di Michele Paris
Le tensioni tra
Cina e Stati Uniti, che stanno caratterizzando le settimane precedenti
l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono intensificate
nuovamente nei giorni scorsi dopo la vicenda del drone sottomarino
americano requisito dalle forze navali di Pechino. Il nuovo incidente è
sembrato avviarsi verso una risoluzione pacifica nel fine settimana, ma
ha mostrato il chiaro deterioramento delle relazioni già problematiche
tra le due potenze, entrambe impegnate a sfruttare l’episodio per
rafforzare le rispettive posizioni.
La marina cinese aveva
intercettato il mezzo sottomarino americano venerdì scorso durante
un’operazione che gli USA hanno definito di natura scientifica nel Mar
Cinese Meridionale. Il ministero della Difesa di Pechino ha affermato
che il drone è stato sequestrato per evitare pericoli alla navigazione,
per poi invitare gli Stati Uniti a mettere fine alle loro “attività di
sorveglianza” in queste acque.
Il drone finito nelle mani cinesi,
assieme a un secondo recuperato dagli americani, era operato dalla USNS
Bowditch in acque internazionali a circa 50 miglia nautiche a
nord-ovest della base filippina di Subic Bay, dove gli USA hanno
mantenuto a lungo una propria installazione militare.
Il governo
americano ha presentato una protesta formale a quello cinese, sostenendo
che quest’ultimo ha agito “illegalmente” nel requisire il drone della
propria marina militare. Pechino e Washington hanno però fatto sapere
sabato di avere raggiunto un accordo per la restituzione, in maniera
“appropriata”, del mezzo sottomarino.
Il governo cinese ha tenuto
comunque a denunciare il tentativo degli USA di “amplificare”
l’incidente. Da parte americana, è stato il presidente eletto Trump a
rilasciare dichiarazioni provocatorie, come al solito attraverso
Twitter, invitando ad esempio Pechino a “tenersi” il drone “rubato”.
Le
rassicurazioni americane sugli scopi dell’operazione condotta con i due
droni non lontano dalle acque rivendicate dalla Cina nel Mar Cinese
Meridionale sono da prendere quanto meno con le molle. Come hanno
ricordato anche i media occidentali, per cominciare, l’impiego
principale di questi mezzi è infatti quello di sorveglianza.
Questa
è d’altra parte l’interpretazione data dal governo cinese alla vicenda,
mentre vari analisti hanno rilevato come la mossa decisa da Pechino di
impossessarsi del drone americano sia un chiaro messaggio, diretto
soprattutto all’amministrazione Repubblicana entrante a Washington, dopo
le frizioni seguite alle presidenziali dell’8 novembre scorso.
Bonnie Glaser, del Center for Strategic and International Studies
(CSIS) di Washington, ha spiegato che Pechino intende far capire a
Trump che “gli USA non possono mettere in discussione gli interessi
cruciali cinese senza conseguenze”. Inoltre, l’iniziativa di venerdì non
può essere stata presa individualmente da un comandante della marina
militare cinese, ma deve avere avuto l’input dai massimi livelli dello
stato, visto anche il controllo sempre più stretto sulle forze armate
esercitato dal presidente, Xi Jinping.
Ad
ogni modo, l’incidente sembra essere il primo di questo genere tra USA e
Cina e, come già ricordato, si inserisce in un’escalation di
provocazioni seguite all’elezione di Trump alla presidenza. In
particolare, quest’ultimo aveva accettato una telefonata di
congratulazioni della presidente di Taiwan, Tsai-Ing-wen, facendo
registrare il primo contatto diretto ad altissimo livello tra i due
paesi a partire dal 1979, quando Washington riconobbe ufficialmente
quello di Pechino come l’unico e solo governo legittimo della Cina.
Trump
era poi giunto a mettere in discussione la politica di “una sola Cina”,
sposata per quattro decenni da tutte le amministrazioni americane,
suscitando la durissima reazione di Pechino. Questa svolta strategica,
secondo il neo-presidente, potrebbe essere clamorosamente implementata
se non ci saranno concessioni da parte di Pechino su vari fronti, tra
cui quello commerciale, della svalutazione della valuta cinese o della
“militarizzazione” del Mar Cinese.
Il governo del Partito
Comunista ha immediatamente ricordato come Taiwan e la sovranità cinese
siano questioni di importanza assoluta per il regime e la loro messa in
discussione minacci la stabilità dei rapporti con gli USA, ma anche
della stessa regione asiatica e del Pacifico, se non dell’intero
pianeta.
Gli scambi di accuse e le provocazioni americane
sembrano essere anche tentativi di assestare le rispettive posizioni in
vista della transizione alla Casa Bianca, con un’amministrazione che
prospetta l’implementazione di misure ancora più rigide nei confronti di
Pechino rispetto all’amministrazione Obama.
A Pechino, il
messaggio è stato indubbiamente recepito e sugli organi di stampa
ufficiali non sono mancati ad esempio gli appelli a un’accelerazione
delle capacità militari della Cina, così da rispondere adeguatamente
alle provocazioni o a eventuali attacchi da parte americana.
Proprio
qualche giorno fa era apparsa sulla stampa occidentale una rivelazione
sull’installazione da parte cinese di nuovi impianti militari anti-aerei
sulle isole Spratly, situate nel Mar Cinese Meridionale e controllate
da Pechino ma rivendicate anche da Filippine, Vietnam, Malaysia e
Brunei.
Il governo cinese non ha smentito la notizia e ha anzi
definito “legittime” le azioni intraprese in un territorio su cui
proclama la propria sovranità in maniera incontestabile. Soprattutto, il
rafforzamento delle strutture militari è stata definita necessaria dal
ministero della Difesa cinese, alla luce della “arroganza” degli Stati
Uniti, protagonisti negli ultimi quattordici mesi di almeno tre
operazioni di pattugliamento nelle acque rivendicate dalla Cina nel Mar
Cinese Meridionale.
Che
la rivalità tra USA e Cina possa scivolare ben oltre i livelli di
guardia già nei prossimi mesi, a causa di fattori oggettivi legati al
declino economico statunitense e all’agenda nazionalista
dell’amministrazione Trump, è apparso chiaro infine anche dalle parole
del presidente uscente Obama in una recente conferenza stampa incentrata
sulla presunta interferenza russa nel processo elettorale americano.
Malgrado
la prudenza che aveva sempre caratterizzato a livello formale
l’amministrazione Democratica sulle questioni riguardanti gli interessi
cruciali cinesi, Obama ha lasciato intendere che le posizioni di Trump
sulla politica di “una sola Cina” non vanno respinte del tutto, poiché
in questo frangente è necessario una sorta di ripensamento della
politica estera USA.
Allo stesso tempo, Obama ha avvertito però
che qualsiasi mossa provocatoria in questo senso dovrà essere valutata
con estrema attenzione, visto che implicherebbe la messa in discussione
dell’identità e dei cardini della sicurezza cinese, provocando
inevitabilmente, da parte di Pechino, reazioni “molto significative”.
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