Ieri è andata in scena l’esclusione dell’Occidente dalla crisi
siriana. I ministri degli Esteri russo, turco e iraniano ne sono stati
gli attori insieme alla presentazione di un documento comune,
battezzato «Dichiarazione di Mosca», con cui i tre paesi – tra i più
coinvolti sul campo di battaglia – si impegnano a spingere per la
soluzione politica al conflitto. Ovvero, a «facilitare la bozza di un
accordo, già in fase di negoziazione, tra governo siriano e opposizioni».
Lo strumento, hanno detto a margine dell’incontro, sarà la mediazione:
Mosca, Ankara e Teheran vestiranno i panni dei garanti in un processo,
che aggiungono, non può essere più militare ma di dialogo politico.
«Oggi gli esperti stanno lavorando al testo della Dichiarazione di
Mosca – ha commentato il ministro della Difesa russo Shoigu – sulle
misure immediate per risolvere la crisi siriana. I tentativi fatti dagli
Usa e dai loro partner erano destinati all’insuccesso. Nessuno di
questi ha esercitato una reale influenza sulla situazione sul terreno».
La Russia allora balla da sola: il negoziato potrebbe partire a breve in
Kazakistan, senza Onu né Usa.
Il tavolo ha ribadito la lontananza da quello infruttuoso di
Ginevra promosso dal Palazzo di Vetro e dagli Stati Uniti, ormai
marginalizzati, probabilmente usciti di scena con il raid che uccise 80
soldati siriani a Deir Ezzor a settembre. Un tavolo in cui la Turchia
gioca le ultime carte, con un piede dentro la Nato e uno nell’orbita
russa: il presidente Erdogan vuole salvare la faccia
(ripulendosi le mani da anni di interventi che hanno trascinato la
guerra siriana) e la distruzione del progetto democratico kurdo. Ed
infatti ieri i ministri Cavusoglu e Lavrov hanno discusso anche del nord
della Siria, di al-Bab e di “Scudo dell’Eufrate”. Lo hanno fatto
fingendo ancora che si tratti di un’operazione anti-Isis, ma dopotutto
era quanto ci si attendeva: giù le mani turche da Aleppo, via libera a
Rojava.
Con la road map disegnata ieri, il trio presuppone un cessate
il fuoco nazionale – che escluda Isis e Jabhat Fatah al-Sham, l’ex
al-Nusra – da raggiungere tramite l’influenza che ognuno ha sui diversi
attori armati del conflitto. Con le ovvie frizioni a fare da paravento:
la Turchia pone sullo stesso piano l’ex al-Nusra e Hezbollah, l’Iran e
la Russia ribadiscono la legittimità dei soggetti invitati in Siria da
Damasco. Ma soprattutto ad emergere è il chiaro scambio turco-russo:
Ankara ha abbandonato la richiesta, suo leitmotif, della rimozione del
presidente siriano Assad, come naturale conseguenza della necessaria
entrata nell’orbita russa.
In cambio ha mano libera nel nord della Siria. Ieri il turco
Cavusoglu ha ampiamente discusso dell’operazione in corso («Continuerà»)
e del sostegno russo. Perché alla base sta il velo steso sui soggetti
sponsorizzati da Ankara in sei anni di guerra civile siriana: nessuno
a Mosca ha ufficialmente parlato del ruolo incendiario della Turchia
nello sponsorizzare i gruppi sunniti estremisti nel paese, per anni
destinatari di armi e denaro e degli occhi chiusi dell’esercito alla
frontiera sud. Investire la Turchia dei panni del garante è
mera ipocrisia visti i legami radicati con opposizioni islamiste e
salafite e con gruppi come Isis e al-Nusra.
Non a caso è Ankara che in questi giorni monitora
l’evacuazione di miliziani da Aleppo est, che fornisce i numeri
aggiornati e propone campi di accoglienza al confine. Si ammassano
proprio nelle zone che da anni i kurdi di Rojava rivendicano come
terreno di coltura del confederalismo democratico dei cantoni,
nelle zone in cui l’Esercito Libero Siriano, ormai ufficiale braccio
armato turco, dice di combattere l’Isis ma compie azioni contro le Ypg.
Ieri intanto l’evacuazione da Aleppo è proseguita: dovrebbe
concludersi, ha detto il ministro russo Lavrov, tra un paio di giorni.
Sarebbero infatti non più di 3mila i miliziani e i loro familiari ancora
presenti nei quartieri orientali. E mentre i primi osservatori Onu si
preparano ad iniziare l’attività di monitoraggio, sale a 37.500 il
numero totale degli evacuati dalla città. Circa la metà, fanno sapere le
Nazioni Unite, quelli già arrivati a Idlib, enclave islamista su cui
pesano i dubbi sull’accordo di tregua. Sotto l’ala dei qaedisti dell’ex
al-Nusra finiscono miliziani di simile estrazione, interi gruppi che ad
Aleppo si sono posti sotto il controllo della fazione più potente e
organizzata.
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