La saga della Giunta Raggi non è ancora arrivata alla fine. E' un'impressione, non un'indiscrezione. L'arresto di Raffaele Marra e del palazzinaro del potere – Sergio Scarpellini, detto “er cavallaro” – ha messo in crisi la giunta, l'immagine del movimento e la credibilità della sindaca. Di sicuro, ha ridotto ai minimi termini il “raggio magico”, il gruppo di consigliori più stretti che fin dal primo momento hanno circondato la giovane avvocatessa dalla brevissima esperienza politica (stare all'opposizione della giunta Marino, per due anni, non richiedeva uno sforzo intellettuale particolare, visto che persino il Pd lo voleva morto...). Sopravvive, parzialmente azzoppato, solo Daniele Frongia, che molla la carica di Vice Sindaco e mantiene solo quella di assessore allo sport (curiosamente, come Luca Lotti nel governo Gentiloni, dopo aver accarezzato il sogno della delega per i servizi segreti). Siederà dunque ancora nelle riunioni di giunta, “dando il suo contributo”, seppure da una posizione meno decisiva di quella da vicesindaco. E anche questa tenacia nel difendere gli “scaricandi” la dice lunga sulle capacità di Virginia Raggi nel capire l'aria che tira.
Scartiamo però l'idea che “non capisca”. Non serve un genio per accorgersi che in questo modo tutto il M5S è stato messo in crisi molto seria dalle scelte della Raggi e dei suoi sostenitori/suggeritori; che anche i suoi ex sostenitori oggi giurano di averla consigliata di scaricare l'ex finanziere diventato padrone quasi assoluto del Comune di Roma; che molti elettori grillini le farebbero fischiare le orecchie se la potessero incontrare per strada; che i residui dell'affarismo piddino e della destra "de panza e de governo" stanno fregandosi le mani pregustando un ritorno in sella prima di quanto avessero messo in conto...
La situazione è più seria. Il Movimento 5 Stelle viene messo alla prova del “cambiamento” nello stile di governo e dà una pessima prova, in maniera molto più rovinosa di quanto era avvenuto a Parma, prima città conquistata.
Perché?
In generale – e lo abbiamo scritto più volte – perché la “visione politica” del M5S si fonda su un'idea che più ingenua non si può: questo sistema di vita – il modo di produzione capitalistico – funzionerebbe benissimo se non ci fossero così tanti “ladri” al governo della cosa pubblica, a tutti i livelli (dal governo all'ultimo spazzino). E' un'idea che vede gli altri paesi europei come un paradiso e l'Italia come una sentina di vizi; che non vede le disparità sociali o lo sfruttamento come conseguenze “previste” del sistema; che fa appello a sentimenti morali generici, che nessuno potrebbe seriamente contestare, ma che chiunque può dimenticare una volta assiso in una sede decisionale.
Sul piano organizzativo, perché è un movimento senza storia, dunque senza selezione interna fondata sulla messa alla prova dei singoli candidati, sull'esperienza fatta, sulle prove di serietà date (neanche secondo i criteri ingenui del movimento stesso). Solo un picchiettar di dita sulle tastiere, per dare una preferenza a tizio o caia, attraverso “gruppi” più o meno omogenei di persone che si conoscono – forse – tra di loro, con un rapporto molto astratto con il resto del “movimento”.
Un modello organizzativo che qualunque vecchio arnese della politica battezza immediatamente come poroso, scalabile (perlomeno a livello locale, visto che il controllo della macchina a livello nazionale è saldamente nelle mani di Grillo e Casaleggio Associati), “partecipabile” senza filtri all'ingresso (a parte la fedina penale pulita).
E' ormai evidente anche ai ciechi come il “gruppo” che ha sponsorizzato Virginia Raggi sia costituito da vecchi arnesi della destra romana, annidata nel mondo degli affari e delle professioni attraverso cui si fanno certi affari a Roma (studi di avvocati, soprattutto civilisti, come quelli Previti e Sammarco, che hanno tenuto a battesimo l'ingresso in società della futura sindaca).
Ed è altrettanto evidente che quel gruppo era ed è portatore di interessi preistorici – più che antichi – in una città come Roma, dove immobiliaristi, Curia vaticana e palazzinari la fanno da padrone da secoli. Di questi interessi Marra era il terminale più efficiente, il personaggio in grado di tenere insieme – fino a un certo punto, costituito come sempre dal delirio di onnipotenza che spinge a sottovalutare i rischi – conoscenza minuziosa di regolamenti, delibere, funzionamento degli uffici, “disponibilità” di certi funzionari, e richieste di “favoreggiamento pubblico” a beneficio dei benefattori privati.
L'impressione che ci resta è che quel gruppo sia stato ridimensionato dagli arresti e dalle sfuriate di Grillo, ma non sia stato ancora del tutto estromesso dalla gestione concreta del Comune.
Per questo è assolutamente necessario che le periferie, la parte di metropoli più dimenticata da decenni e quella che con percentuali bulgare ha portato il M5S a governare la capitale, facciano sentire tutto il proprio peso politico, occupando quello spazio solitamente definito “attuazione del programma”.
Non è un appello alla “buona fede” di un'amministrazione eletta per far fuori quelli come Marra e Scarpellini. E' l'ultima chiamata al rispetto delle promesse. Poi ci può esser solo la valanga.
Per questo, oggi pomeriggio, ci si vede tutti in Campidoglio, sulla scalinata. E' chi vive la città che decide cosa bisogna fare.
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