Riferisce un vecchio adagio che la verità è sempre rivoluzionaria. A
ben vedere, dipende chi la racconta questa verità. Perché a volta emerge
dalle pieghe stesse del potere, assumendo tutt’altro valore. L’ex
consigliere e assessore comunale Roberto Morassut, oggi parlamentare Pd,
si lascia scappare
alcuni dati oggettivi sulla realtà romana che i movimenti dicono da
anni, ogni volta liquidati come ideologici o nostalgici o chissà
cos’altro. Ad esempio sul debito: «bisogna rileggere bene la storia del
debito. Nel 2008 il livello di indebitamento pro capite di Roma era
inferiore a quello di Milano e Torino. Ma si decise, per colpevolizzare
un’intera stagione, di gridare al disastro e scaricare tutti i debiti
sul bilancio dello Stato, creando la Bad company del Commissariamento
che ha il compito di pagare i debiti. [...] La mie domande dunque sono
queste: quel debito può essere onorato con strumenti ordinari? La lista
dei creditori è certa e verificata? Come restituire capacità di
investimento alla macchina pubblica?». Semplici verità ricavabili dalla
lettura dei dati sulla città, dal confronto con le sue impietose
statistiche. Si scopre così che il debito,
come – ripetiamo – andiamo dicendo da anni, è uno strumento
tecno-ideologico attraverso cui procedere alla dismissione della spesa
pubblica per servizi e diritti e non, come ripetono in coro i media
liberali, la colpa da espiare dopo anni di vacche grasse. I soldi a Roma
ci sono (ci sarebbero), e i trasferimenti di denaro pubblico sarebbero
anche adeguati, ma tutto viene disperso nel “risanamento” di un debito
su cui, non a caso, vige il segreto di Stato: «Oggi Roma è al tempo
stesso la città più tartassata d’Italia (altro che parassitismo!) e
anche quella che ottiene dallo Stato una massa di risorse senza
precedenti. Tutto questo dovrebbe durare fino al 2048. È un suicidio
collettivo». Un suicidio organizzato però dal partito di Morassut, il
Pd, e che discende direttamente dal rapporto tra Italia e Unione europea
vincolato all’ideologia del pareggio di bilancio, che a cascata si
riverbera sugli enti locali, sempre assecondando l’ideologia del debito
secondo cui questo va onorato in ogni sua forma e dimensione a prescindere dalla sua effettiva legittimità o dai diritti sociali sanciti nelle Costituzioni dei diversi paesi Ue.
Lo diciamo da anni e lo ripete sorprendentemente Morassut: senza
spezzare questo circuito perverso che dilapida la spesa pubblica per
risanare un debito accumulandone così altro, nessuna giunta di nessun
colore politico potrà risolvere alcuno dei problemi strutturali di Roma.
E in verità, oggi a Roma le differenze politiche passano tra chi (si
chiami Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Sinistra italiana o M5S)
decide di adeguarsi, magari malvolentieri, alla logica del debito, e chi
comprende che l’unico modo per governare davvero la città è quello di
emanciparsi dal vincolo liberista del risanamento (e del pareggio di
bilancio). Una battaglia politica quasi rivoluzionaria, perché i
detentori dei crediti che il Comune dovrebbe saldare sono quei soggetti
privati, e in special modo i palazzinari, che prima hanno distrutto la
città e ora ne godono la rendita accumulata. Spezzare la logica del
debito significa spezzare il rapporto tra imprenditoria parassita
privata e Comune di Roma.
Nella sua lettera al Corriere dello scorso 4 giugno Morassut
entra anche nel merito della crisi romana, che è prima di tutto un
decadimento economico dato dalla straordinaria ritirata di investimenti
pubblici nell’economia cittadina: «il sistema romano è gravemente
sottocapitalizzato. Mai come oggi la situazione appare stagnante. Gli
investimenti del Comune sono crollati». Nonostante l’ideologia mainstream continui
a raccontarci una città fondata sullo sperpero di denaro pubblico, non
solo i dipendenti comunali sono decisamente meno di quanti dovrebbero
essere (come ricordato dall’ex commissario Tronca,
non certo uno statalista), ma ad essere venuti meno sono proprio gli
investimenti pubblici. Inutile lamentarsi della (repentina) decadenza
sociale della metropoli se poi si giustifica continuamente la necessità
del “rigore finanziario” che imporrebbe l’utilizzo di ogni risorsa
pubblica per ripagare debiti privati. Delle due l’una: o non ci si
lamenta della barbarie incipiente a cui è lasciata Roma, o si individua
il nodo strutturale da cui proviene la crisi: lo sperpero di denaro
pubblico indirizzato al ripianamento di un debito che non ha alcuna
legittimità, risanamento effettuato a scapito dell’economia cittadina, dei suoi servizi e delle sue potenzialità di sviluppo.
Ovviamente Morassut è mosso da un suo immediato interesse politico:
difendere le ragioni delle precedenti giunte targate centrosinistra
(Rutelli e Veltroni), e al contempo preparare il terreno di un prossimo
ritorno al potere del Pd in città, dicendo in sostanza: nonostante la
buona volontà si potrà fare ben poco per la città. Ma questi scampoli di
verità vanno rivendicati, perché da anni ripetiamo cose che conoscono
bene anche i ceti dirigenti del paese, ma che non possono mettere in
pratica perché chi ha prodotto il debito e chi detiene i crediti sono,
in sostanza, le stesse identiche persone.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento