Il Mattarellum fu il prodotto accidentale della situazione nel 1993:
la Corte Costituzionale, nel 1987, aveva stabilito che, in caso di
referendum sulle leggi elettorali, non erano ammessi quesiti abrogativi
in toto, ma solo parziali e manipolativi, ma a condizione che la legge residua fosse coerente ed immediatamente applicabile, non essendo
ammissibile alcuna sospensione degli organi costituzionali e dei loro
dispositivi di attuazione.
L’unica possibilità (per la verità
ottenibile con una forzatura di cui la Corte fece finta di non
accorgersi) era quella di lasciare la quota proporzionale della legge al
Senato (1/4), sganciarla dai collegi uninominali attraverso il
meccanismo dello “scorporo” dei voti dei vincenti nei collegi
uninominali e calcolando solo i residui per la quota proporzionale.
Questa venne assunta come indicazione del corpo elettorale e venne
applicata anche alla Camera con un piccolo ritocco (lo scorporo non era
pieno ma solo parziale). I listini bloccati furono anche essi una
conseguenza di questo meccanismo di formazione della legge: essendoci
solo collegi uninominali al Senato, non era possibile introdurre la
preferenza attraverso l’intervento manipolativo, ma solo proclamare i
migliori non eletti. Questo, alla Camera venne tradotto nel meccanismo
della lista bloccata.
Il sistema, per la verità, non garantiva automaticamente che uno degli attori ottenesse da solo la maggioranza
assoluta nei due rami del parlamento e, in effetti, al Senato, nel 1994
Berlusconi ebbe la maggioranza solo grazie al passaggio di due
transfughi ed anche nel 1996 e nel 2001, il vincente alla Camera ebbe
sempre maggioranze risicatissime. Ma alla Camera (grazie al collegio
unico nazionale) le cose andarono sempre diversamente, in quanto il
vincitore (nonostante la quota proporzionale) ebbe sempre la maggioranza
assoluta, in quanto il sistema partitico ebbe una impostazione
rigidamente bipolare ed i conati di terzo polo (Patto Segni-Ppi nel
1994, Lega nel 1996 e coalizione neo Dc nel 2001) non ebbero mai la
forza di impedire l’affermazione di un vincente complessivo.
Poi, nel 2005, Casini impose a Berlusconi un sistema parzialmente diverso, il Porcellum,
che era su liste ma conservava le liste bloccate essendosi ormai
“sdoganata” l’abolizione delle preferenze (Berlusconi ed i Ds-Pd sono
sempre stati concordi nel principio dei “nominati”, una delle tante
somiglianze fra i due partiti).
Ora (qualunque cosa dica la Corte
Costituzionale) bisogna rifare la legge elettorale appena rifatta,
perché si sono accorti che con quel sistema vincevano i 5stelle e la
grande trovata è quella di tornare al Mattarellum.
In sé il sistema ha delle gravi pecche,
sia perché l’impianto costituzionale presuppone tacitamente un sistema
proporzionale (diversamente non avrebbero senso le soglie prescritte per
la revisione costituzionale, per l’elezione di Presidente e giudici
costituzionali ed i poteri del Presidente in materia di nomina del
Presidente del Consiglio), sia perché introduce una forte compressione
del principio di rappresentanza. Ne è venuto fuori un pasticciato
sistema misto che ha tutti i difetti del sistema parlamentare e tutti
quelli del presidenzialismo, senza avere i vantaggi dell’uno e
dell’altro.
Ma, nel complesso, come
dicevamo, la legge ha funzionato (sarebbe più corretto dire
“funzionicchiato”) perché lo schema partitico era sostanzialmente
bi-polare. Ora ci troviamo in un sistema tripolare e, per di
più, si vorrebbero aumentare i seggi del proporzionale (si immagina come
risarcimento della probabile abolizione dello scorporo).
Allora facciamo due conti. Immaginiamo
per comodità che si debbano distribuire 200 seggi (100 proporzionali e
100 uninominali) ed applichiamo questo all’attuale situazione. Sempre
per comodità, immaginiamo che le proporzioni siano, più o meno, quelle
attuali, “assorbendo” i piccoli nei tre competitori più forti: quindi Pd
36%, M5s 30%, destra 34%. Ovviamente, si tratta di valori molto
approssimativi e presumibili, per cui avremmo nel proporzionale 72 seggi
al Pd, 60 al M5s e 68 alla destra. Per raggiungere i 101 seggi che
fanno maggioranza, il Pd dovrebbe conquistare 29 seggi uninominali,
mentre la destra 33 ed il M5s 41.In teoria il Pd sarebbe nettamente
avvantaggiato rispetto agli altri e farcela da solo anche se, per
avventura, prendesse una percentuale di seggi uninominali inferiore a
quella dei voti popolari.
In realtà le cose sono assai meno semplici perché:
a) in questo schema non abbiamo
considerato la presenza di piccole liste “Irriducibili”, come ad esempio
Sinistra Italiana-Rifondazione, che probabilmente otterrebbero il 4%
circa da sottrarre al Pd,
b) non abbiamo preso in
considerazione le varie centriste (Ala, Udc, Sc ecc) che abbiamo
ripartito convenzionalmente a metà fra Pd e destra, ma, in concreto, non
sappiamo come si distribuiranno fra i due o se presenteranno un polo
autonomo, ma soprattutto, non siamo in grado di valutare come si
comporteranno i loro elettori, al di là delle scelte dei gruppi
dirigenti;
c) non abbiamo tenuto conto delle liste delle minoranze nazionali (valdostani, altoatesini ecc.);
d) abbiamo considerato la destra come
un unico polo, ma non è affatto detto che Lega e Forza Italia
raggiungano un accordo, per cui è possibile che si presentino
separatamente e questo potrebbe attrarre più elettorato di centro verso
Forza Italia;
e) non abbiamo tenuto conto degli imprevisti, ad esempio: cosa
farebbe la sinistra Pd nel caso in cui Renzi la epurasse dalle liste Pd?
Resterebbe comunque con il Pd, oppure andrebbe con il polo di sinistra
italiana, o, anche, presenterebbe sue liste autonome? E Parisi
confluirebbe nelle liste di Fi o farebbe polo a sè, magari con parte dei
centristi?
f) Soprattutto, non abbiamo tenuto
conto (non disponendo della lista dei potenziali collegi uninominali)
della concreta distribuzione territoriale del voto e questo è il punto
più delicato che merita qualche spiegazione in più.
L’Italia è un paese con forti
differenziali territoriali, da esempio saremo tutti d’accordo nel dire
che il Pd ha una elevata probabilità di accaparrarsi la gran parte dei
collegi di Toscana, Umbria, Marche ed Emilia, mentre la Lega, comunque
vada, spunterà un certo numero di seggi nel lombardo-veneto, ma nel resto
d'Italia come andrebbe? Immaginiamo dieci collegi che supponiamo di
identico numero di elettori votanti :
collegio torinese; M5s 31%, Pd 30%,
Lega-Fratelli d’Italia 16%, Forza Italia e centristi 12%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 6% vari minori 5%
collegio milanese: M5s 12%, Pd 32%,
Lega-Fratelli d’Italia 18%, Forza Italia e centristi 33% (Berlusconi),
Sinistra Italiana-Rifondazione 4%, vari minori 1%
collegio genovese: M5s 32% Pd 33%,
Lega-Fratelli d’Italia 12%, Forza Italia e centristi 15%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 5% vari minori 3%
collegio veronese: M5s 22%, Pd 23%
Lega-Fratelli d’Italia 20%, Forza Italia e centristi 8%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 3% vari minori (Tosi) 24%
collegio romano: M5s 26%, Pd 26%,
Lega-Fratelli d’Italia 27% (Meloni) Forza Italia e centristi 10%,
Sinistra Italiana-Rifondazione 4% vari minori 7% (Marchini)
collegio napoletano: M5s 13%, Pd 20%,
Lega-Fratelli d’Italia 8%, Forza Italia e centristi 18%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 37% (De Magistris) vari minori 4%
collegio barese: M5s 26%, Pd 27%,
Lega-Fratelli d’Italia 6%, Forza Italia e centristi 33%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 4%, vari minori 4%
collegio di Trapani: M5s 28%, Pd 29%,
Lega-Fratelli d’Italia 3%, Forza Italia e centristi 30%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 5% vari minori 5%
collegio di Sassari: M5s,16% Pd
28%,Lega-Fratelli d’Italia 29% (Psd’az) Forza Italia e centristi 14%, Sinistra Italiana-Rifondazione 7% vari minori 6%
collegio di Bolzano: M5s 12%, Pd 29%,
Lega-Fratelli d’Italia 10%, Forza Italia e centristi 14%, Sinistra
Italiana-Rifondazione 5% vari minori (Svp) 30%
In totale abbiamo
M5s 21,8% (voti popolari) (seggi 1)
Pd 35% (voti pop) (seggi 1)
Lega-Fratelli d’Italia 14,9% (voti pop) (2 seggi)
Forza Italia e centristi 18,9% (3 seggi)
Sinistra Italiana-Rifondazione 8% (1 seggio)
vari minori 8,9% (2 seggi)
Come si vede:
1) nessuno ha raggiunto la maggioranza assoluta dei collegi uninominali;
2) il partito che ha avuto la
maggioranza relativa dei voti è quello che ha meno seggi (solo 1) perché
ha avuto molti voti ma è stato quasi sempre secondo in ciascun collegio;
3) nessun candidato supera il 50% e spesso il vincente ha un quarto circa dei voti.
Dunque, presumibilmente, nessuno avrà la
maggioranza assoluta nel Parlamento ed occorrerà fare coalizioni.
Nell’esempio che abbiamo fatto ci sono molti “casi particolari” (la
presenza di esponenti nazionali (Berlusconi, Meloni) o di personaggi
locali molto seguiti (Tosi o De Magistris) o forti formazioni locali
(Svp e Psd’az) ecc, ma appunto i casi locali possono essere molti.
In generale si ricavano queste indicazioni:
a) i partiti con forte concentrazione territoriale sono avvantaggiati su quelli con elettorato mediamente distribuito;
b) una forte frammentazione partitica
incoraggia la presentazione di sempre nuovi candidati: in una
competizione con due candidati forti (entrambi oltre il 40%) nessuno è
incoraggiato a presentarsi se non per una candidatura di bandiera, ma se
i competitori forti (fra il 25 ed il 40%) sono tre, la presenza di un
candidato minore che speri di scalare ilo 36% è poco probabile, ma
possibile, magari sulla base di fattori locali; se i candidati
competitivi sono 4 (fra il 20 ed il 30% l’uno di partenza) e decisamente
più probabile che possano emergere altri sfidanti e, via via, più
candidature forti ci saranno, più emergeranno sfidanti.
In definitiva: il maggioritario
uninominale in un sistema tri o quadri polare è una lotteria che può
anche far perdere il più votato.
Morale: per una ragione o per
l’altra, non appare particolarmente probabile che un solo partito (o
forse coalizione) possa raggiungere la maggioranza assoluta ed allora:
ma se lo scopo di una maggioranza coesa vincente è poco probabile,
perché mai sacrificare la rappresentanza?
Molto semplice: perché questo è il sistema più sfavorevole al M5s e che, dopo, giustificherà, l’accordo Forza Italia Pd. Contenti?
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