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21/12/2016

USA-Cina, la disputa del drone

di Michele Paris

Le tensioni tra Cina e Stati Uniti, che stanno caratterizzando le settimane precedenti l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono intensificate nuovamente nei giorni scorsi dopo la vicenda del drone sottomarino americano requisito dalle forze navali di Pechino. Il nuovo incidente è sembrato avviarsi verso una risoluzione pacifica nel fine settimana, ma ha mostrato il chiaro deterioramento delle relazioni già problematiche tra le due potenze, entrambe impegnate a sfruttare l’episodio per rafforzare le rispettive posizioni.

La marina cinese aveva intercettato il mezzo sottomarino americano venerdì scorso durante un’operazione che gli USA hanno definito di natura scientifica nel Mar Cinese Meridionale. Il ministero della Difesa di Pechino ha affermato che il drone è stato sequestrato per evitare pericoli alla navigazione, per poi invitare gli Stati Uniti a mettere fine alle loro “attività di sorveglianza” in queste acque.

Il drone finito nelle mani cinesi, assieme a un secondo recuperato dagli americani, era operato dalla USNS Bowditch in acque internazionali a circa 50 miglia nautiche a nord-ovest della base filippina di Subic Bay, dove gli USA hanno mantenuto a lungo una propria installazione militare.

Il governo americano ha presentato una protesta formale a quello cinese, sostenendo che quest’ultimo ha agito “illegalmente” nel requisire il drone della propria marina militare. Pechino e Washington hanno però fatto sapere sabato di avere raggiunto un accordo per la restituzione, in maniera “appropriata”, del mezzo sottomarino.

Il governo cinese ha tenuto comunque a denunciare il tentativo degli USA di “amplificare” l’incidente. Da parte americana, è stato il presidente eletto Trump a rilasciare dichiarazioni provocatorie, come al solito attraverso Twitter, invitando ad esempio Pechino a “tenersi” il drone “rubato”.

Le rassicurazioni americane sugli scopi dell’operazione condotta con i due droni non lontano dalle acque rivendicate dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale sono da prendere quanto meno con le molle. Come hanno ricordato anche i media occidentali, per cominciare, l’impiego principale di questi mezzi è infatti quello di sorveglianza.

Questa è d’altra parte l’interpretazione data dal governo cinese alla vicenda, mentre vari analisti hanno rilevato come la mossa decisa da Pechino di impossessarsi del drone americano sia un chiaro messaggio, diretto soprattutto all’amministrazione Repubblicana entrante a Washington, dopo le frizioni seguite alle presidenziali dell’8 novembre scorso.

Bonnie Glaser, del Center for Strategic and International Studies (CSIS) di Washington, ha spiegato che Pechino intende far capire a Trump che “gli USA non possono mettere in discussione gli interessi cruciali cinese senza conseguenze”. Inoltre, l’iniziativa di venerdì non può essere stata presa individualmente da un comandante della marina militare cinese, ma deve avere avuto l’input dai massimi livelli dello stato, visto anche il controllo sempre più stretto sulle forze armate esercitato dal presidente, Xi Jinping.

Ad ogni modo, l’incidente sembra essere il primo di questo genere tra USA e Cina e, come già ricordato, si inserisce in un’escalation di provocazioni seguite all’elezione di Trump alla presidenza. In particolare, quest’ultimo aveva accettato una telefonata di congratulazioni della presidente di Taiwan, Tsai-Ing-wen, facendo registrare il primo contatto diretto ad altissimo livello tra i due paesi a partire dal 1979, quando Washington riconobbe ufficialmente quello di Pechino come l’unico e solo governo legittimo della Cina.

Trump era poi giunto a mettere in discussione la politica di “una sola Cina”, sposata per quattro decenni da tutte le amministrazioni americane, suscitando la durissima reazione di Pechino. Questa svolta strategica, secondo il neo-presidente, potrebbe essere clamorosamente implementata se non ci saranno concessioni da parte di Pechino su vari fronti, tra cui quello commerciale, della svalutazione della valuta cinese o della “militarizzazione” del Mar Cinese.

Il governo del Partito Comunista ha immediatamente ricordato come Taiwan e la sovranità cinese siano questioni di importanza assoluta per il regime e la loro messa in discussione minacci la stabilità dei rapporti con gli USA, ma anche della stessa regione asiatica e del Pacifico, se non dell’intero pianeta.

Gli scambi di accuse e le provocazioni americane sembrano essere anche tentativi di assestare le rispettive posizioni in vista della transizione alla Casa Bianca, con un’amministrazione che prospetta l’implementazione di misure ancora più rigide nei confronti di Pechino rispetto all’amministrazione Obama.

A Pechino, il messaggio è stato indubbiamente recepito e sugli organi di stampa ufficiali non sono mancati ad esempio gli appelli a un’accelerazione delle capacità militari della Cina, così da rispondere adeguatamente alle provocazioni o a eventuali attacchi da parte americana.

Proprio qualche giorno fa era apparsa sulla stampa occidentale una rivelazione sull’installazione da parte cinese di nuovi impianti militari anti-aerei sulle isole Spratly, situate nel Mar Cinese Meridionale e controllate da Pechino ma rivendicate anche da Filippine, Vietnam, Malaysia e Brunei.

Il governo cinese non ha smentito la notizia e ha anzi definito “legittime” le azioni intraprese in un territorio su cui proclama la propria sovranità in maniera incontestabile. Soprattutto, il rafforzamento delle strutture militari è stata definita necessaria dal ministero della Difesa cinese, alla luce della “arroganza” degli Stati Uniti, protagonisti negli ultimi quattordici mesi di almeno tre operazioni di pattugliamento nelle acque rivendicate dalla Cina nel Mar Cinese Meridionale.

Che la rivalità tra USA e Cina possa scivolare ben oltre i livelli di guardia già nei prossimi mesi, a causa di fattori oggettivi legati al declino economico statunitense e all’agenda nazionalista dell’amministrazione Trump, è apparso chiaro infine anche dalle parole del presidente uscente Obama in una recente conferenza stampa incentrata sulla presunta interferenza russa nel processo elettorale americano.

Malgrado la prudenza che aveva sempre caratterizzato a livello formale l’amministrazione Democratica sulle questioni riguardanti gli interessi cruciali cinesi, Obama ha lasciato intendere che le posizioni di Trump sulla politica di “una sola Cina” non vanno respinte del tutto, poiché in questo frangente è necessario una sorta di ripensamento della politica estera USA.

Allo stesso tempo, Obama ha avvertito però che qualsiasi mossa provocatoria in questo senso dovrà essere valutata con estrema attenzione, visto che implicherebbe la messa in discussione dell’identità e dei cardini della sicurezza cinese, provocando inevitabilmente, da parte di Pechino, reazioni “molto significative”.

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