Lunedì 26 dicembre è morto un proletario delle nostre periferie, lunedì ci ha lasciati un compagno, che insieme alla sua banda, ha tentato l'assalto al cielo di Milano.
Vogliamo ricordare Andrea chiacchierando con Marco Philophat, suo amico e autore del romanzo “La Banda Bellini”.
Ciao Marco, Andrea ha sempre immaginato di morire per mano di un plotone di esecuzione, come avrebbe voluto essere salutato?
“Dei funerali non gliene fregava niente, Andrea è sempre stato allergico a qualsiasi tipo di commemorazione. Pochi giorni prima della sua morte gli ho ricordato dell'importante eredità che ci avrebbe lasciato e a modo suo mi ha risposto: “non me ne frega un cazzo Philopat”. Per cui giovedì, alle 14:30 al cimitero di Lambrate, niente fiori per il Comandante, solo bandiere e fazzoletti rossi.”
In questi giorni molti compagni rendono onore ad Andrea attraverso ricordi e aneddoti, i più giovani, invece, ci chiedono di conoscerlo meglio. Come possiamo raccontare Andrea Bellini e la storia del Casoretto ai tanti giovani precari e sfruttati?
“Andrea è dalla nostra parte della barricata, vicino ai giovani proletari i cui genitori arrancano tra miseria e precariato. Il Bellini ha ancora molto da dire, la sua storia ricorda quella di Spartaco, uno schiavo come ce ne sono tanti oggi. Andrea ha provato a ribellarsi e deve rimanere un esempio per tutti i giovani proletari che non sono intenzionati ad abbassare la testa. Figlio di partigiani in contrasto col PCI, cresciuto nel quartiere popolare del Casoretto, ha provato ad assaltare il centro della metropoli, questo è un percorso che in pochi oggi fanno, però sta dentro la storia della lotta di classe e quindi fa parte della storia dell'uomo. Andrea sfrutta l'apertura delle classi dominanti verso le classi assoggettate e negli anni 60 entra al liceo Einstein di Milano. Insieme a suo fratello Gianfranco, si aggrega ai pochi proletari della scuola dando vita a un gruppo che poi costituirà l'ossatura della Banda Bellini.”
Il termine “Banda Bellini”, come ricordava Andrea, spesso veniva utilizzato in modo dispregiativo, perché e quali peculiarità aveva questa organizzazione all'interno del movimento degli “anni '70” milanese?
“Negli anni '90 Andrea, insieme ad alcuni ex della banda, fonda la rivista “NN, figli di nessuno”. Andrea era cosciente e orgoglioso delle proprie radici, insieme ai pochi proletari dell'Einstein aveva dato vita al collettivo più attivo degli studenti medi della città. Entrando in Statale vengono subito inseriti nei servizi d'ordine dei “Catanga” dominati dai figli di avvocati e dottori e si trovano a combattere, non solo contro la polizia e il sistema, ma anche contro i figli dei ricchi che dominavano il '68. Dopo i violenti scontri contro chi preferiva teorizzare la rivoluzione nelle stanze universitarie, la benda milita per alcuni anni in Lotta Continua. Alla fine pure Potere Operaio cerca convergenze con la Banda ma loro erano autonomi anche dentro l'autonomia. Certo è che nel “casino del '76 e del '77” tutti sfilavano protetti dalla Banda Bellini. E anche per questo entrano velocemente nella mitologia di tutti.”
Rispetto al movimento milanese quali erano le rivendicazioni della banda?
“I componenti della banda venivano dal nulla, da una periferia sperduta ed erano riusciti ad entrare nell'immaginario collettivo di una marea di ragazzini che si volevano ribellare, causando un sacco di invidie nel clima infuocato di quegli anni e della guerra fratricida che scoppierà”
Perché nonostante questa guerra, che in parte continua, Andrea viene ricordato da tutti con rispetto.
“Forse perché ricordando Andrea ripensano a se stessi come dei grandi ribelli, anche se non è stato così. I ribelli, quelli della banda Bellini, dopo anni di lotte per la sopravvivenza in quartiere si sono affacciati al centro cittadino e l'hanno fatto tremare di paura.
Purtroppo il 14 maggio in via De Amicis Andrea è stato sconfitto, messo prematuramente in pensione insieme a tanti e tanto altro. Andrea però ha continuato a combattere, contro due cancri e ha continuato a vivere, soprattutto al bar in compagnia dei tanti giovani rapiti e affascinati dai suoi racconti”.
Marco qual è il tuo ultimo ricordo di Andrea?
“Andrea lo immagino davanti a un plotone di esecuzione, pronto a difendere i nostri diritti e la nostra gente, pronto come sempre a scagliarsi contro i nostri nemici, fascisti e istituzioni. Spero che questa morte colpisca e faccia riflettere sui principi basilari su cui deve appoggiarsi la sinistra rivoluzionaria”.
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