Dal giorno del suo insediamento – 14 luglio – ad oggi – circa 160
giorni di consiliatura – la nuova giunta comunale targata 5 stelle non
ha ancora affidato le deleghe per le Politiche abitative ad alcuno dei
suoi assessori. Da tempo (dalla giunta Marino) l’assessorato stesso per
le Politiche abitative è stato soppresso – scelta lungimirante nella
città della crisi abitativa strutturale. La gestione della questione
sociale più rilevante della metropoli è stata nel tempo spalmata tra
l’assessorato per le Politiche sociali e quello del Patrimonio, senza un
vero coordinamento in grado di predisporre una direzione politica. Con
la nuova giunta sono scomparse anche le deleghe: alle Politiche sociali
dichiarano come competente l’assessore al Patrimonio, Andrea Mazzillo.
Al Patrimonio se la prendono con la Baldassarre, responsabile delle
Politiche sociali. Tutte e due gli assessorati, poi, rimpallano il
problema direttamente alla sindaca, indicando nella Raggi la carica
competente che avrebbe avocato a sé le deleghe in questione. La Raggi,
va da sè, non sa neanche cosa sia l’emergenza abitativa a Roma, quindi
evita di occuparsene. Questa gestione clownesca di tutta la vicenda ha
prodotto un blocco generale delle idee e degli strumenti per sanare il
maggiore problema sociale cittadino.
Nei fatti, la giunta ha recepito tutte le indicazioni provenienti
dalla precedente giunta Marino: superamento dei Centri di assistenza
alloggiativa; stop alla costruzione di nuove case destinate all’Edilizia
residenziale pubblica; “Buono casa” – un contributo pubblico
all’affitto a fondo perduto – come strumento per gestire una crisi
abitativa strutturale; eccetera. Il recepimento delle varie linee guida
della precedente giunta non è però il frutto di una discussione in
Comune o in qualcuno dei suoi assessorati: più mestamente, si va avanti
ignorando il problema e integrando le scelte di Marino per non finire
sotto i riflettori della Corte dei conti e degli altri organi revisori
(questione Oref insegna). Peraltro, smentendo le linee programmatiche
sbandierate in campagna elettorale, prima fra le quali il ripudio del
Buono casa come strumento risolutivo della questione. Eppure, qualche
giorno fa il Comune dichiarava riaperto il bando per il Buono casa,
cambiandolo però di significato. Il Buono casa originario – quello
immaginato dal sindaco marziano – prevedeva la chiusura dei residence e
lo spostamento degli assistiti nel mercato privato degli affitti,
coperti dallo stesso Comune di Roma. In parole povere, il Comune
destinava milioni di euro pubblici nelle tasche di costruttori e
proprietari privati, tutto a fondo perduto e senza sanare di una sola unità il disagio abitativo romano.
Il risultato: nessuno ci è cascato. Nessun proprietario si è fidato di
una garanzia comunale, d’altronde perché farlo? La garanzia comunale è
la cosa più aleatoria del mondo, può cambiare da un momento all’altro,
può cadere il Comune, possono essere approvate variazioni alla Delibera
stessa, possono sopraggiungere difficoltà finanziarie, eccetera: per
estremo paradosso, i residence sono pieni di famiglie che si erano
affidate al Comune per il sostegno all’affitto (l’idea del Buono casa è
infatti vecchia come il cucco), sostegno che puntualmente veniva
interrotto in corso d’opera costringendo le suddette famiglie allo
sfratto. Nessun privato quindi si fida a mettersi dentro casa, con
regolare contratto per 4 anni più altri 4 tacitamente rinnovabili,
famiglie che per pagare l’affitto devono affidarsi al Comune più
indebitato d’Italia. Eppure – qui, bisogna riconoscerlo, c’è del genio
nella follia – la giunta Raggi è riuscita a peggiorare gli intenti della
precedente giunta marziana.
Con l’ultima delibera non solo vengono riaperti i termini della
richiesta del Buono casa, ma si precisa che il contributo all’affitto
non andrà ai residenti, ma direttamente ai palazzinari proprietari dei
residence, con cui il Comune tratterà per la messa a disposizione di
nuovi alloggi (in altre parole i residence non vengono chiusi ma
trasformati in mini-case, senza intervenire sullo sperpero di denaro che
passa dalle casse pubbliche a quelle dei palazzinari). Le conseguenze
di questa “visione” sono note: non ci sarà alcun calmiere degli affitti;
nessuna costruzione di nuove abitazioni; nessun esproprio o riutilizzo
delle abitazioni sfitte; nessuna riconversione del patrimonio demaniale
abbandonato in case popolari; nessun luogo dove accogliere le famiglie
in emergenza, come i residence; ma verranno destinati centinaia di
milioni di euro ai privati senza aggredire il cuore della questione
abitativa, che risiede nella gestione totalmente privatistica del
mercato degli affitti cittadino, senza interventi sociali a tamponare le
aporie del mercato. Se la vicenda terminasse qui, staremmo di fronte
alla tragica gestione tipica della questione abitativa, da Rutelli in
poi. Questa giunta sta però riuscendo nell’impresa diabolica di
peggiorare una gestione già catastrofica.
L’assenza di deleghe per le Politiche abitative ha trasformato il
Dipartimento per le Politiche abitative nell’unico ente comunale
preposto a gestire tutta la questione. Il Dipartimento è un
organo tecnico volto ad organizzare concretamente le volontà politiche
del Comune. In assenza di tali volontà, il Dipartimento si ritrova ad
assumere un ruolo politico. Qui nasce la perversione politica in cui
siamo stati catapultati da qualche mese a questa parte. Aldo Barletta,
mega-direttore del Dipartimento, agisce da mesi in totale autonomia da
poteri politici. In realtà, in totale autonomia da ogni controllo:
Barletta è oggi il vero sindaco di Roma, perché decisore ultimo della
più grave e annosa questione sociale della città, attorno a cui girano
miliardi di euro e che rappresenta il punto di snodo della relazione tra
Comune e palazzinari. Questo fatto ha generato una contrapposizione
frontale tra Comune e Dipartimento, cosa di per sé gravissima visto che
l’organo burocratico dovrebbe applicare delle indicazioni politiche e
non farsi promotore di visioni politiche concorrenti a quelle degli
organi eletti. La debolezza del nuovo Comune garantisce a Barletta
sostanzialmente pieni poteri. Come esercita questi poteri il
mega-direttore dipartimentale? Uscito indenne
dalle inchieste di Mafia capitale, e anzi preso a modello di buona
gestione amministrativa, Barletta ha sfruttato il trampolino di lancio
di Mafia capitale per liquidare il miserrimo welfare cittadino sulla
casa. Invece di affrontare le metastasi (il sistema corrotto delle finte
cooperative sociali, il rapporto perverso tra palazzinari e mercato
degli affitti, l’esternalizzazione dei servizi sociali, eccetera), sta
uccidendo il corpo del malato: gli abitanti dei residence vengono
sfrattati senza motivi logici e senza soluzioni alternative; le
graduatorie per le case popolari – vedi il caso San Basilio
– vengono gestite ad opera d’arte per fomentare guerre fra poveri nei
quartieri periferici; i canoni di locazione degli alloggi Erp vengono
innalzati e i redditi di accesso diminuiti. La soluzione all’emergenza
abitativa indicata da Barletta è quella di eliminare le famiglie in
emergenza, invece di allargare gli strumenti risolutivi. Anche la
riapertura dei termini del Buono casa risponde alla stessa esigenza:
quella di regalare ai palazzinari la gestione complessiva dell’emergenza
abitativa, moltiplicando il debito comunale senza però risolvere la
questione. Come si elimina però tecnicamente il malato? Attraverso la
forza, ovviamente. Per questo da qualche anno è stato creato il “gruppo
Spe” – Sicurezza pubblica ed emergenziale – agli ordini di Antonio Di
Maggio, equivoco
comandante della Polizia municipale. Un gruppo apposito di pizzardoni
picchiatori che interviene al momento dello sfratto non rispondendo
neanche alle forze di Polizia o dei Carabinieri. Antonio Di Maggio è già
d’altronde noto alle cronache
per essere entrato nelle intercettazioni riguardanti le inchieste di
Mafia capitale per la gestione dei campi nomadi, luoghi ovviamente dove
la squadra speciale di picchiatori legalizzati si guarda bene
dall’intervenire, dovesse mai trovare gente più coatta di loro.
L’emergenza abitativa romana è di fatto gestita oggi dal duo
Barletta-Di Maggio: un burocrate reazionario e un picchiatore in divisa.
Può la giunta Raggi tollerare questo sistema che è riuscito a
peggiorare la situazione pre-Mafia capitale?
Se esisteva un terreno su cui applicare la tanto promessa discontinuità, questo
era rappresentato dall’approccio alla questione abitativa. L’assenza di
qualsiasi visione in merito svela la qualità politica di questo Comune.
Non esiste discontinuità a Roma che non passi dalla soluzione alla
crisi abitativa, ed è per questo che, se la giunta sopravvivrà a se
stessa, dovrà non solo provvedere ad assegnare le deleghe, ma a
predisporre una visione complessiva della vicenda, confrontandosi non
solo con i sempiterni palazzinari di casa al Comune (Scarpellini docet),
ma con i movimenti di lotta che aggregano gran parte del tragico
disagio abitativo metropolitano. Altrimenti c’è la continuità liberista,
ma è contro di questa che la Raggi ha vinto le elezioni.
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