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19/12/2016

Aleppo: ciò che è necessario sapere per prendere posizione

La sventurata popolazione di Aleppo subisce così, in queste ore – grazie a personalità ineffabili come Laura Boldrini, Anne Hidalgo e Samantha Power – la beffa della “solidarietà” di stati che hanno per anni finanziato e armato i loro aguzzini, e che ora surrettiziamente li presentano come vittime per i loro sporchi calcoli politici

tratto da http://www.infoaut.org

In questi giorni abbiamo assistito a un vero e proprio tripudio di commozione e solidarietà per il destino di “migliaia di civili” di Aleppo e per i “ribelli” che hanno resistito per mesi contro il regime siriano ed oggi vengono uccisi o evacuati dalla città. Tuttavia, se sui media e tra i vertici istituzionali europei tutti trattano la questione come se si trattasse di una realtà trasparente a tutti, il commento più comune è: “Mi spiace per quel che accade, ma non ci ho capito niente”. Laura Boldrini ha decretato lo spegnimento delle luci di Montecitorio “in segno di vicinanza e solidarietà” con “la gente che è ostaggio” nella città siriana. Anne Hidalgo, sindaca di Parigi, ha deciso di spegnere la Tour Eiffel, mentre a Bruxelles sono state spente le luci del Grande Palace. Raramente si era visto una simile attenzione e un simile cordoglio per un evento di guerra, come ha fatto notare Fulvio Scaglione sul Post Internazionale, ricordando come le vittime civili in Iraq e in Afghanistan per mano di governi e forze armate legati all’Unione Europea, o quelle nella Striscia di Gaza per mano di Israele non soltanto non provocano un’analoga indignazione, ma sono minimizzate o occultate dalla nostra informazione.

Tanto più si infittisce questa “solidarietà” posticcia quanto più si inquina e distorce la descrizione della vicenda reale. Aleppo è stata, per quattro anni, divisa non in due, come dicono i giornalisti in queste ore, ma in tre: il regime a ovest, i movimenti islamisti ad est e le forze rivoluzionarie promosse dai curdi a nord. Questa situazione è stata il prodotto di due rivoluzioni tra loro parallele e antagoniste, quella teocratica (Aleppo est) e quella confederale (Aleppo nord). Per comprendere le premesse di questa situazione è necessario tenere presente che la lotta armata iniziata nel 2011, benché connessa con la rivolta che l’ha preceduta, non è ad essa storicamente sovrapponibile, ed ha avuto bisogno, per sua stessa natura, di una pianificazione, un’organizzazione e un equipaggiamento che la popolazione civile non sarebbe stata in grado di procurarsi. Per questo la Siria è diventata non soltanto teatro di scontro sociale, ma anche internazionale. I milioni di dollari necessari alla logistica, all’armamento e alla propaganda dell’insurrezione, oltre che gli stipendi dei combattenti e il loro addestramento, sono arrivati ad Aleppo come altrove tra il 2011 e il 2012 dalle potenze regionali ostili all’asse siro-iraniano – Turchia, Arabia Saudita, Qatar – e dai loro alleati europei e americani: Francia, Inghilterra, Stati Uniti.

Queste potenze hanno offerto nello stesso periodo la supervisione alla creazione di un’esercito ribelle (il Free Syrian Army o Fsa), la produzione di un’interfaccia politica di questo esercito (la Coalizione Nazionale Siriana, o Cns, espressione dei Fratelli Musulmani e di alcuni piccoli gruppi dissidenti) e una macchina propagandistica (l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, espressione della Cns e finanziato e ospitato dall’Inghilterra). Due elementi, però, hanno complicato da subito questo disegno. Da un lato, la popolazione siriana ostile al regime non ha accettato questa “Coalizione” come rappresentativa delle sue istanze, perchè costituita da ricchi transfughi residenti all’estero, considerati estranei alle vicende del paese e non dissimili dalle élite che già governano la Siria. In secondo luogo, tanto una parte della popolazione, quanto l’Arabia Saudita e la Turchia si sono mostrate pronte a sostenere movimenti armati orientati all’imposizione di uno stato islamico d’impronta sunnita su tutto il paese, laddove Usa e Ue avevano pensato di poter supportare forme di radicalismo religioso “moderato” (si fa per dire) come quello, appunto, dei Fratelli Musulmani.

Il tentativo di sottrarre Aleppo all’autorità del governo iniziò sotto gli auspici turchi ed europei il 19 luglio del 2012 con un assalto armato dell’Fsa che a ben vedere lasciò piuttosto fredda, se non ostile, la popolazione della città, segnando l’inizio di una serie estenuante di offensive e controffensive di cui vediamo l’esito in questi giorni. I combattimenti, tuttavia, vennero sempre meno portati avanti dall’Fsa, diretto da ex ufficiali dell’esercito visti dalla popolazione come mercenari prepotenti e corrotti, che furono surclassati nelle operazioni militari e nel reclutamento dei civili, tra il 2012 e il 2013, da un’organizzazione anti-Assad alternativa, Jabat al-Nusra (oggi il suo nome è Fatah al-Sham), filiale siriana di Al Qaeda il cui obiettivo è instaurare uno stato islamico sui territori conquistati, e in prospettiva un califfato globale. Durante il 2013, in seno a questa organizzazione, si creò un dissidio tra chi voleva dichiarare immediatamente uno stato islamico e i suoi vertici, contrari all’idea, e più favorevoli a un’imposizione della legge coranica a macchia di leopardo, e alla proclamazione del califfato in una seconda fase. Fu così che i propugnatori del “califfato immediato” si staccarono da Al Qaeda e formarono l’Isis, conquistando una parte dell’Iraq e attaccando ripetutamente le città europee e statunitensi.

La Turchia e l’Arabia Saudita, supportate dall’Ue, hanno sostenuto negli anni l’allargamento della corrente teocratica della rivoluzione contro il regime, dirottando ad essa il denaro e le armi inizialmente orientati all’Fsa, che cessò di esistere, ma hanno anche promosso la formazione di gruppi che, sebbene orientati come Al Qaeda e l’Isis all’instaurazione di uno stato islamico, sono direttamente controllati da Ankara e Riad. Questi gruppi, che fecero di Aleppo est una loro base e, come Al Qaeda e l’Isis, contano migliaia di combattenti, possiedono armi pesanti e gestiscono fondi di milioni di dollari, si chiamano Arhar al-Sham e Jaish al-Islam. Questi eserciti jihadisti hanno annichilito ad Aleppo, grazie al loro potere economico e militare, tutti i movimenti e i gruppi con loro in dissenso. C’è stata anche una vera e propria guerra civile interna all’insurrezione islamica, che ha contrapposto nel 2013-2014 Al Qaeda, Arhar al-Sham e Jaish al-Islam da un lato, aiutate dalle ultime bande vicine ai Fratelli Musulmani, e l’Isis dall’altro. In questa guerra civile interna al jihad globale, i quartieri di Aleppo est sono finiti nel 2014 nelle mani di Al Qaeda, Arhar al-Sham e Jaish al-Islam, mentre l’Isis ne è stato espulso. Al Qaeda e Arhar al-Sham hanno allora fondato, con altri gruppi salafiti (ossia promotori della restaurazione della società islamica del VII sec. dc), l’alleanza per Aleppo “Ansar al-Sharia”; Jaish al-Islam (anch’essa organizzazione salafita), invece, ne ha creata un’altra con gruppi minori, il cui nome è “Fatah Halab”.

Queste due “cabine di comando”, alleate e coordinate tra loro, non hanno costituito soltanto la direzione armata delle migliaia di miliziani che si sono contrapposti al regime a ovest e ai curdi a nord in questi giorni, ma anche il potere brutale che ha controllato Aleppo est in questi ultimi due anni, provocando vessazioni, persecuzioni, discriminazioni e violenze inaudite sulla popolazione civile, la cui vita quotidiana è precipitata in un incubo inedito per la storia di Aleppo, città caratterizzata dalla sua profonda modernità, varietà sociale e diversità religiosa, ideologica e culturale. Questo incubo ha impedito la continuazione di qualsiasi rivoluzione o opposizione nella città e ha letteralmente gettato gran parte della sua popolazione tra le braccia del regime, la cui oppressione, se comparata con quella dei salafiti dei quartieri orientali, è considerata un sollievo. Quando si sente parlare di “ribelli” o “opposizione” ad Aleppo, quindi, è necessario sapere che di questo si tratta e si è trattato, per quanto tale realtà sia disturbante o scomoda.

La macchina di propaganda che nasconde in questi giorni tutto questo è stata orchestrata dal governo islamista della Turchia, da quello dello stato islamico saudita, e dall’Unione Europea, che ha in questi due regimi i suoi alleati nell’area, e considera suo interesse a qualsiasi costo il rovesciamento, o almeno l’indebolimento e, se possibile, lo smembramento dello stato siriano. Dal momento che la parte della rivoluzione siriana supportata dall’Ue ha preso una direzione così reazionaria, i media europei, come sempre servili verso le politiche estere dei nostri governi, hanno in questi giorni completamente oscurato questa circostanza, descrivendo, ad esempio, Aleppo est come un luogo di semplice “opposizione” e “resistenza”, tacendo sui crimini commessi dai movimenti salafiti che Francia e Inghilterra continuano a supportare senza ritegno, sebbene l’imposizione delle corti della sharia come unico riferimento giuridico ad Aleppo est abbia rappresentato in questi anni un fenomeno contrario ai tanto sbandierati “diritti umani” e che sarebbe considerato “terroristico” (anche a causa delle sue forme paramilitari) dall’Ue in tutti gli altri contesti (è simile, a ben vedere, ai fenomeni presi a giustificazione di guerre e bombardamenti in moltissime aree del mondo, compreso il vicino Iraq).

La battaglia per la riconquista di Aleppo da parte del governo siriano viene raccontata diversamente, infatti, da quella dell’esercito iracheno per la conquista di Mosul, è non è silenziata come il massacro che l’Arabia Saudita e l’Egitto stanno compiendo contro la popolazione in rivolta dello Yemen, benché tali governi non siano meno oppressivi verso i propri popoli e quelli che bombardano. Qualcuno potrebbe pensare che questa familiare logica dei “due pesi e due misure” abbia a che fare con il fatto che i paesi dell’Ue sono collocati, nel medio oriente ricco di risorse energetiche, su uno dei due grandi “assi” geopolitici che contrappongono gli stati della regione: quello saudita, che comprende paesi come Turchia, Egitto e monarchie del Golfo, con cui l’Ue organizza i suoi affari, che da decenni si oppone per questioni di egemonia economica all’altro “asse”, quello iraniano, che comprende lo stato siriano. Non è un caso che, mentre l’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite Samantha Power accusa la Russia di essere “senza vergogna” per ciò che le sue forze speciali hanno fatto ad Aleppo, la narrazione degli eventi di questi giorni in Russia e in Cina (schierate invece, sempre per interessi economici, con l’Iran e la Siria) è del tutto opposta, somigliando a quella occidentale su Mosul: Aleppo vive una giusta e necessaria “guerra al terrorismo”.

In questo scenario di disgustosa disinformazione, censura e ipocrisia, l’Italia non si distingue. Media tra loro anche lontani, come il Corriere della Sera, Repubblica o Popoff Quotidiano, spiegano in queste ore che “l’opposizione” di Aleppo andrebbe appoggiata, anche perchè sarebbe l’unica che ha “sconfitto lo stato islamico”. Ciò è vero, come detto, ma è anche ridicolo, perchè tale “opposizione” è a sua volta uno “stato islamico”. Ciò che distingue lo stato islamico meglio conosciuto, dichiarato a Raqqa e Mosul, da quello di cui non ci dovrebbe esser dato sapere, instaurato da Ansar al-Sharia e Fatah Halab ad Aleppo est, è da un lato una diversa interpretazione della strategia jihadista, dall’altro la scelta dell’Isis di attaccare le città occidentali (cosa che ha indotto Usa e Ue a scorporare questa organizzazione dall’opposizione etichettata come “legittima” ad Assad, e a bombardarla) ma non certo le conseguenze del potere di questi soggetti sulla popolazione che deve patirne le angherie. In secondo luogo non è affatto vero che questa è l’unica “opposizione” alternativa allo stato islamico ad Aleppo, perché le Ypg-Ypj, unità di protezione del popolo e delle donne, difendono da anni i quartieri nord di Aleppo, le campagne settentrionali della sua provincia e, oltre ad aver contribuito alla cacciata dalla città prima dell’Isis e ora di Ansar al Sharia e Fatah Halab, stanno avanzando su Raqqa e si oppongono al regime dal 2004, armi in pugno dal 2012.

La sventurata popolazione di Aleppo subisce così, in queste ore – grazie a personalità ineffabili come Laura Boldrini, Anne Hidalgo e Samantha Power – la beffa della “solidarietà” di stati che hanno per anni finanziato e armato i loro aguzzini, e che ora surrettiziamente li presentano come vittime per i loro sporchi calcoli politici. Che questo vergognoso e ipocrita tributo sia stato proclamato, in queste ore, da personalità femminili, è tanto più assurdo se si considera che proprio la corrente teocratica della rivoluzione siriana sconfitta ad Aleppo est aveva promosso e imposto da cinque anni il declassamento delle donne di quei quartieri a oggetti di arredamento della vita privata degli uomini e dei miliziani, imponendo l’annichilamento completo della loro esistenza e di ogni loro protagonismo sociale (ciò che ancora accade a Idlib, tuttora sotto il loro controllo). Laura Boldrini, Anne Hidalgo e Samantha Power non hanno mostrato la stessa contrizione quando le combattenti donne delle Ypj curde che difendono un genere ben diverso di rivoluzione nella stessa città, negli scorsi mesi e in queste settimane sono state attaccate, assieme alla popolazione civile dei loro e di altri quartieri, con bombardamenti e armi chimiche proprio da Ansar al-Sharia e Fatah Halab.

Le Ypg e le Ypj si difendono ad Aleppo nel silenzio e nell’isolamento internazionale tanto dal regime quanto dai salafiti e hanno creato un’alleanza ben più vasta e forte delle cabine di comando oscurantiste di Aleppo est e Idlib: le Forze Siriane Democratiche che comprendono curdi, arabi, turcomanni e inglobano da un anno le ultime forze Fsa ancora esistenti, prima allo sbando, che assieme alle Ypg si contrappongono oggi tanto ai salafiti dell’Isis quanto a quelli di Al Qaeda, Arhar al-Sham o Jaish al-Islam; eppure delle imprese delle donne e degli uomini che portano avanti questa rivoluzione – la rivoluzione confederale – non c’è traccia sui nostri giornali, probabilmente perchè sono il fumo negli occhi per gli alleati turchi e sauditi dei nostri governi, combattendo non soltanto la teocrazia e il patriarcato, ma anche il capitalismo. I veri rivoluzionari di Aleppo nord hanno accolto in queste settimane, tra l’altro, migliaia di quei profughi in fuga dai quartieri est che tanto stanno a cuore ai nostri governi, mentre venivano bersagliati, va detto, non dal regime, ma proprio dai miliziani asserragliati nei loro quartieri con armi automatiche come punizione per voler “abbandonare” e “tradire” i “guerrieri di Allah” (lo stesso che sta facendo l’Isis nelle campagne a nord di Raqqa e a Mosul).

Battersi per la fine del regime di Bashar al-Assad è giusto, e molti siriani continuano a desiderare il cambiamento, ma non qualsiasi forza che si oppone a un regime è meglio del regime stesso. Il governo siriano non si combatte, in ogni caso, con la commozione ipocrita da tastiera o con i like su facebook, o censurando la verità su ciò che accade ad Aleppo, né in nome di interessi economici nuovamente coloniali che non sono rivolti contro un regime, ma contro una popolazione, la sua indipendenza, la sua storia e la sua dignità. Le uniche luci che i nostri governi hanno spento da tempo, in rapporto alle guerre e al mondo in cui viviamo, sono quelle dell’informazione corretta e dell’intelligenza. Il cordoglio e la commozione di questi giorni non sono sinceri o, se lo sono, purtroppo si basano su un’ignoranza colpevole: poiché nessun governo ha mai detto la verità sulla guerra alla sua popolazione, ed è preciso dovere della popolazione informarsi e ottenere conoscenza per rispetto a chi muore anche a causa della ragion di stato europea e delle inaccettabili menzogne dei nostri giornalisti; e infine occorre prendere parte e lottare, e non piangere, poiché delle nostre lacrime – raramente sincere, troppo spesso imbarazzanti – i civili di Aleppo non se ne potranno fare nulla.

17 dicembre 2016

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