All’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, segue immediatamente l’orrenda strage dei mercatini natalizi di Berlino. Cosa unisce questi due, tragici, eventi? Li unisci Aleppo. Per meglio dire, li unisce la sconfitta dell’“Esercito Libero” e filo imperialista siriano ad Aleppo e la liberazione, da parte dell’asse Siria-Russia (Assad-Putin) della più importante città della Siria, assieme a Damasco. Sia nelle folli parole (folli, ma proiezioni di uno “spirito” e di una politica imperialista) dell’attentatore dell’ambasciatore russo, che nelle prime rivendicazioni Isis della strage di Berlino, la vendetta per la sconfitta delle forze “ribelli” e jihadiste ad Aleppo appare chiaramente essere il motivo degli orrori di Ankara e Berlino.
E in quale contesto, in quale fase si collocano i due, sanguinosi, eventi? In quella caratterizzata dalla sconfitta che stanno vivendo “Gli Amici della Siria Libera” (USA, Francia, Germania, Gran Bretagna, la prima Turchia assieme alle petromonarchie sunnite del Golfo) e dalla grave battuta d’arresto che l’intero progetto di dominio imperialista su tutta l’area del Medio Oriente subisce in seguito alla perdita di Aleppo e al ritorno all’indipendenza siriana attorno al legittimo potere di Assad.
I media dell’Unione europea e tutto il pensiero mainstream occidentale segue un percorso univoco, così identico da sembrare concordato (in verità reso uguale dall’egemonia livellatrice della cultura imperialista dominante): alla denuncia per l’orrore dell’assassinio dell’ambasciatore russo e dei morti di Berlino, si assomma la denuncia per “l’orrore provocato dai bombardamenti siriani e russi su Aleppo”. Una perversione analitica che da corpo ad un folle corto circuito mediatico, secondo il quale – infine – l’orrore jihadista equivale a quello russo-siriano e solo un “soggetto” viene fuori, dal quadro, esente ed innocente: l’imperialismo, USA e Occidentale.
Vale la pena, di fronte a tanta, “goebbelsiana”, falsa propaganda (come affermava proprio il ministro hitleriano, “una menzogna più volte ripetuta diviene verità”) impegnarsi a ristabilire la realtà delle cose.
Come si giunge al fuoco di Aleppo? Questa domanda ne presuppone altre, precise: come si arriva al conflitto siriano? Quando, in quale contesto? Chi ha organizzato, sollecitato questo conflitto? Per quali obiettivi? Perché la Siria? E quanto sangue, orrore, distruzioni hanno prodotto coloro che hanno voluto il disastro siriano?
Il conflitto siriano si apre nel corso del 2011. Prima di esso vi erano stati i due attacchi imperialisti contro l’Iraq (il primo dall’agosto 1990 al febbraio 1991 e il secondo dal marzo 2003 sino al dicembre 2011) e la guerra condotta da uno sterminato fronte imperialista contro la Libia, guerra iniziata il 19 marzo 2011.
Gli USA, rimasti l’unica potenza mondiale dopo la caduta dell’URSS, forzano ogni confine per allargare il proprio dominio politico, economico e militare su scala planetaria. In Medio Oriente, primo loro complice Israele, scatenano – dalla prima Guerra del Golfo in poi – un vero e proprio trentennio di fuoco e di sangue. L’Iraq è distrutto, attraverso una guerra infinita, perché non subordinato a Israele e agli USA; la Libia di Gheddafi è messa a ferro e a fuoco perché in prima linea per un progetto di Africa libera, indipendente e antimperialista. La Siria di Assad è poi, agli occhi degli USA, la peggiore in campo, il vero e proprio avversario irriducibile, per la sua natura antimperialista e anti israeliana. La Siria non è ricca di materie prime: nulla a che vedere con i giganti energetici della regione: Iraq, Iran, monarchie del petrolio. Ma la Siria, sotto la guida del Partito Bat’th (Arabo Socialista), svolge un ruolo storico e politico centrale in tutto il Medio Oriente, sia per il suo antimperialismo, che impedisce che in tutta quella regione del mondo si estenda il dominio incontrastato degli USA e di Israele, sia per l’appoggio, di straordinaria forza, alla lotta del popolo palestinese, sia per essere culla storica e culturale del nazionalismo arabo e, dunque, sorgente viva dell’unità panaraba antimperialista, legata prima all’URSS e al campo socialista e, poi, al mondo in crescita esponenziale dei BRICS.
La Siria, dopo la distruzione dell’Iraq e l’attacco devastante alla Libia, è l’altro, grande ostacolo al progetto imperialista di dominio in quell’area del mondo. Occorre distruggere Assad. Hillary Clinton ha un piano, quello imperialista classico: attaccare militarmente, portare gli stivali dei marines a calpestare il suolo siriano. Far fare ad Assad la stessa, orrenda fine già fatta fare a Saddam Hussein e Gheddafi.
Ma Obama gioca a fare il Presidente nero e democratico, contrario all’attacco militare in terra. Utilizza, ai fini degli interessi americani, “la primavera araba”; impara dalle “rivoluzioni arancioni”, riproponendone la prassi (imperialista, “golpista”, ultraliberista, filo-NATO, filo occidentale, filo Unione europea e anche fascista) anche per la Siria. Le “rivoluzioni colorate” e dirette dagli USA nella Serbia dell’ottobre 2000; nella Georgia (“rivoluzione delle rose”) del 2003; dell’Ucraina del 2004, del 2005 e del 2014 (sfociate nella piazza nazifascista di Kiev, Maidan); la “rivoluzione dei tulipani” nel Kirchizistan sono esperienze di controrivoluzioni filo americane indotte che Obama fa proprie e rilancia contro Assad, il nemico numero uno dell’imperialismo USA in Medio Oriente, l’irriducibile che va tanto più demonizzato, in Occidente, e caricaturizzato come un satrapo e un dittatore sanguinario medio orientale, quanto più la Siria di Assad è, in verità, il Paese più laicizzato della regione, un Paese in via di sviluppo industriale, in via di profonda democratizzazione politica e istituzionale e dalla grande e capillare cultura.
Come si concretizza la “rivoluzione arancione” in Siria, progettata da Obama?
Scatta, innanzitutto, la prima parte di quell’imponente “piano psicologico” (il cosiddetto “ Psypos”, per il quale lavorano speciali unità delle forze armate e dei servizi segreti USA), volto alla demonizzazione del “regime di Assad”. E’ lo stesso Pentagono a definirne il lavoro: “Operazioni pianificate per influenzare, attraverso determinate informazioni, le emozioni dell’opinione pubblica (americana e mondiale) e il comportamento di organizzazioni di massa e governi stranieri, così da indurre rafforzare atteggiamenti favorevoli ai nostri obiettivi”.
Si inizia, dunque, costruendo per i media dell’intero mondo occidentale la figura demoniaca di Assad. Iniziando poi a costruire, sul territorio, la “rivoluzione arancione” siriana. In pratica, vuol dire che gli USA e le potenze arabe dei petroldollari – con l’Arabia Saudita e il Qatar alla testa – mettono a disposizione milioni e milioni di dollari affinché si organizzi, si doti di intellettuali e dirigenti (da trovare anche nell’immensa diaspora e polverizzazione sociale conseguenti alla distruzione irachena) di attenzione e appoggio mediatico nazionale e internazionale un movimenti di massa anti-Assad, filo americano e filo Unione europea. Un movimento arancione e di massa in Siria, insomma.
E quando l’onda colorata si solleva, puntando ad una piazza Maidan di estensione nazionale, puntando a cacciare Assad e ad assumere il potere a nome degli USA, e quando a tutto ciò l’esercito di Assad, legittimamente, si oppone, è già l’ora, per gli USA, per Obama, per la NATO, per un’Unione europea complice (come in Ucraina) e per gli stati arabi filo americani di costruire “l’Esercito Libero Siriano”. Con i dollari e i petroldollari. Con i generali, gli ufficiali, i soldati dell’ex esercito iracheno, con il popolo degli sbandati iracheni, libici, africani che le guerre imperialiste hanno prodotto. Persino con i cosiddetti foreign fighters, partiti dall’Europa per combattere a fianco dell’“Esercito Libero Siriano” e con i jihadisti contro Assad e poi tornati in Europa a colpire le capitali, come in questi giorni Berlino. E’ il sonno della ragione, indotto dall’imperialismo USA e Occidentale, che genera mostri.
E’ nel luglio del 2012 che l’“Esercito Libero Siriano” – appoggiato dalle manifestazioni dell’onda arancione – sferra il suo attacco più duro contro Assad. Il 18 luglio una bomba distrugge il quartier generale della Sicurezza Nazionale. Nell'attentato muoiono alti dirigenti militari e del governo. La contemporanea offensiva ribelle verso le aree centrali della città fa presagire un imminente crollo del regime.
Ma il popolo siriano, proprio in questa, tragica occasione, dimostra di non stare dalla parte dei “ribelli” o degli “arancioni”: il popolo di Damasco non solo non si arruola con l’“Esercito Libero”, ma entra in lotta contro di esso e a favore di Assad. I ribelli non riescono a consolidare le posizioni conquistate e le forze armate siriane riescono ad organizzare una controffensiva che li spinge verso le zone periferiche della città, di cui riescono a mantenere il controllo. La “Battaglia di Damasco”, molto prima dell’intervento dell’esercito russo a fianco di Assad, rappresenta un colpo durissimo per l’“Esercito Libero” e per gli USA. Questa stessa sconfitta apre forti contraddizioni anche nel movimento arancione. L’esito Maidan si allontana.
Ma, giunti a questo punto, facciamo parlare non un comunista, non uno dei “soliti” intellettuali italiani che militano nel campo antimperialista. Lasciamo la parola a Mostafa El Ayoubi, leggiamo dei passaggi di un suo articolo pubblicato non dalla “Pravda”, ma da “Nigrizia”, il mensile italiano dei missionari comboniani dedicato al continente africano, ove scrive anche Alex Zanotelli.
Scrive El Ayoubi, il 1° novembre del 2013: “Sono passati più di due anni e mezzo dalla guerra “civile” in Siria. Il bilancio è drammatico: oltre 110 mila morti e 5 milioni di sfollati; danni alle infrastrutture per oltre 350 miliardi di dollari. L’economia è in ginocchio e si soffre la fame. All’opinione pubblica internazionale è stato raccontato, dai media mainstream, che il colpevole di tutto ciò è il regime siriano, che avrebbe soffocato nel sangue la rivolta pacifica per la democrazia. Ma con il passare del tempo questa narrazione ha iniziato a sgretolarsi. La realtà – che oggi i grandi media faticano ad ammettere – è che la guerra contro la Siria era già allo studio per far cadere il regime al-Assad e sostituirlo con uno servizievole, come già accaduto in Iraq e in Libia. Pochi giorni dopo l’inizio della rivolta di Dar’a, nel marzo 2011, scesero in campo il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia a sostegno della rivoluzione arancione. Dietro a questi Paesi, ovviamente, c’era la regia del governo americano e dei suoi alleati occidentali; in particolare Gran Bretagna e Francia che, nell’accordo Sykes Picot del 1916, si spartirono la Grande Siria. Una delle prime mosse è stata la sospensione della Siria dalla Lega Araba (altro strumento di controllo del mondo arabo da parte della Casa Bianca) e la creazione del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) con sede a Istanbul. Successivamente, sotto l’egida del governo di Ankara, è stato creato l’“Esercito Libero Siriano”... La propaganda mediatica contro l’establishment siriano è stata affidata all’Osservatore Siriano per i Diritti Umani ( OSDU) con sede a Londra e divenuto la fonte principale per Al Jazeera (del Qatar), di Al Arabiya (dell’Arabia Saudita) e anche per i colossi mediatici occidentali... Sul piano pratico l’“Esercito Libero Siriano” non è stato in grado di conquistare Damasco. Ciò ha indotto l’alleanza occidentale anti-Assad a ricorrere ai jihadisti e ai mercenari reclutati da ogni dove. In particolare la scesa in campo dei jihadisti – desiderosi del martirio – è stata determinante nella caduta di molte città e villaggi in mano ai “ribelli”. Il movimento qaedista Jabhat al Nusra ha in pratica scavalcato l’“Esercito Libero Siriano” e oggi domina gran parte delle zone conquistate”.
Quest’ultima parte dell’articolo tratto da “Nigrizia” è particolarmente significativo, poiché attesta l’unità d’azione – in senso filo imperialista e anti Assad – tra l’“Esercito Libero Siriano” e gli stessi jihadisti.
L’intervento militare della Russia a fianco di Assad è stato risolutivo nel liberare la Siria e nel liberare Aleppo. Se non ci fosse stato l’intervento russo – è ciò che riferiscono tutte le testimonianze da Aleppo e dalla Siria – i cittadini di Aleppo sarebbero stati tutti massacrati dai “liberatori” anti – Assad. Il conto finale dei danni provocati dalla guerra imperialista in Siria supera, oggi, di gran lunga, quelli descritti nell’articolo citato di “Negrizia”: siamo a 300 mila morti e 700 mila profughi siriani. La vittoria dell’asse Russia-Assad è una sconfitta bruciante per il progetto imperialista volto a scalzare Assad e costruire anche in Siria l’ennesimo governo Quisling. E’ a partire da questa cocente sconfitta che vanno decodificati i racconti dei media occidentali, tutti volti a raccontare solamente i supposti massacri indiscriminati dei bombardamenti russi su Aleppo e – viceversa – tutti pronti nel rimuovere il senso di quei bombardamenti , volti a liberare Aleppo dal dominio oscurantista e sanguinario dell’esercito “ribelle”, unico nome, ormai, col quale i giornalisti americani ed europei – confusamente, ipocritamente – chiamano l’insieme dei soldati dell’“Esercito Libero Siriano” filo americano e i jihadisti del Califfato. “Esercito Libero Siriano” e jihadisti uniti nel tentativo di prolungare il loro dominio su Aleppo: questo è il nemico contro il quale combattono russi e siriani. Un nemico così repellente da consigliare anche ai media occidentali di non nominare. “Ribelli”, debbono chiamarsi. Ma è lo sconcerto per la sconfitta che confonde gli USA, gli Stati dell’Ue e i media filo imperialisti che, proprio attraverso questa loro confusione politica e psicologica, tradiscono in verità quello che è stato e sarebbe ancora il loro più profondo desiderio: mantenere l’unità d’azione militare sul territorio tra “Esercito Libero Siriano” e jihadisti, ad Aleppo e in tutta la Siria. Per allargare il dominio, oltre l’Iraq e la Libia. Pagando, magari, anche il prezzo di un rovesciamento della rivoluzione arancione in regime della Shari’a in Siria, come già accaduto, peraltro, in Afghanistan, dove gli USA preferirono al potere comunista il regime dei talibani. Inventandosi al Qaida.
Ma la Russia, e Assad, hanno vinto. E, per i popoli, un destino finalmente benigno ha voluto che Hillary Clinton perdesse le elezioni negli USA. Se no, sarebbe stata probabilmente una nuova, Grande Guerra.
Fonte
Analisi condivisibile, io avrei giusto smorzato un po' i toni retorici verso Assad e l'intervento russo.
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