credibilità.

A parte il continuo linciaggio mediatico e politico al quale la maggioranza in Campidoglio viene quotidianamente sottoposta, balza agli occhi il fatto che un movimento che ha fatto dell’onestà la sua stella polare, oggi rischia di venire impallinato da quella magistratura che tutto è tranne che un potere neutrale e indipendente. Ma anche dall’incapacità da parte dei pentastellati di esprimere una classe dirigente capace di far fronte a situazioni complicate.

Ma la vicenda più significativa è rappresentata dal conflitto con l’Oref sul bilancio capitolino, che potrebbe indicare nel giro di poche settimane la direzione che il Movimento 5 Stelle prenderà rispetto alle importanti sfide economiche che finora ha rimandato.

Alla Giunta Raggi – che sicuramente pecca di improvvisazione e incompetenza – i revisori dei conti dell’Oref che hanno bocciato la previsione di bilancio 2017-2019 contestano soprattutto la mancanza di rigore e il non rispetto dei severi vincoli imposti dal governo nazionale e dall’Unione Europea, a partire dalle privatizzazioni delle partecipate e dal diktat del patto di stabilità. L’Oref chiede meno spese e più tagli, confermando che al di là delle maggioranze politiche e dei governi, nazionali e locali, esiste un meccanismo di governance indipendente, un “pilota automatico”, imposto da Bruxelles e da Francoforte che nega sovranità e autonomia e costringe l’amministrazione entro gli assai ristretti margini dell’austerity e del pareggio di bilancio.

La giunta Raggi aveva cercato di aggirare i vincoli esterni infarcendo il bilancio di multe, concessioni edilizie ed escamotage contabili, che però non sono serviti a passare l’esame, ed ora dovrà riscrivere la previsione di bilancio per i prossimi tre anni decidendo quali scelte strategiche adottare.

Se a Roma il Movimento 5 Stelle chinerà la testa di fronte ai diktat e al cosiddetto rigore, correggendo il bilancio a suon di tagli e privatizzazioni, negherà le richieste e le aspirazioni di quegli ampi settori popolari, di quelle periferie metropolitane che hanno decretato la vittoria di Virginia Raggi, ripetendo “in piccolo” il voltafaccia di cui si è già reso protagonista il governo Tsipras in Grecia. La situazione romana dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, l’impossibilità di forzare la gabbia dell’Unione Europea senza metterla complessivamente in discussione. Un motivo in più che dovrebbe spingere il Movimento 5 Stelle non solo a insistere sulla celebrazione di un referendum nazionale sulla permanenza dell’Italia nell’Eurozona ma a difendere esplicitamente l’uscita di Roma dalla moneta unica.

Se la giunta Raggi vorrà rispettare le sue promesse di cambiamento e discontinuità dovrà necessariamente disobbedire ai diktat, alle pastoie, ai ricatti. E per farlo dovrà affidarsi e affiancarsi all’organizzazione e alla mobilitazione di quei settori sociali e popolari che hanno dato mandato al Movimento 5 Stelle di rompere con le passate gestioni anche dal punto di vista economico e sociale, e non solo sul fronte dell’onestà (punto sul quale Raggi e company si sono oltretutto dimostrati poco accorti, disattendendo le chiare indicazioni dei leader nazionali del partito e riconfermando a capo della macchina amministrativa un personale politico e tecnico ereditato da ‘Mafia Capitale’).

Numerose forze sociali e politiche, sindacati di base, realtà territoriali e associative di varia natura hanno ripetutamente incalzato l’amministrazione capitolina in questo senso, manifestando anche la propria disponibilità a sostenere eventuali scelta coraggiose e battagliere adottate dalla giunta. A Roma, così come in altre città, esistono ampi settori sociali interessati ad un cambiamento di rotta netto, ed è a questi che devono far riferimento le amministrazioni targate 5 stelle se vogliono uscire dall’impasse.

Finora però i segnali giunti dal Campidoglio e dallo stato maggiore del partito di Grillo sono stati altalenanti.

Stando ad alcune dichiarazioni dei collaboratori di Raggi, non sembra che la sua amministrazione intenda ingaggiare una battaglia complessiva contro i vincoli di bilancio. Senza una violazione di questi vincoli, sostenuta da una mobilitazione sociale e popolare, il Campidoglio non potrà fare altro che tagliare i servizi, privatizzare, licenziare, come hanno fatto in passato gli schieramenti politici nei confronti dei quali il M5S pretende di essere alternativo.

Invece sul fronte politico generale la presa di posizione di Grillo a proposito del ‘rimpatrio di tutti gli immigrati irregolari’ (certamente non nuova da parte del fondatore e leader del Movimento) espressa all’indomani dei fatti di Sesto San Giovanni potrebbe prefigurare una sterzata dei 5 Stelle verso posizioni conformiste e d’ordine, anche se non condivise da tutto il movimento come dimostrano le numerose prese di posizioni critiche.

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